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Motivazione e gratificazion

In psicologia tradizionalmente si parla di motivazioni con obiettivi intrinseci o espliciti507. Con la prima espressione si intende l’apprendimento che ha valore in sé e quindi motiva e appaga, indipendentemente da ricompense esterne, mentre con la seconda definizione ci si riferisce agli stimoli e alle gratificazioni esterne. Hany sembra confermare pienamente le più recenti teorie che vogliono un’influenza reciproca tra le due tipologie di motivazione, infatti, mostra in diverse occasioni il suo interesse per quanto studia e la soddisfazione di aver capito, come lei stessa dice, sorridente, a Ila: “Sono contenta perché ho capito finalmente”. Capire è quindi sia una motivazione sia motivo di appagamento.

506 Florio-Ruane, 1996 op. cit: 176 507

Le gratificazioni esterne, d’altra parte, non mancano e Hany, come è intuibile, le apprezza. Non mi riferisco solo ai voti, già di per sé importanti, o alla soddisfazione che le danno i docenti, ma tutto questo la porta anche a ricevere una borsa di studio in qualità di studente meritevole della scuola. Hany, come si nota dalla seguente osservazione, mostra la sua gioia per l’aspetto economico e ancor di più per il valore insito in tale premio:

Hany va in segreteria, torna dopo poco, sorridente, con la busta in mano che si batte sulle gambe, Sabry allunga il collo e le sorride. Hany si siede, parla con l’amica, prende il materiale della lezione, poi apre piano la busta e guarda attenta, richiude e parla con Sabry, si sorridono, sembra molto felice… Giada e Gemma si fanno dare l’assegno e lo guardano. Bruno chiede cosa ha preso e Hany dice 50 euro, Bruno fa l’aria delusa e lei: “Ma mi sono fatta S. Lucia”508, sorride soddisfatta.

Osservando questo episodio a livello complessivo, si vede come i compagni esprimano interesse e curiosità per Hany, ma anche una leggera delusione per un premio poco consistente economicamente. Hany dal canto suo manifesta tutta la sua gioia anche per una cifra esigua, comunque “regalata” e “guadagnata”, infatti in quel “mi sono fatta S. Lucia” indica sia il dono sia, con il pronome riflessivo iniziale, la sua piena partecipazione.

Altro aspetto che colpisce è la mancanza di atteggiamenti di invidia da parte della classe e parallelamente la modestia di Hany, che non si vanta, esprime la felicità in modo contenuto e non sfacciato, si accontenta del denaro ricevuto. Spesso dalle interviste emerge che sono i più bravi ad avere le maggiori difficoltà di relazioni coi pari, perché alimentano gelosie, rivalità o conflitti, magari perché i migliori escono dall’aspettativa del gruppo509 oppure perché si trasformano in “secchioni”, rifiutandosi di aiutare gli altri, vantandosi dei propri successi e compiacendo i docenti. Hany, viceversa, pur essendo preparata e stimata dai professori, mantiene uno stile umile e, invece di ostentare i suoi successi, cerca di mostrare le sue debolezze e trovare tratti comuni con gli altri. Un esempio tra tanti si ha dal seguente dialogo con Fabio, intercorso in classe dopo la consegna del pagellino di primo quadrimestre:

Fabio a Hany: “Quante ne hai su?”, lei risponde: “Ho rischiato 5 in ginnastica”, la docente indaga se non fa ginnastica e lei: “Sì, la faccio, ma è come se non la facessi, faccio schifo”. Hany racconta che non le piace e prende 2 tutte le volte, “al massimo 5”. Fabio: “Sì

508 Il premio infatti le viene consegnato il 13 dicembre, quando a Cremona si festeggia S. Lucia. 509

ma non conta”...

Come si nota Hany risponde in negativo, cambiando il quesito di Fabio e puntando sull’unica insufficienza, per altro presunta, perché anche in questa materia ha la sufficienza. Così facendo, attiva le attenzioni della docente e di Fabio, la prima infatti cerca di capire il senso di tale insuccesso, l’amico la consola. La giovane sikh, però, non vuole solo apparire modesta, ma considera importante prendere in considerazione anche ciò che le manca per arrivare alla piena riuscita. Infatti, un giorno, dopo una verifica (fatta e corretta al computer) dall’esito disastroso per quasi la totalità degli alunni (i più hanno preso 5; il massimo voto è 6 ½, ma ci sono anche dei 2), la professoressa chiede i voti a ognuno e quando arriva a Hany succede questo:

Hany risponde: “Ne ho sbagliati 2”, la professoressa: “Quindi hai preso…”, Hany: “9”. L’insegnante la elogia e Hany: “Ma non ho capito ancora come ho sbagliato”. La donna si avvicina e le spiega, quando si allontana, Hany guarda ancora la verifica e ne parla con Gemma. Dany si avvicina e chiede i voti e al 9 di Hany fa un inchino.

Hany sa che è l’unica ad aver preso nove, ma non si crogiola, né si accontenta, anzi parte dagli errori: li vuole capire. Questa forse è anche una strategia per non esser additata come secchiona, ma mi pare possa essere letta come motivazione intrinseca: l’importante non è solo il voto, ma imparare, fare esattamente tutto e comprendere le proprie difficoltà.

Quanto detto finora non deve far pensare, però, che Hany sia sempre felice di venire a scuola o di studiare, come si è visto, non evita di selezionare i suoi sforzi e attuare piccoli sconti. Allo stesso modo in certi casi si lamenta apertamente dell’impegno scolastico, come emerge dal seguente dialogo:

Hany a Gemma: “Ma quante 3^area abbiamo510? Solo la nostra scuola ha così tanti pomeriggi. A liceo non ne fanno mai.” Gemma risponde che ai licei è diverso.

Hany critica il fatto che i pomeriggi finiscono alle 18 e da scuola dovrebbe andare in stazione e aspettare il pullman. L’esser sola al buio le fa paura, così il padre o un cugino vanno a prenderla, però ha quasi un’ora di viaggio, così torna stanca e non ha più voglia di studiare.

510

Con l’espressione “3^ area” la scuola intende un insegnamento pomeridiano obbligatorio, che deve approfondire alcuni concetti presenti nelle materie curricolari o che introduca aspetti non previsti dal programma. Questi moduli di 3^ area durano alcuni mesi all’anno e a volte gli alunni hanno più moduli all’interno della stessa settimana. Alcune di queste lezioni sono tenute da docenti della sezione, altre da personale esterno.

Accenno solo ad alcune delle questioni che traspaiono dal suo discorso: prima di tutto l’inconsapevolezza del reale impegno necessario in quella scuola e la non-distinzione tra ore scolastiche e doveri extrascolastici, che porta a confrontare licei e scuole professionali solo in termini di orario didattico. In secondo luogo colpisce la partecipazione familiare alla vita scolastica di Hany: padre e cugino si alternano per andare a prenderla, facendo viaggi tra andata e ritorno di oltre un’ora. Forse non riescono a sostenere la giovane nello studio, e neppure ne ha bisogno, ma in tutti i casi collaborano come possono, quindi le evitano attese, viaggi solitari e paure. Di fatto confermano quanto sostiene Ngo a proposito dei genitori asiatici: ossia, essi non possono partecipare all’esperienze educativa dei figli perché non hanno gli strumenti linguistici e culturali per capire e orientarsi in un sistema scolastico diverso dal loro, ma credono nell’educazione e vogliono il successo dei figli511.

Terzo aspetto, collegato agli altri, è la fatica scolastica aggravata dalla distanza scuola- casa, che, come ammette in alcune occasioni, condiziona le sue scelte. Infatti, un giorno all’intervallo i compagni parlano di un progetto che prevede l’aiuto nello studio (a scuola) degli alunni del biennio da parte di quelli degli ultimi anni. Dany chiede a Hany perché non lo fa e lei risponde che potrebbe, ma non conosce nessuno e poi ci mette molto tempo ad andare a casa, già torna tardi per la 3^area e non si sente.

Concludendo, si può dire che la giovane sikh voglia riuscire, avere successo e soprattutto imparare. In questo processo non è sola: è aiutata dai docenti e dall’istituzione scolastica che la premiano e la incentivano, dai compagni che non la ostacolano, ma la incoraggiano dove serve e la consolano, e poi anche (forse in modo meno evidente per gli autoctoni) dalla famiglia estesa, che contribuisce come può alla sua frequenza scolastica.

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