Se, come notava Cadzen476, l’avvio delle lezioni rappresenta sia la fase di preparazione del materiale, sia quella dei racconti, nella classe quarta si assiste spesso a un dialogo (che va oltre i temi scolastici) tra professore e alunni proprio in questo momento. Per la precisione anche in attesa del suono della campana di fine ora, il docente spesso termina prima la lezione e parla con i ragazzi. Questi sono gli spazi maggiori per la comunicazione, ma, in realtà, in questa classe si nota di frequente la ricerca, da parte degli insegnanti, di uno scambio, anche che trascenda dall’argomento didattico. Un esempio, in cui si nota il tentativo dei docenti di fare riflettere e problematizzare alcune certezze, si ha, un giorno, quando un professore fa una digressione e chiede se l’anima esiste. Gli alunni lo guardano allibito, Bruno risponde: “È una certezza”. Il docente chiede perché e Sabry spiega: “Ci sono le apparizioni”… e lui ironizza: “Ah, io vedo
sempre la Hunziker, allora è l’anima!?”, tutti ridono. Il docente prende così spunto da
questa battuta per aprire una riflessione e spiegare che l’esistenza dell’anima non è provabile, ma per la nostra educazione è stata considerata un assunto. In tale modo invita a pensare a ciò che culturalmente diamo per vero o scontato. L’obiettivo del corpo docente, quindi, è quello di far ragionare e sviluppare forme autonome di pensiero, ma questo si scontra con la realtà della classe in oggetto e dimostra che le interazioni hanno un carattere cooperativo477 (anche quando non avvengono).
Se la classe in questione, infatti, risponde alle richieste scolastiche di una “partecipazione disciplinata”478, lo fa a scapito di una vivacità e di un entusiasmo, che restano ambiti dai suoi docenti. In effetti, essa è ideale per ordine e compostezza, ma ha anche assorbito talmente profondamente queste richieste da parere impermeabile, senza curiosità o desiderio di mostrare le proprie capacità. Di fatto spesso gli insegnanti si trovano davanti a persone poco reattive, lamentano una certa “sonnolenza” o apatia e stuzzicano la scolaresca con l’ironia: ad esempio Alberto esulta perché ritrova una
476 Cadzen C., 1988 Classroom discourse. The language of teaching and learning Heinemann, Portsmouth cit. in Gobbo, 2000 op. cit.
477 Come nota Gobbo (2000) 478
verifica e il professore ironizza: “Facciamo tutti Oh” e dà il via alla associazione, tanto che Bruno canta: “I bambini fanno oh”.
In certi casi, i docenti puntano persino sull’ambiguità per far sorridere: un giorno Bruno (guardando il disegno) esclama: “Ma io l’ho grande” e il professore: “Tutti dicono
così”, suscitando l’ilarità generale.
L’ironia è usata anche per spronarli: “C'è chi dice che va tutto bene e non sa di cosa
parliamo!”; “Quando alzate la mano, mi aspetto domande intelligenti e invece è sempre per andar in bagno”; “Soffrite in silenzio come tutti!”.
La stessa strategia, poi, è fatta propria anche dagli studenti che, con leggerezza, fanno passare dei messaggi (come quello di Dany: “Con mia mamma ci vada piano (alle
udienze), è debole di cuore”), oppure sdrammatizzano la situazione, per evitare sanzioni
troppo dure (Fabio al docente: “I compiti, me li ha mangiati il cane”).
Il clima sereno, del resto, lascia spazio agli alunni per fare battute anche sulle proprie disattenzioni, così quando la docente nota che l’esercizio è uguale a un altro già fatto, si sente rispondere: "Sto dormendo". Allo stesso modo durante una lezione Fabio dichiara: “Se c’è l’interrogazione si può dormire”. Sebbene spesso l’ironia sia vista come espressione di disagio e di decostruzione delle norme479, tuttavia in questo contesto sembra che rifletta più che altro la comprensione dei segnali di contestualizzazione480 necessari per tale conversazione. Intendo dire che in tale ambiente lo sdrammatizzare è un’abitudine, un modo per fare passare diversi tipi di messaggi e quindi i ragazzi hanno saputo cogliere la sua funzione e la utilizzano allo stesso modo degli adulti.
In certi casi, poi, l’affetto per qualche docente e una certa distensione fanno sì che da una battuta si aprano confidenze più importanti e una parte della lezione sia volta a comprendere gli umori della classe. Un giorno, ad esempio, entra la segretaria per avvisare che la prof. I. (non molto amata) sostituirà la prof. D, che piace a tutti e anche a Hany. La prof. D spiega allora che deve accompagnare in gita la classe terza e la sikh protesta, sorridente: “Allora prof, deve cambiar giorno della gita!”; Bruno fa una controproposta: “Veniamo tutti con la 3^!”. La donna mostra di stare al gioco e fa emergere simpatie e antipatie verso alcuni suoi colleghi, sapendo già, in realtà, dove punzecchiare gli alunni, tanto che chiede provocatoriamente: “Cos’era meglio?
479 Gobbo, 2000 op. cit.
480
Psico481?”, tutti: “No!!”. La docente riprova: “Francese?”, Sabry: “Meglio francese che psico”, allora l’insegnante si rivolge direttamente a Sabry: “Non hai feeling con il prof di psico?”, Sabry conferma e Fabio rinforza: “In francese Sabry non va bene, ma questo dice tutto”. La professoressa a questo punto stuzzica Hany: “Beh, meglio la B. (nd: prof. di ginnastica), eh Hany?”; la sikh accetta il gioco e ribatte: “No! Ci fa correre tutto il tempo” e la donna continua: “Ma se non ti dà neppure più l’insufficienza”, Sabry si
inserisce: “L’ho pagata”, Hany conclude (con aria rassegnata): “Ormai non dice più
niente”, tutti ridono.
Come si coglie da questa osservazione, qui è proprio la sikh che, con una battuta, dà il via ad un indice di gradimento sui professori. Hany, così, mostra di apprezzare la prof. D, dato che è anche la prima a esporsi (facendo capire che non ama molto la prof. I). La giovane, inoltre, non essendo estroversa, esce dal suo ruolo usuale: prende la parola e fa dell’ironia provandosi in uno stile non-abituale, anche perché sa di poterlo fare con quella docente. Se Hany e gli altri dimostrano di fidarsi, d’altra parte, la professoressa gestisce la situazione con umorismo, sapendo cogliere sia le preferenze della classe sia quelle individuali. Chiusa, però, la parte giocosa, tutti tornano rapidamente ai loro ruoli. A volte, inoltre, i professori stessi improvvisano dei siparietti comici:
La prof. D. rivolgendosi al prof. F dice che il lavoro può esser portato come tesina in 5^, brusio; il prof. F. non ascolta e la donna lo prende in giro: “Guarda con che colleghi ho a che fare! Oh…”, F. alza la testa: “Ce l’hai con me?”, tutti ridono. La prof. D rispiega e lui: “Se hanno costanza di fare…” e lei ribatte (con tono d’offesa): “Oh! Questi sono i miei bambini, tu non li tocchi, non me li scoraggi così! Hai sbagliato classe, eh!”, tutti ridono.
La docente D., giocando sul ruolo materno, e il prof. F., facendo “l’ammonitore”, passano in realtà vari messaggi: l’importanza dell’impegno e della continuità e la fiducia in loro482, tuttavia usano il potente strumento dell’ironia, catturando l’attenzione dei ragazzi.
Solo in un caso annoto una situazione caotica, prima dell’inizio delle lezioni, subito risolta, però, dall’ingresso del docente, come si può constatare dall’osservazione:
Fabio e Bruno rubano a Gemma del cioccolato, se lo tirano, urlando e usando parolacce, altri si uniscono... Il professore entra e chiede: “Perché dovete urlare e usare questo linguaggio scurrile?”, tutti si siedono.
481 La professoressa usa volutamente l’abbreviazione usata dai ragazzi.
482 Avvalendosi della teoria di Woods si può dire, tra l’altro, che i professori usano due strategie di sopravvivenza: lei utilizza una “iniezione di fiducia”, mentre l’uomo il “rituale” (che si può esprimere in: “va bene se fai come si deve”): si veda Fele et al, 2003: 50.
Più spesso, invece, come emerge dalla seguente nota di campo, i diversivi sono portati da altri alunni della scuola, che entrano in quarta per fare scherzi, e con la scelta delle materie in cui inserirsi indicano con quali insegnanti si può osare e con quali no:
Uno di 3^ si mimetizza tra gli alunni. Entra la prof. A. e non se ne accorge, poi solo quando entra anche un altro prof. (G.), “l’imboscato” si alza e se ne va, così la prof A. lo nota: tutti ridono.
In qualche caso, però, esce anche la provocazione e gli studenti sperimentano la sfida dell’autorità del docente:
L’insegnante vuole fare un esercizio alla lavagna e chiede: “Uscite voi?”, Gemma: “Noo”. La professoressa chiama Marco, che dice: “No, non ci ho voglia di uscire” e sta al banco, lei: “Dai, dai”, Marco aspetta, ma poi va... Marco fa, ma con l’aria seccata. C’è brusio, perché tutti si confrontano. La professoressa corregge Marco che è sempre più irritato e quando va al posto dice: “Che c*******”. La donna fa finta di niente e Bruno lo sottolinea.
12.1 Il malcontento
In certi casi si esprime non solo la provocazione, ma pure il malcontento e la distanza dalla scuola483. I momenti in cui è più facile osservare reazioni innervosite o sfiduciate da parte degli alunni sono quelli in cui in gioco vi sono i giudizi, così davanti ai pagellini del primo trimestre si assiste a questa scena:
Fabio: “Che c**** scrive T (nome di un prof.)? Non suff.? Quando non fa verifiche da settembre e non ci ha neppure detto i voti?”; la professoressa presente (ferma, ma dolce): “Fabio, che modi!” e cerca di capire, quasi tutti si animano: “Abbiamo fatto una verifica sulle cose dell’anno scorso e basta”, “L’abbiamo corretta noi!”, “Non sappiamo i voti”, Fabio: “A me cambia poco aver 4 insuff. o 5 e non ho più studiato, lo so, ma così non ha senso”. La professoressa dice che T valuta i lavori fatti a scuola e la classe: “Se non spiega?!”, “Non li guarda”, lei cerca di mediare ancora e poi riprende la lezione. Resta la confusione, tutti commentano i voti e Fabio a Marco: “Questo prof. (T) è da portar al bar, farlo bere e basta”... Ancora una volta queste reazioni e soprattutto gli sfoghi non uscirebbero con tutti gli insegnanti, ma la fiducia e il grado di confidenza sono ben calibrati. Nuovamente si può
483
Qui affronto solo il discorso da parte degli alunni, ma bisogna precisare che anche i professori hanno ragioni di malcontento: come la passività della classe, che si traduce poi nella difficoltà di seguire i lavori scolastici. Una docente avvisa più volte che ora sono nel biennio di post-qualifica e devono affrontare una maggiore complessità, quindi servono più attenzione, riflessione personale e studio. Lo scopo per cui è ricordato il passaggio dal triennio al biennio è quello di spiegare un cambio di prospettiva.
parlare di competenza nella comunicazione484 proprio perché c’è la conoscenza della situazione e pure dell’interlocutore (il docente) e l’uso a scuola di modalità e termini tipici di un linguaggio giovanile non è casuale: serve per mostrare meglio la propria rabbia, ma parte anche dalla consapevolezza che quell’insegnante (giovane e comprensiva) non lo avrebbe sanzionato.
Con il crescere della complicità con me, i ragazzi riescono a esprimere chiaramente tutto il loro disappunto verso i modi e la personalità del prof. P. Un giorno, infatti, mi chiedono provocatoriamente: “Siamo tutti zappe e non capiamo niente o il prof non
spiega?”. Se prendono alla larga il discorso, in realtà, poi mostrano di non aver bisogno
di una mia interpretazione, perché sanno valutare attentamente un docente. Le critiche a P., in effetti, sono dettagliate e varie: “Parla piano, unisce parole e è tutto un ble-bla…
che non si distingue”, ma anche dicono che non si sa dove voglia arrivare, spiega male,
fa confusione, non è preparato e fa pure preferenze…
La conclusione rassegnata a cui giungono è che, comunque, “i prof possono tutto”, mostrando ancora una volta di padroneggiare con competenza alcuni aspetti taciti dell’organizzazione scolastica: il potere dei docenti resta indiscusso sia nella relazione alunno/insegnante, sia a livello più generale (chi, nella realtà dei fatti, può valutare le competenze e la professionalità del docente, e poi, eventualmente prendere provvedimenti?).
Anche Hany mostra di avere idee precise sui docenti e si lamenta soprattutto del prof. G., che definisce “molto tecnico” e “troppo professionale”. Dice che nelle sue lezioni “c’è da stancarsi”, perché parla con termini tecnici e “se sgrida è meglio star alla larga.
In classe non piace quasi a nessuno, è sempre serio, duro”.
Se, quindi, il prof. T non è valutato positivamente come docente, ma è salvato e apprezzato come persona, il prof. P non piace in nessun senso, ma è, in qualche modo, compatito e considerato con dei “problemi”, invece di G. si riconosce la preparazione, ma si critica la non umanità, la durezza e l’arroganza. Più volte si notano sguardi tra i ragazzi per criticarlo o prenderlo in giro e proprio con lui si vedono gli scontri più duri. Ad esempio, Fabio un giorno chiede di uscire e il prof. G.: “Esci che è meglio”, Fabio replica: “Posso star fuori anche tutta l’ora!?”. Il professore: “Ecco è meglio!”, Fabio, offeso, sbatte la porta e Jessy commenta rispetto al docente: “Potrebbe star zitto o
pensare a come dice le cose, se lo diceva a me…”.
484
In qualche occasione, poi, gli studenti hanno cercato di contrapporre nettamente i docenti a G., infatti, una volta questi entra prima della prof. M., particolarmente amata dagli alunni, e, quando quest’ultima arriva, tutti la salutano calorosamente e le parlano. Lei invita a non disturbare il prof. G., ma Michy la ringrazia (alludendo che li ha salvati da G.), tutti sorridono, anche la professoressa. Maria va a chiederle piano se può uscire, la docente accetta e G. si lamenta perché, prima, lui si era opposto e si sente scavalcato. La collega si scusa: “Ci casco sempre”, si fa brusio in classe e tutti criticano l’uomo.