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La classe quarta: accesso al campo

Dopo l’inserimento molto coinvolgente nella classe prima, l’accesso alla quarta è stato, per me, “spiazzante”. Qualche giorno prima dell’ingresso ufficiale, infatti, una docente

453 Marazzi (2006b: 46) parla di “mito della hostess” per indicare la frequenza di tale sogno lavorativo per le giovani straniere.

mi presenta agli studenti, che accettano la situazione, facendo solo qualche battuta: “Perché noi? Siamo i più belli?”. Poi, il giorno prestabilito, il mio arrivo è accolto da un silenzio ossequioso, segno di rispetto (riservato in genere ai docenti) e timore, dato che, come capirò in seguito, ero stata presentata come un’osservatrice/valutatrice dei loro comportamenti. Gli alunni da quel momento salutano, ma non cercano alcun tipo di rapporto, sebbene poi accettino la mia presenza in aula e nei corridoi. Non fanno domande particolari e solo alcuni cercano di darmi informazioni, se non sono io a richiederle, e di includermi nei loro discorsi. Tutto avviene lentamente nel tempo e con molta discrezione, tanto da farmi sentire oggetto non solo di una contro-osservazione454, ma anche di un’analisi e di una messa in prova, come se la conquista di un rapporto e di una fiducia dovessero essere attentamente vagliati. Nonostante il mio banco da studente, esattamente come in prima, sono sempre rimasti una separazione fisica e di ruoli e un formalismo, che a volte potevano essere infranti da qualcuno, per poi essere subito ripristinati da altri: così se uno passava a darmi del “tu”, un altro non mancava di rimproverarlo, malgrado il mio tentativo di rassicurarli.

Durante gli intervalli, spesso, gli alunni della classe prima vengono a cercarmi, mi abbracciano, mi fanno scherzi, mi raccontano fatti e misfatti, poi guardano quelli di quarta e commentano che devono essere noiosi e freddi; viceversa, questi ultimi osservano le scene, ascoltano incuriositi, ma non chiedono nulla, finché io stessa non menziono la mia precedente osservazione. Allora ben presto, soprattutto le ragazze di quarta iniziano delle precisazioni: “In prima sono ancora bambini”, immaginarsi la confusione di quelle classi, “tutta un’altra storia” dalla loro realtà… Di fatto, l’età è davvero importante, ma anche il contesto in sé e l’immagine che vogliono veicolarmi: altre quarte sono citate dai professori come ingestibili, terribili per provocazioni e maleducazione, mentre questa è riconosciuta come una classe tranquilla.

A contribuire alle difficoltà di inserimento “reale”455 in questo contesto, però, vi sono altri fattori: innanzitutto, la storia della classe. Essa è composta da una quindicina di alunni, che sono insieme da ormai quattro anni e hanno creato una buona convivenza. I docenti mi spiegano, infatti, che gli studenti sono sempre stati nel complesso disciplinati e motivati, poi però le selezioni avvenute nel tempo hanno permesso una scrematura dei

454 Molte volte durante l’osservazione ho colto e pure annotato quanto gli sguardi dei ragazzi fossero su di me. La stessa considerazione viene fatta anche da Peano (2007).

455 Non si può dire che non ci sia stata una rispettosa accoglienza fin da subito, ma qui intendo una condivisione, uno scambio che passi anche dal rapporto personale.

migliori. Ora il gruppo è piccolo, tranquillo, amalgamato e sostanzialmente omogeneo per interessi e stili. I giovani si trovano assieme in aula, negli intervalli, spesso nei tragitti scuola-casa e stanno bene in questa compagnia. Inoltre, un team di professori giovani e appassionati non solo al loro lavoro, ma anche ai singoli alunni, ha permesso di ricreare un ambiente quasi familiare, tanto che in certe occasioni qualche studente si fa sfuggire un “mamma” al posto di “prof”.

Questo gruppetto456, poi, sta iniziando a integrarmi quando la comunicazione di un docente mette sulle difensive e cambia il clima. Infatti, mentre tutti i professori si mostrano preparati al mio arrivo, consapevoli della mia ricerca e delle informazioni da fornire457, oltre che disponibili con me, uno (che indicherò con P.) afferma in aula, davanti ad alcune alunne, che io vado a “studiare l’indiana”. Subito lo sguardo dei compagni varia, non vi leggo solo curiosità, ma pure fastidio. La nostra sikh (che chiamerò Hany458), quel giorno, non è ancora arrivata, ma, appena si siede, le amiche le parlano in modo da chiudere fisicamente la relazione, come per proteggerla e raccontarle tutto. Sussurrano e non so cosa passi, ma la mia sensazione è che si sia interrotta una fiducia in via di costruzione. Hany per tutta la lezione passa dal guardare il libro all’osservare il prof. P. e me, ma soprattutto è la sua migliore amica e compagna di banco, Sabry, che mi studia: mi fissa insistentemente con uno sguardo duro, anche perchè lei era in aula e ha sentito il discorso del professore.

Il docente, poi, vuole coinvolgermi e afferma che io sto facendo “un sondaggio” e davanti alla mia espressione poco convinta (nonché irritata per quanto già avvenuto), poiché tutti mi guardano, corregge il tiro, aggiungendo: “con osservazione diaristica” e subito fa domande alla classe, che resta attonita e sembra non seguire il filo. Sebbene in quel momento mi divenne chiaro che questo docente non godeva della simpatia degli alunni459, tale incidente mi ha mosso molti dubbi sul da farsi: parlarne a ragazzi? Dare altre spiegazioni o negare? O ancora ignorare? Si è, insomma, verificata una situazione imprevista, che dovevo rendere “occasione per svoltare al momento opportuno” e

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La classe è composta da 16 alunni, di cui la metà esatta femmine. C’è una sola straniera, sikh, e due alunni con certificazione, abbastanza inseriti nel gruppo. Le provenienze sono per lo più cremonesi e bresciane.

457 Si era concordato che si sarebbe detto agli alunni che osservavo le dinamiche della classe. 458

È una bella ragazza, con elementi che richiamano all’India quanto all’Italia (una lunga treccia, abiti occidentali, orecchini indiani, bracciale sikh) e ha modi eleganti e pose regali. È in Italia da sette anni e parla perfettamente l’italiano.

459 Come del resto mi venne presto rivelato da altri colleghi e poteva essere intuito dalle molte domande che iniziarono a pormi gli studenti, che volevano capire cosa pensassi di lui.

trasformare in “serendipità”460.

Subito dopo la lezione, allora scelgo di esprimere a P. la mia preoccupazione e spiegargli l’accordo preso con i suoi colleghi, sperando in una strategia comune; P. però sostiene che gli alunni non si sono accorti di nulla... Io non credo che ciò sia passato inosservato, ma perché, poi, non avrebbero dovuto accorgersene? Di fatto il docente parte da un preconcetto, che più volte, nel corso del tempo, mi spiegherà: per lui i ragazzi “dormono”, quindi non colgono quanto avviene a scuola.

Le mie strategie riparative, allora, dovevano essere attuate indipendentemente da lui e, in pratica, queste sono state sostanzialmente due: non mantenere un atteggiamento distaccato e sopra le parti, ma velatamente lasciare intuire ai ragazzi la mia perplessità verso i modi e le parole di tale docente e poi chiedere alla professoressa più amata la disponibilità di chiarire la situazione in classe. Anche in questa seconda comunicazione sulla mia ricerca, nessuno prende la parola, ascoltano solo, lasciandomi il dubbio di non essere stata incisiva, di non aver ottenuto credibilità e così via. Nel frattempo però, sfruttando il fatto che Hany resta sola durante l’ora di religione, perché esonerata, decido di alternare la mia presenza in aula e fuori, in modo da “farle compagnia”. Il tempo assieme a Hany, passato molto rapidamente, è all’insegna della cordialità e delle confidenze, innanzitutto da parte mia: svelo alcune difficoltà con qualche docente, che tra l’altro avevo capito non piacere ai più, e subito Hany mi dà informazioni sulla scuola, i corsi, ma non si sottrae neppure a qualche considerazione personale. A facilitare la situazione, poi, arriva pure l’invito di alcune ragazze straniere della prima, che stanno festeggiando l’ultima lezione di L2, con un’insegnante che conosco da tempo. Io e Hany così ci facciamo coinvolgere da una torta e un clima divertito e divertente, anche se la sikh dice di accettare solo se le prometto di starle vicino. La breve parentesi in questa festa, di fatto, ci unisce e permette qualche reciproca confessione su gusti/preferenze e carattere. Credo che così Hany superi una certa diffidenza nei miei confronti, sebbene, invece, io resti sotto la cauta osservazione delle sue amiche e soprattutto di Sabry.

Il tempo, la graduale conoscenza, il fatto che qualcuno inizi un terzo grado e non mi risparmi critiche (rispetto soprattutto al fatto che “perdo tempo” stando in una scuola nonostante anni di studio), le confidenze di altri e pure l’essere chiamata a dare consigli

460 Woods P., 2003 I metodi etnografici nella ricerca sull’insegnamento creativo in Gobbo F., 2003b op.

su moda e bellezza di partner o presunti tali, fa sì che pian piano io “entri” davvero in quella classe.

Progressivamente la mia presenza diventa motivo non più di timori e curiosità inespresse, ma di confronti. Così accade, ad esempio, che Bruno un giorno risponda in dialetto alla docente e quando Gemma gli fa notare che io “segno”, lui si metta a contrattare: “Beh non mette nome e cognome”. Dopo un po’ di tempo, le mie annotazioni diventano anche uno strumento di denuncia da impugnare a loro vantaggio, tanto che iniziano a chiamarmi e dirmi: “Segni che c’è violenza nei miei confronti.” Non sono da sottovalutare però anche altri episodi: ad esempio, il fatto che volutamente copra alcuni suggerimenti durante la verifica461, ma anche tranquillizzi i ragazzi sulla loro preparazione o le loro capacità e soprattutto lasci diventare sempre più palesi le mie perplessità sul prof. P., su quanto dice e su come interroga.

Alla fine, comunque, riesco a diventare parte della classe: mi informano su antipatie, problemi e ammettono pure di temere il mio giudizio. Davanti alla richiesta di sapere cosa ho raccolto e ricavato dalle mie osservazione, così, concordiamo una restituzione finale, che di fatto vuole essere un modo di rassicurarli sulla loro “normalità” e sulla mia assenza di valutazione nel fare ricerca. Proprio questo incontro finale è degno di essere analizzato come ulteriore elemento di riflessione, ma anche come chiave interpretativa nuova.

10.1 La restituzione: la legittimità dell’osservazione

La storia di tale rapporto non poteva che chiudersi con una lezione dedicata alla restituzione dei miei risultati parziali e alle loro riflessioni, che di fatto sono a loro volta diventate oggetto di analisi. Infatti, proprio le loro parole hanno contribuito alla co- costruzione di un’ulteriore conoscenza dei vissuti e delle dinamiche messe in atto, ma hanno anche ridato potere ai ragazzi: ossia essi hanno potuto dire la loro, essendo ascoltati e liberi di fare ipotesi, porre questioni e critiche al sistema scolastico, mostrando in modo palese di conoscerlo bene. La restituzione, inoltre, ha permesso, più delle rassicurazioni o delle spiegazioni, di chiarire il vero senso dell’osservazione

461 Durante uno dei primi giorni annoto sul mio quaderno di campo: la professoressa esce avvisando che

ci sono io, subito i più parlano, io non dico nulla, mi guardano, mi studiano, Hany si gira e si confronta con Sabry e Jessy; Fabio a alta voce: “Cosa vuol dire?” Hany e Jessy rispondono assieme a alta voce… Fabio: “Che palle sono solo a metà”. La classe commenta la lunghezza della verifica.

partecipante e ha tolto loro quella sensazione di essere oggetti passivi di studio. Citare le loro frasi e le loro azioni li ha resi, finalmente, protagonisti.

Il mio arrivo è concordato e atteso462, tanto che i maschi vengono a controllare che sia in scuola e commentano che sono curiosi. In classe si respira subito un certo fermento e anch’io sono un po’ tesa, soprattutto per il cambio di ruolo: da osservatrice, che si mimetizza con gli alunni, a “esperta”, a cui si cede la cattedra. C’è molta attenzione e qualche commento sussurrato, così invito a dire tutto a alta voce per costruire assieme i risultati di quella osservazione463. Da subito affiora lo stupore per quanto ho scritto (“esce l’enciclopedia”)464, ma la classe si anima: quasi tutti partecipano e costruiscono un discorso, avanzano ipotesi, dubbi, domande.

Emerge quanto essi si aspettavano dalla mia osservazione e, quindi, quelli che vedono come punti critici della scuola: tra i primi, il tema delle differenze, che si declina sia come “differenze di uno stesso prof. con alunni diversi”, sia viceversa come le loro preferenze a seconda dei docenti.

Vedermi scrivere il quaderno di campo, durante l’osservazione, ha fatto sì che nascessero dubbi (“Ma quando ci soffiavamo il naso ci segnavi?”) e ipotesi465 solo ora espressi. Avere l’occasione di precisare cosa annotavo e descrivere i loro meccanismi difensivi (per cui, ad esempio, chi si sentiva guardato si metteva diritto e buono) ha permesso di analizzare il mutare delle relazioni nel tempo, sdrammatizzare e ridere sul periodo trascorso. Si sono affacciati i ricordi466, ma anche le loro attente osservazioni: “Guarda che abbiamo capito che con P. scrivevi tanto per non farci vedere le facce che

facevi, ma anche tu pensavi come noi, che dice delle c******”.

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