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Quanto è facile farsi nuovi amici?

3. La letteratura che guarda alla socialità degli stranier

3.3 Quanto è facile farsi nuovi amici?

Le ricerche che hanno indagato se è facile per gli stranieri farsi nuovi amici, mettono in luce uno scenario poco confortante. Se già Omodeo593 notava sia ostacoli linguistici, sia la percezione dei piccoli immigrati di forme di razzismo, anche studi più recenti594 segnalano che giovani arrivati in Italia da 2-3 anni avvertono sensazioni di assenza e solitudine, tanto che le femmine dichiarano di aver eletto come migliore amica la mamma o alcune parenti. L’ambito dell’incontro coi coetanei pare limitato alla scuola e ai momenti di ritrovo con i connazionali, ma, in realtà, non è scontato che il contatto creato nell’aula scolastica si trasformi in amicizia. Infatti, un’esplicita distinzione viene portata proprio dagli adolescenti stranieri che definiscono i compagni di scuola: “ciao e basta”595, mentre gli amici sono i connazionali. Così, dal momento che essi hanno una diffusa percezione di discriminazione, ritengono che sia meglio trascorrere il tempo libero in luoghi non frequentati da italiani.

Bertozzi596 precisa che l’età dei minori è un elemento significativo nel determinare la facilità di incontro tra italiani e stranieri. Se i più piccoli (6-13 anni)597 sembrano riuscire a trovare punti di contatto con i compagni italiani, per gli adolescenti, invece, si

592

Soysal, 2001 op. cit.

593 Omodeo M., 2002 La scuola multiculturale Carocci, Roma

594 Favaro G., 2005 Le ragazze e i ragazzi delle “terre di mezzo” relazione presentata al Convegno Nazionale dei Centri Interculturali “Una generazione in movimento. Gli adolescenti e i giovani immigrati”, Reggio Emilia, 20-21 ottobre 2005

595 Queirolo Palmas, 2006 op. cit.: 139 596 Bertozzi, 2004a op. cit.

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riscontra una maggiore complessità. Le diversità registrate fra tale fascia di popolazione sarebbero collegate alla provenienza, ma soprattutto all’epoca dell’arrivo in Italia. Una ricerca estremamente recente598, infatti, distingue l’aspetto generazionale, notando che la seconda generazione è del tutto simile agli italiani per esperienze di socialità, mentre la generazione 1,75 mostra un più forte attaccamento al gruppo nazionale e chi è arrivato da poco fatica ad inserirsi.

Altro elemento che va considerato è quello di genere. Chi599 ha indagato su come tale dimensione rientri nelle possibilità di socializzazione, ha riscontrato che le femmine risentono di alcuni vincoli, rispetto alle uscite e ai luoghi frequentati (in realtà non diversamente da quanto succede alle italiane600). Se il senso comune vuole che le differenze di genere nelle famiglie immigrate siano dovute a scelte culturali o religiose, alcune ricerche, invece, hanno mostrato l’importante ruolo delle “strategie protettive volte ad assicurare la compatibilità e l’accettabilità del profilo sociale” delle proprie figlie601. Quindi, ancora una volta, quello che conta di più è la “classe generazionale” e non un modello culturale rigido e immobile.

Un altro aspetto che incide sulla possibilità di frequentare coetanei è il contesto, ossia il luogo di residenza dei giovani. Tale considerazione, sebbene sia stata tenuta presente per molti anni per gli adolescenti italiani, a volte pare sfuggire, quando si guarda agli stranieri. La concentrazione residenziale e la ghettizzazione che si viene a formare in alcune scuole non aiuta i rapporti con gli autoctoni e, anzi, può creare forme di esclusione reciproche. Purtroppo, poi, la povertà d’azione e di iniziative che caratterizza la periferia, dove abbastanza frequentemente abitano le famiglie immigrate, sembra restare quasi uguale nel tempo e influenzare la vita di tutti i giovani: “in quanto luogo socioculturale la periferia è ciò che non offre [...] è ciò che impedisce di fare esperienza”602. Proprio tale discorso appare ancora più vero per alcuni piccoli paesi dove vivono molti sikh del cremonese.

598

AA.VV. (2007), ma il tema era già stato accennato da Lagomarsino (2005) 599

Tra gli altri: Patuelli, 2006, op. cit.; Baraldi et al. 2006 op. cit; Bertozzi, 2004a op. cit; Cologna et al., 2003 op. cit; Cologna D., 2000 I cinesi nella società milanese in Palidda S. op. cit., pp. 31-55; Lainati C., 2000 I filippini a Milano in Palidda S. op. cit., pp.56-77

600

Mandich, 2003 op. cit.; Ciccotti et al., 2007 op. cit. Si veda anche Galloni (2004) 601 AA.VV., 2007 op. cit.: 4

602 Floris F., 1999 Per un possibile protagonismo dei giovani in periferia. Un percorso di ricerca tra

operatori sociali e decisori politici in AA.VV., Giovani e periferie. Un possibile protagonismo Gruppo

Del resto, Palidda, analizzando quanto è accaduto nelle banlieau francesi, parla delle “maledette” periferie in cui le difficoltà date dalla condizione sociale (come per tutti i figli delle classi subalterne) si uniscono a quelle della marginalizzazione dovuta al colore della pelle o al cognome straniero.603

Proprio le differenze di classe, più di quelle culturali, sono ritenute, da alcuni autori604, responsabili di una chiusura che, poi, impedisce la conoscenza dell’altro.

Questi processi di isolamento, però, vengono rafforzati dalla criminalizzazione prodotta dai media605.

La maggior parte delle indagini, quindi, al di là delle interpretazioni, ha mostrato le difficoltà dei giovani immigrati di inserirsi pienamente nel terreno sociale in cui vivono: infatti, anche se essi sono accolti, o richiesti, per ragioni lavorative, manca poi una loro integrazione reale606. De Bernardis afferma “se anche la scuola fosse realmente in grado di offrire pari opportunità, resterebbe il tempo extra-scolastico a fare la differenza...”607. Gli straneri ammettono di vedere raramente italiani dopo la scuola608; il tempo libero, lo spazio dei consumi e degli affetti è con i connazionali, se va bene, o è il momento della solitudine, tanto da far tratteggiare così, da alcuni autori, la “semplicità della vita quotidiana” di questi giovani:

“scandita da solitudine e reclusione domestica per i primi arrivati, socialità fra connazionali, campetti di calcio improvvisati, collegi e discoteche, parrocchie e centri socio- educativi, centri commerciali e incontri al muretto del quartiere…”609

Una voce fuori dal coro, tuttavia, è quella di Rebughini610, che riportando i dati di una ricerca milanese sugli studenti delle superiori, afferma che quasi tutti gli intervistati sono inseriti in reti amicali, per lo più miste, soprattutto grazie alla scuola, anche se poi precisa che accanto alle amicizie scolastiche si osservano reti amicali tra connazionali.

603 Palidda, 2007 op. cit.: 269 604

Lagomarsino, 2005 op. cit.: 93 605 Idem

606 L’integrazione è “un concetto complesso e multidimensionale il cui significato varia a seconda del contesto storico e geografico di riferimento” (Di Sciullo, 2006: 325) e può essere “definita e concepita in termini di integrità della persona e delle collettività coinvolte nell’ambito di un processo di inserimento pluridimensionale che deve realizzarsi secondo i canoni dell’interazione positiva e della pacifica convivenza tra appartenenti a culture diverse” (Gardani, 2006: 8).

607 De Bernardis, 2005 op. cit: 18. Si veda anche Ambrosini, 2004c op. cit. 608

Ciafaloni, 2006 op. cit; Colombo M., 2007b op. cit; Colombo E., 2005b Navigare tra le differenze: la

gestione dei processi di identificazione tra i giovani figli di migranti in AAVV, op. cit, pp. 83-121;

Cologna, 2003 op. cit; Napoli, 2002 op. cit. 609 Queirolo Palmas, 2005 op. cit: 16 610

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