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La classe appare da subito un ambiente sereno e per certi versi quasi irreale467: molto silenzioso, con pochissimi richiami all’ordine e alla disciplina da parte dei docenti e una

462 Le docenti presenti mi hanno anche detto che nei giorni precedenti i ragazzi hanno ricordato spesso questo appuntamento.

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Infatti, spiego che il processo che va dall’osservazione ai risultati è fatto di descrizioni, ipotesi, cambiamenti di ipotesi e confronti con la teoria e i dati non sono, quindi, immodificabili.

464 L’impressione per i molti appunti presi è stata più volte sottolineata a più livelli: dai ragazzi, dai docenti e pure dal preside che non mi ha mai visto in azione, ma a cui è arrivato questo commento. 465 “Sai che loro (Jenny e Mara) mi hanno fatto notare che tu scrivevi tanto e ci chiedevamo: cosa scrive?

Magari cadeva una biro, ti giravi e poi scrivevi, allora eravamo un po’ preoccupati”

466 Jessy divertita: “e quando la prof ti ha parlato in francese? Hai fatto una faccia…”, risate. 467

calma quasi soporifera (per l’osservatrice!).

I professori stessi sembrano dover animare, invece che controllare, gli alunni, tanto che di frequente li spronano a una maggiore partecipazione e attività.

Infatti, partendo dall’analisi del modello D-R-V468 (domanda dei professori => risposta degli alunni => valutazione), si nota subito che la sequenza non riesce. Spesso nella classe dopo la domanda del professore (di turno) si assiste ad un prolungato silenzio; il professore, allora, in genere ripete la domanda, la riformula, esorta a intervenire o rimprovera per la mancata partecipazione, ma anche suggerisce la risposta (con frasi troncate, iniziale di parola, cambio del tono della frase, mimo…), seleziona gli studenti e, infine, risponde egli stesso… per poi spiegare o formulare una nuova domanda. I ragazzi non si auto-selezionano (il più delle volte), ma al massimo alzano la mano e accettano il ruolo di guida del docente; è difficile sentire un accavallarsi di voci e, quindi, se in molte ricerche si è visto come lo sforzo del professore sia di creare partecipazione mantenendo l’ordine, qui l’ordine è quasi sempre assicurato dal rispetto delle norme scolastiche da parte degli alunni, ma viene a mancare una costruzione condivisa di conoscenza.

Spesso, di fatto, le risposte sono tanto sussurrate da non esser intese o da esser capite solo da insegnanti molto attenti a cogliere anche il labiale; poi, se uno studente inizia una risposta non chiara, non bene espressa e viene sollecitato a riformulare, il più delle volte desiste (partendo già dall’idea di aver sbagliato) indipendentemente che gli altri stiano in un’attesa silenziosa o che propongano altre risposte.

Anche quando sono poste questioni a risposte aperte, magari idee personali469, i “nostri” alunni non si sbloccano facilmente: sembra quasi che l’introiezione, a livello di classe, delle regole di convivenza e di rispetto del ruolo/potere dei docenti abbia preso il sopravvento sulla formulazione esplicita di opinioni.

Durante la restituzione, infatti, Fabio propone, sotto forma di battuta, l’idea che i professori abbiano già la risposta in mente e vogliano sentire solo quella, mentre Bruno osserva che intanto la valutazione è spesso negativa. Di fatto, i ragazzi mostrano di aver compreso che l’esattezza della risposta dipende da troppi fattori e diventa altamente soggettiva: sanno che ciò risente sia dell’interpretazione che essi danno alla domanda,

468 Il modello (detto anche I-R-V) proposto da Mehan è stato poi ripreso da molti antropologi dell’educazione. Si veda al proposito Florio-Ruane (1996), Gobbo (2000).

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sia di quella che gli insegnanti fanno della situazione in cui avvengono le risposte470. Per rispondere, poi, bisogna capire cosa i docenti vogliano e come se lo aspettano (la formulazione, il modo e il tempo), così come notava Mehan. Soprattutto, però, i giovani sono consapevoli che a una domanda, ne segue un’altra e questa è imprevedibile, quindi dire ciò che si sa può innescare un meccanismo pericoloso. Dany commenta: “È per non

tirarsi la zappa sui piedi!”. La lezione può sembrare un gioco a quiz, ma la vincita forse

non è tanto stimolante, mentre la perdita è sia una frustrazione, sia un giudizio negativo. I ragazzi coi loro comportamenti danno prova di conoscere la cultura implicita della scuola e la loro scarsa partecipazione corrisponde soprattutto a tale logica: proprio sapendo tutte le variabili in gioco scelgono il male ritenuto minore, il silenzio471. I docenti, così, pur non avendo il problema di gestire la classe, hanno quello di coinvolgerla. Infatti, i professori per superare tale difficoltà, oltre a dare tempi lunghi in attesa di un intervento, scelgono di non ripristinare le regole di presa del turno: quelle rare volte che le risposte arrivano grazie all’autoselezione dello studente e le voci si accavallano, i docenti non sentono la necessità di ricordare il rispetto delle norme scolastiche, né di mettere in atto manovre riparative472.

Nonostante una classe del genere rappresenti un contesto tranquillo e facilmente governabile, tuttavia la scarsa partecipazione, dai docenti, viene vista come segno di demotivazione ed è valutata “come passività”473, tanto che, come vedremo, una strategia usata spesso dagli insegnanti è quella di rianimare la scolaresca.

Concludendo l’analisi della classe, si può dire che tale stile di reazione “al minimo” agli stimoli, può essere sia il sintomo di una diffusa convinzione di insuccesso, una sottovalutazione generalizzata e rassegnata, sia la conseguenza di una competenza culturale474 sulla scuola, sviluppatasi nel tempo475. Durante le osservazioni, infatti, emergono molte capacità di comunicazione (come mostrare interesse, capire le richieste

470

Mehan, 1982 op. cit; Fele et al, 2003 op. cit.

471 Questa classe, del resto, rende evidente anche che il rispetto delle regole conversazionali in aula può massimizzare la possibilità di pause e silenzi (McHoul, 1978).

472 Infatti, ciò indica una partecipazione quasi imprevista, ma desiderata. 473

La mia ipotesi è che essa sia segno di insicurezza, poiché la partecipazione c’è quando c’è lo studio alle spalle, invece quando gli argomenti sono nuovi, quando gli alunni potrebbero dire il loro pensiero, c’è silenzio. Durante la restituzione, quando ipotizzo che questo sia l’effetto di anni precedenti, i più sorridono e qualcuno annuisce.

474

“…è vero che non partecipiamo, infatti quando i prof fanno domande noi teniamo tutti gli occhi

bassi…” “Anche la prof S. chiede a volte chi vuol legger e noi abbiamo tutti la testa bassa perché non vogliamo ma se per caso incroci il suo sguardo, è finita! Tocca a te.”

475 Bisogna precisare che tale situazione si ha alla fine del percorso scolastico e quindi sembra frutto di un apprendimento progressivo.

dei professori, sfuggire le domande), che i docenti sanno cogliere per trovare una sintonia.

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