Ora, analizzerò due materie che non piacciono ad Hany, per motivi diversi: educazione fisica, in cui la sikh non si sente portata, e psicologia, dove l’alunna, così come i suoi compagni, non apprezza le modalità didattiche e relazionali del docente. Questa focalizzazione su tale discipline mi serve a metter in luce sia le strategie che la giovane
511 Ngo, 2006 op. cit. Sull’investimento scolastico dei genitori di gruppi di minoranza si veda pure, tra gli altri: Bhatti, 1999; Gibson, 1987; 1997; Gibson, Bhachu, 1991; Gibson, Ogbu, 1991.
utilizza quando non è la prima della classe e non ha la stima dei professori, sia il rapporto con i pari in momenti di difficoltà.
17.1 Educazione fisica
Hany dice a Ila che non sa se andare a scuola il giorno dopo perché non è preparata per la verifica, Ila insiste perché vada lo stesso…
Il giorno successivo scopro che la prova temuta è di educazione fisica e intuisco presto che il rapporto di Hany con la materia e, in parte, con la docente non è soddisfacente. Non le piace ginnastica perché non riesce bene, ma anche perché non ne capisce il senso, tanto che più volte viene a dirmi la sua sofferenza o ad ammettere: “Non sono
capace” e a chiedermi: “Ma perché devo farla?”.
La docente, del resto, la giudica: “Brava bambina” e sebbene ci tenga a indicarmi i progressi (all’inizio non parlava, non usciva dall’aula e non c’era modo di farla correre, invece ora fa tutto) lascia trasparire una visione della ragazza come “indietro” rispetto agli altri. Durante la lezione, la corregge spesso, anche se poi, talvolta, le alza il voto, rispetto all’insufficienza che le darebbe512. Hany, da parte sua, è rassegnata al voto negativo in ginnastica e non sembra prendersela neppure, anzi, se mai mostra la sua perplessità quando riceve una sufficienza. Durante la verifica in corpo libero, la sikh prende “tre” e la professoressa mi preannuncia: “Adesso vedi le reazioni
all’insuccesso”. Hany, invece, aveva già svolto l’esercizio senza crederci (si vedeva
dallo sguardo, dal sorriso rassegnato, dal fatto che abbozzava il passo, ma non lo tentava davvero) e, appena la prof. B. finisce i suoi commenti, lei va dalle sue amiche e parla con loro, sorridente. La docente, così, si stupisce del fatto che la ragazza non pianga. Proprio per tale rassegnazione, Hany non è motivata a vincere questa sfida e sceglie la strategia della resa: quando la professoressa non la vede, smette (ma in genere quasi tutti cercano di finire prima perché la lezione è impegnativa); nei giochi di squadra si mette in posizioni studiate per fare il meno possibile e lo dichiara: “Sto qui così esco
subito”. Il bello dell’ora è quando sta in panchina e può concedersi una chiacchierata,
ma se questo non succede bisogna attuare le strategie di sopravvivenza.
Nei giochi, Hany è sollecitata e incitata dai pari e se fa un tiro giusto tutti (anche gli
512 La professoressa crede molto nel suo insegnamento, perciò non accetta giustificazioni, fa lavorare tanto e dà voti bassi, tanto che Hany ha più volte avuto come unica insufficienza sulla pagella quella in ginnastica.
avversari) si complimentano e le battono le mani e pure la prof. B. la elogia. La docente, però, pare meno convinta e qualche volta le sue frasi, anche se apparentemente esortative, nascondono giudizi, come nel caso seguente:
Giocano a pallavolo: Hany deve fare una battuta e Dario (con un tono esortativo e tenero): “Dai tocca ancora a te, forza”. Hany sorride, ma sbaglia. Jessy, vedendo lo sguardo della docente, intercede: “Prof, si è emozionata”. Hany fa l’aria stanca, riprova e sbaglia ancora e la professoressa: “Sveglia!”. Hany si mette la mano al volto, intanto anche Ila sbaglia e Fabio (con tono duro): “Sveglia, dai”, Ila si difende...
La classe incoraggia molto la sikh, che da parte sua non nasconde né la fatica, né l’ostilità verso la materia. Proprio questo sostegno sembra dovuto sia ai modi miti di Hany, sia alla coesione della scolaresca. Bisogna aggiungere che forse le difficoltà dell’indiana la rendono da una parte più umana (lei che riesce bene ovunque, qui fallisce, proprio all’opposto degli altri), dall’altra, le conferiscono ancora meglio lo status di “brava”: prende buoni voti laddove si impegna, studia, ma qui è per lo più un discorso di predisposizioni personali, poco coltivabili, così come in qualche caso le dicono. È interessante notare però che i compagni non hanno la stessa attenzione e pazienza verso gli sbagli di tutti: verso Ila, che forse andrebbe aiutata più di Hany (per le sue difficoltà), esce la stanchezza della squadra, così quella frase che potrebbe essere per spronarla assume un tono di rimprovero, al quale Ila controbatte difendendosi. Hany non sente il bisogno di difendersi, invece, non solo perché ha dato per persa la sua battaglia con lo sport, ma anche perché non avverte la sgridata.
In realtà, c’è chi la sgrida a ginnastica: Sabry, che le fa notare che non va verso la palla, che si nasconde per non fare, che non si impegna… Un giorno l’amica durante una partita di pallacanestro (in cui fanno parte di squadre diverse) la chiama per farsi passare la palla, Hany gliela dà subito e poi, sorridendo, si mette le mani alla testa: “No, è
l’avversaria!”, Sabry ride divertita e poi la invita a essere più attenta.
Se quindi i compagni in genere la consolano, la esortano e usano verso di lei atteggiamenti protettivi, proprio perché rispondono (forse implicitamente) all’immagine di una giovane fragile, la sua amica Sabry si pone come l’insegnante della situazione: la controlla, la sgrida, la mette in difficoltà per invitarla a fare meglio, le spiega… Hany, da parte sua, si fa “coccolare” dagli amici e non si fa turbare da Sabry: accetta le sue provocazioni divertita e consapevole delle sue fragilità. Davanti ai suoi limiti, del resto, ha deciso una resa. Chiedendo a terzi il senso dell’educazione fisica, di fatto, si è già
data la sua risposta: non è una materia importante, non cambierà le possibili prospettive di lavoro e successo, quindi può essere disinvestita. L’unica strategia da attuare allora è sopravvivere.
17.2 Psicologia
A Hany, come a tutti i suoi compagni, psicologia non piace. È il primo anno che tale disciplina entra nel loro piano di studi ed è sfuggito loro il senso. In realtà, si chiedono perché devono imparare Freud e simili, ma poi una certa curiosità di capire e interpretare anche le loro vite c’è; se mai la difficoltà è nell’afferrare la logica della lezione, che del resto il più delle volte sfuggiva anche a me.
La materia viene giudicata poco accessibile per i contenuti e il linguaggio, ma l’aggravante è dato dal fatto che non vi è sintonia con l’insegnante, tanto che in più occasioni gli studenti chiedono a me spiegazioni alternative e alla fine mi supplicano pure di sostituire il docente. Il prof. P., come emerso anche prima, è visto come incompetente, confuso, non comunicativo e neppure simpatico. La classe, quindi, vive con fatica le lezioni di P., ma trova ancor più la sua forza interna unendosi e cercando di darsi un reciproco sostegno. Lo studio, come Hany stessa mi spiega, viene compiuto per di più assieme, magari al telefono, per cercare di capire meglio il testo o quello che il professore voleva dire. I compiti sono fatti passare e copiare; nelle interrogazioni e nelle verifiche i ragazzi si suggeriscono il più possibile; durante le spiegazioni si danno sguardi di comprensione e insieme di compatimento verso il docente e si aiutano come possono. Negli intervalli, soprattutto, non manca mai il sostegno a chi è stato bersagliato dal professore con domande, richieste o battute.
Riporto ora dal diario di campo l’osservazione di un’interrogazione fatta ad Hany, per rendere più chiara la situazione della classe e per entrare nello specifico:
il professore fa a Hany una domanda che non si capisce e Hany con l’aria di chi non sa: “Ehm”. Bruno risponde e il prof. guarda Hany, che finisce il discorso... il professore richiama Hany perchè faccia lei una domanda, ma lei non parla, ha l’aria di chi è in difficoltà, P. incalza: “Dai, dai” e Hany: “Non so pronunciare”. Lui ripete come per prenderla in giro, Sabry lo guarda male e scuote la testa (come se lo detestasse), Hany sorride, poi risponde. Si blocca dopo poco davanti a nuove domande che le pone; Giada e Gemma suggeriscono, Hany riprova. Il prof. la interroga ancora e Hany guarda Sabry, le chiede aiuto e Sabry: “Non so”, Hany prova, lui le fa domande pratiche e lei si blocca. Il prof., verso la classe: “Com’è facile
farla cadere! Eh?”; Hany riceve suggerimenti e risponde, lui fa un’altra domanda e quando Hany inizia la risposta, dice: “Sentiamo Dany?”, Hany: “Sì, sì” e sorride.
Per l’analisi di tale episodio parto dalla cornice: ossia, da una parte, gli aiuti che le vicine danno a Hany, dall’altra, le modalità del docente. Si nota, infatti, un’insistenza dell’insegnante nel porre domande e traspare l’obiettivo, poi dichiarato, di metterla in difficoltà, “farla cadere”, tanto che quando la giovane si riprende e trova il modo di rispondere, il professore cambia quesito o interlocutore. Occorre precisare che in più occasioni l’uomo ha tentato di convincermi rispetto all’incapacità di ragionare degli alunni, anche dei più preparati, e quindi questa interrogazione potrebbe voler essere la sua dimostrazione. Il docente, poi, vorrebbe far divertire, prendendo in giro la sikh, ma di fatto, sebbene lei sorrida, nessuno sembra apprezzare la sua ironia: nemmeno uno ride o interviene, anzi Sabry manifesta con il non-verbale un disappunto, che è condiviso dai più.
Osservando il comportamento di Hany, innanzitutto, si può notare come le sue perplessità o le difficoltà nel capire e rispondere al quesito siano leggibili dalle espressioni che fa: in parte forse ciò è dovuto a una certa spontaneità, ma credo che dietro a tale visibilità vi sia anche una scelta. Assumere l’aria di chi non sa dare la risposta, infatti, mette in genere il docente in condizione di rispiegare la domanda o di fornire un indizio, cosa che non avviene in questo caso. Lo sguardo, però, può essere anche un’invocazione d’aiuto verso i pari, che prontamente colgono e intervengono o, quando non sanno, come Sabry, le verbalizzano la difficoltà, mostrando comunque di comprendere la richiesta. Qui le strategie di sopravvivenza di Hany sono molte: cercare aiuti, sfruttare i suggerimenti, ma anche improvvisare un ostacolo linguistico513, espresso da quel “non so pronunciare”. Se in altre circostanze questo sguardo e tale dichiarazione di difficoltà potevano smuovere la sensibilità di qualche docente, in questo caso le sue tecniche non ottengono il risultato voluto, anzi vengono ridicolizzate. Davanti a tali reazioni, ad Hany non resta che il sorriso, segno non di divertimento, ma di compiacimento. Qui entra in gioco il fatto di essere al centro della scena e dover attuare i comportamenti consoni alla ribalta. Proprio in questi termini si può leggere un altro episodio:
Il prof. P. chiede se hanno “svegliato le coscienze e portato i soldi da mandar in India, Pakistan e dove c’è bisogno”, la classe si guarda ammutolita, il prof.: “Ah, grazie siete molto
513
bravi”. Sabry nota che ci sarà una vendita a scuola di torte per beneficenza, il prof. P dice che quella beneficenza non sarà facile. Silenzio, lui insiste, poi uscendo invita a fare una cassetta, nessuno risponde e lui: “Allora Hany lo fai tu?”, Hany annuisce, ma pare non convinta. Il docente esce e Fabio: “Sì, spendo 500euro per la patente e…”, Hany: “Finalmente è andato”. Sebbene questo tentativo del docente andrebbe attentamente analizzato sia dal punto di vista contenutistico (perché veicola l’immagine di un’India povera a cui provvedere con la beneficenza), sia da quello comunicativo (il professore colpevolizza la classe), mi limito a osservare l’atteggiamento di Hany. Finché non è coinvolta direttamente, fa come i suoi compagni, resta in silenzio, poi, quando il docente la interpella, annuisce. Il volto e la frase successiva all’uscita di questo esprimono tutta la sua perplessità, ma Hany sceglie di non contraddire il professore fin tanto che ha l’attenzione su di sé. Bisogna precisare che probabilmente la giovane avverte un atteggiamento ambivalente che l’insegnante ha nei suoi confronti, come si può notare dalla seguente annotazione diaristica effettuata durante una verifica:
Hany va dal prof.P. per un dubbio, lui le mette la mano sul braccio e le spiega il senso della domanda in un italiano poco chiaro (io fatico a capire cosa vuol dire). Hany ha l’aria perplessa, P. le chiede se capisce, lei esita e poi precisa: “Ho capito il senso…”. Il docente, allora, replica deciso: “Non posso rispondere alla domanda!”…
Come si nota il professore dapprima, appoggiandole la mano sul braccio, sembra volere mostrare a lei (e forse pure a me) una certa vicinanza; in seconda battuta, le fornisce una spiegazione della domanda in un italiano approssimativo, come se il dubbio della giovane fosse a livello linguistico e le andasse semplificata la forma: così facendo testimonia una sottovalutazione dell’alunna, che considera solo come “straniera” e quindi in difficoltà con la lingua, mentre non ha conoscenza reale delle competenze di Hany; alla fine, poi, conclude in modo secco, quasi scostante, manifestandole così il fastidio di quegli aiuti.
È facile intuire, dalle annotazioni riportate, che il rapporto tra questo docente e Hany abbia delle problematicità, che la giovane affronta non contraddicendolo, ma lui interpreta tale atteggiamento come passività.