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Quando la letteratura interpreta la migrazione come criticità

Per spiegare le difficoltà dei gruppi di minoranza, alcuni studi vi correlano statisticamente la nazionalità e il numero di anni di permanenza in Italia252, oltre ad altre variabili. I risultati ottenuti con questo approccio mostrano che gli studenti di alcune

246 Ogbu J.U, 1996b Educazione e stratificazione sociale in Gobbo F. op. cit., pp. 113-126

247 Si veda, in particolare Ogbu J.U, 1987 Variability in minority school performance: a problem in

search of an explanation in “Anthropology & Education quarterly” v.18, n.4, pp. 312-334; Wolcott H.F,

1996 Educazione come trasmissione ed acquisizione culturale in Gobbo F., op. cit., pp. 49-64

248 Emihovic, 1996, op. cit.; Wolcott H.F, 2004 A scuola in un villaggio kwakiutl Imprimitur, Padova; Singh Ghuman P.A, 2001 Asian girls in secondary schools: a British perspective in “Intercultural education”, v. 12, n.2, pp. 197-207

249 Gobbo F., 1999 Educazione, cultura, identità: il caso della minoranza religiosa valdese in Gobbo F., Gomes A.M, op. cit., pp.21-49

250 Florio-Ruane S., 1996 Cultura e organizzazione sociale della classe scolastica in Gobbo F., op. cit., pp.171-189; Hamann E.T, 2004 Lesson from the interpretation/misinterpretation of John Ogbu’s

scholarship in “Intercultural education” v.15, n° 4, pp.399-412; Van Zanten A., 1996 Le relazioni tra scuola e comunità in Gobbo F. (a cura di), op. cit, pp. 147–157; 2003 “Studenti seri” e “studenti turbolenti”: ordine e disordine nelle scuole medie della periferia francese, in Gobbo F. Etnografia dell’educazione in Europa Unicopli, Milano, pp. 51-77.

251 Gobbo, 1999 op. cit.; Ogbu, 1999 op. cit.

252 Ciafaloni, 2006 op. cit; Barbagli M., 2006 L’integrazione scolastica delle seconde generazioni di

stranieri nelle scuole secondarie di primo grado della Regione Emilia Romagna Rapporto sulla ricerca

nazionalità raggiungono, prima di altri, livelli minimi di conoscenza, anche se poi tali differenze “nazionali” risultano meno significative del tempo di permanenza. Quindi bisognerebbe considerare, più che il luogo di nascita, gli anni vissuti dal minore in Italia e, come può essere facilmente intuibile, chi arriva in adolescenza ha più difficoltà di chi inizia qui la sua scolarizzazione. Se, in qualche modo, tali fattori possono avere una qualche influenza nei percorsi scolastici, così come vuole anche il senso comune, tuttavia ritengo che considerarli capaci di un valore predittivo sia frutto di una certa miopia, come spiegherò successivamente.

La letteratura, poi, chiama in gioco la provenienza degli studenti anche riferendosi alle caratteristiche imputabili ad un particolare gruppo, ma, in realtà, le ricerche non concordano sugli effetti che tali peculiarità avrebbero sulle performance. Ad esempio, c’è chi mette in relazione il successo con la “coesione comunitaria” e cita l’esempio positivo degli asiatici in USA, che hanno mantenuto codici culturali originari253. Viceversa, c’è chi legge254 la conservazione dei valori della stessa popolazione asiatica come causa delle difficoltà scolastiche e psicologiche delle giovani in Gran Bretagna, dato che esse vedrebbero nella scuola una sfida ai valori familiari.

In altri studi si additano la “brusca interruzione […] dei desideri”255 dovuta alla migrazione e le occupazioni subalterne dei genitori nel nuovo contesto, come ragioni di disinvestimento nella scuola da parte dei migranti.

Sulla stessa linea di pensiero, altre ragioni sono rintracciate nella diversità dei modelli educativi scolastici: ad esempio per Favaro, il fatto che i minori abbiano sperimentato nel paese d’origine modalità pedagogiche e didattiche di tipo “tradizionale e trasmissivo” e improntate su una maggiore severità creerebbe uno “spiazzamento”256 rispetto alle nuove esperienze vissute nelle aule italiane.

Del resto, la teoria della discontinuità culturale, nelle sue diverse sfumature, si presenta problematica, soprattutto quando riguarda i giovani:

“se l’idea della distanza culturale come categoria univoca di lettura non convince per gli adulti, ancora di meno convince per i minori: proprio loro, mediando fra la socializzazione tipica dell’ordine domestico e le pratiche culturali della sfera pubblica […] entro cui si

253 Ambrosini, 2004a op. cit; Rumbaut R.G, 1997 Assimilation and its discontents: between rhetoric and

reality, in “International Migration Review”, v. 31, n. 4, pp. 923-960

254 Singh Ghuman, 2001 op. cit.

255 Pozza F, Ravecca A., 2005 Attraversando spazi e desideri: scuola, formazione e circuiti protetti in Queirolo Palmas L., Torre A. (a cura di) op. cit.: 110

256

muovono, divengono i costruttori di nuove appartenenze e di nuove distinzioni simboliche…”257.

Non solo, però, la teoria della discontinuità258 non appare del tutto fondata, ma sembra foriera di criticità per i suoi effetti sull’insegnamento e sugli alunni stessi. Benché tutte le dimensioni citate finora, infatti, possano apparire significative, in questo modo, però, si corre il rischio di prendere in esame esclusivamente lo studente e non altri importanti protagonisti. Di fatto, se tali caratteristiche sono considerate predittive259, l’andamento scolastico pare influenzato da dimensioni “etniche” o “migratorie”, in entrambi i casi poco modificabili.

Spesso, infatti, proprio perché sono attribuite responsabilità alle differenze culturali, tra cui la lingua e il background, l’istituzione scolastica reagisce con misure integrative o programmi aggiuntivi260 e non pone attenzione a quei fattori che contribuiscono all’ineguaglianza261 e che affronterò nei prossimi paragrafi.

Come nota Luciak262, i dati statistici che correlano voti e competenze linguistico- culturali o indicatori di classe sociale riescono a fornire solo una spiegazione parziale dei bassi risultati delle minoranze, perché non tengono conto delle ragioni delle migrazioni, della diversità socio-economica, dello status del gruppo, del trattamento da parte della maggioranza...

Già alla fine degli anni ’80, del resto, Ogbu263 invitava a riflettere sul fatto che alcune minoranze riuscissero bene anche con lingue e culture diverse (come gli asiatici in Gran Bretagna) e notava che le difficoltà scolastiche e sociali facevano parte dell’inserimento iniziale, ma in alcuni casi persistevano nel tempo e in altri no, perciò bisognava cominciare a considerare altre interpretazioni, quali la storia della minoranza (come si vedrà in seguito).

Recentemente si fa strada la convinzione espressa da Gobbo264 per cui “non vi è nessun gruppo che, ovunque si trovi a vivere, abbia rendimenti scolastici negativi,

257 Queirolo Palmas L., 2002 Istruzione e migranti: dove va la ricerca? in Giovannini G et. al, op. cit.: 22 258 Con questo non si vuole negare l’importanza storica di tale modello teorico e per un approfondimento si rimanda ai contributi di J.U. Ogbu citati in questo scritto.

259

Portes A., Rumbaut G., 2001 Legacies. The Story of the Immigrant Second Generation University of California Press, Berkeley

260 Luciak, 2004 op. cit. 261

Ngo B., 2006 Learning from the margins: the education of Southeast and South Asian Americans in

context in “Race ethnicity and education”, v. 9, n.1, pp. 51-65

262 Luciak, 2004 op. cit. 263 Ogbu, 1987 op. cit. 264

indipendentemente dal sistema educativo e sociopolitico con cui viene in contatto” e l’insuccesso degli studenti stranieri va perciò imputato a più fattori.

Molte indagini condotte in Italia265, infatti, negano la fondatezza delle interpretazioni etniche e formulano tesi caratterizzate da letture multidimensionali, sebbene tali ipotesi

restino

“in attesa di nuove ricerche empiriche che ci permettano di evidenziare gli intrecci tra capitale culturale, risorse sociali e di cittadinanza, genere, fattori interni alla scuola (contenuti e organizzazione), esperienze e pratiche di vita quotidiana…”266.

Ambrosini267, ad esempio, menziona problemi legati alle migrazioni non solo inerenti l’allievo, ma anche in termini di organizzazione scolastica, infatti elenca le seguenti criticità: “alta concentrazione di alunni immigrati in alcune scuole e classi”, assenza di interventi di facilitazione, “inserimenti in classi con compagni di età molto inferiore alla loro; scarsa padronanza della lingua italiana; percezione di una mancanza di prospettive di mobilità sociale attraverso lo studio”.

Nello scenario italiano, quindi, la migrazione resta intesa come un fattore di criticità, a cui a volte si associa una certa impreparazione dell’istituzione. Il mio intento, però, è quello di dimostrare che, come le differenze culturali non possono essere considerate all’origine dell’insuccesso, allo stesso modo, l’esperienza migratoria, pur portando con sé oggettivi cambiamenti e sfide importanti, tuttavia non può rimanere l’unica (o la maggiore) causa delle difficoltà scolastiche.

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