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Problematicità dei modelli interpretativi nel contesto italiano

Accogliendo la sollecitazione di Jeffrey363 per cui bisogna spiegare anche i risultati contrari emersi da un’etnografia, analizzo ora alcuni punti critici, che non consentono ai modelli interpretativi visti finora di illuminare la complessità della situazione italiana.

8.1 Investimento o disinvestimento rispetto allo studio?

Secondo Ogbu, innanzitutto, i sikh, studiati nel contesto americano e inglese, non danno valore al successo scolastico quando sono in patria, ma lo apprendono nella nuova terra364, mentre dalle mie interviste emerge, in alcuni casi, un dis-investimento rispetto all’impegno scolastico. Ad esempio, in un focus group condotto in un doposcuola

359 Abbas, 2003 op. cit; Dale et al., 2002 op. cit; Brah A, 1993 Race and culture in the gendering of

labour markets: South Asian young Muslim women and the labour market in “New Community”, 19, 3,

pp.441–458 360

Dale et al., 2002 op. cit; Brah, 1993 op. cit.; Ballard, 1990, op. cit.; Kaur Rait S., 2005 Sikh women in

England Trentham Books, Stoke-on-Trent. Il termine izzat, molto caro alla letteratura sui sikh, è una

parola punjabi, che viene in genere tradotta approssimativamente con “onore”.

361 Frizzera A., 2004 Incontri con l’altro mondo. Ricerca sulla percezione dello straniero e

sull’integrazione scolastica Tesi di laurea, Facoltà di Sociologia, Università degli Studi di Trento.

Relatore Buzzi C., a.a. 2003/04. 362 Shain, 2003 op. cit.

363 Jeffrey, 2006 op. cit. 364

affiora un diffuso malcontento, tanto che la scuola è definita un “carcere” o addirittura una “m****”, utile solo per “non diventar un asino”. Quando domando a questi giovanissimi studenti stranieri, che frequentano le medie, a cosa serve andare a scuola, le risposte -che si completano come se fossero elementi di stesso puzzle- sono le seguenti:

Miriam (14anni, egiziana): “Legger e scriver” Mandeep (13anni, indiana): “Non essere analfabeta” Raji (13anni, indiano): “A aver soldi e aver bel lavoro”

Come si nota, per le femmine vi è una necessità di conoscenza minima, mentre il ragazzo vede una certa strumentalità della scuola365, tuttavia da queste risposte traspare uno scarso valore attribuito all’istruzione.

Allo stesso modo, contrariamente a quanto sostenuto da Ogbu, si nota un abbassamento delle ambizioni accademiche e professionali proprio conseguente all’ingresso in Italia366. Una ragazza sikh ormai maggiorenne, infatti, mi spiega:

“Se fossi in India studierei ancora un po’, avrei studiato di più. In mia famiglia, tutte le femmine hanno studiato di più, le cugine hanno tutte alte qualifiche… All’inizio non mi piaceva andare a superiori, perciò ho scelto questo, era due anni, poi quando sono andata, mi trovavo bene e ho detto: potevo studiare di più”.

Interessante è il confronto che questa ragazza fa tra prospettive in India e in Italia, perché, sebbene possa essere inatteso, è molto comune tra i sikh. Ancor più significativo appare il raffronto con le cugine: l’idea di avere più possibilità in India è antitetico a quanto si aspettano gli italiani, ma soprattutto è l’indice di una riduzione delle aspettative e dell’investimento accademico. Quindi contrariamente al senso comune, non è il modello italiano che spinge le giovani a studiare, per emanciparsi, ma la convinzione dell’importanza della formazione è già presente in alcune famiglie sikh. Se mai, pare si debba riflettere su cosa demotivi le studentesse indiane in Italia: anche accettando l’ipotesi, confermata da altre ricerche, che gli stranieri si percepiscano più in difficoltà nella secondaria italiana rispetto all’esperienza scolastica in patria367, sembra che il lavoro da fare per superare tali vissuti sia ancora lungo e debba mettere in gioco i singoli attori, quanto le istituzioni. Questo aspetto, inoltre, è particolarmente

365 Del resto anche Besozzi (2002) riscontra che la scuola assume un valore strumentale al lavoro e di acquisizione delle competenze di base. Fra gli stranieri con basso rendimento queste due connotazioni superano la valenza espressivo-formativa (studio per l’autorealizzazione).

366 Per un approfondimento, si veda Galloni (2008a). È interessante notare che la stessa percezione si ricava anche in Zanfrini (2006a) per i filippini.

367

significativo perché rientra nel più vasto tema dell’orientamento e della scelta scolastica, che rappresentano un'altra criticità del sistema italiano368.

8.2 Sikh, modelli di successo o esempi di insuccesso?

Altro elemento di problematicità è dato dal fatto che i sikh studiati nel cremonese non si possono inquadrare facilmente né in base alle teorie che affermano il successo della minoranza né a quelle che assumono l’insuccesso, perché essi testimoniano una notevole differenza intra-gruppale. Tra gli indiani, infatti, si può riconoscere chi investe molto sulla scuola come un’importante occasione di mobilità sociale e quindi cerca di attuare la propria riuscita con tutti gli sforzi necessari, secondo anche il modello familiare che vuole i sikh credere nell’importanza del lavoro duro, dell’impegno e della forza di volontà. Per questi giovani proiettati verso la mobilità, ci si può avvalere della teoria di Ogbu, che permette di leggere le strategie da loro usate come parte di un disegno più ampio, familiare e “comunitario”, e si possono trovare affinità con i sikh studiati da Gibson e Bhachu.

Un’altra parte dei giovani sikh, invece, crede nel successo sociale e per questo ritiene che non essere “secchioni” (ossia studenti preparati e diligenti) è il primo passo per conquistare la simpatia dei compagni. I loro comportamenti sono volti a trovare amicizie, i loro apprendimenti sono ricavati dal gruppo più che da altre agenzie educative, quindi a interpretare il loro stile viene in soccorso la letteratura sul gruppo dei pari369.

Proprio per tale loro varietà interna, i giovani sikh conosciuti sembrano confermare la teoria che Moldenhawer370 utilizza per spiegare le strategie usate a livello educativo dai giovani pakistani in Danimarca. Infatti, per l’autore vi è una complessa relazione tra migrazione, educazione -come strumento di mobilità- e influenza della comunità transnazionale371, tanto che questi elementi possono interpretare le diversità interne alla

368 Richiamo solo rapidamente: Giovannini et al., 2002; Besozzi, 2002; Surian, 2003; Omodeo, 2003; Besozzi et al., 2006; 2007; Bertozzi, 2004b; MIUR, 2005b; MPI, 2006; Giovannini, 2004b; 2007; Queirolo Palmas, 2006. Su tale tema rimando a Galloni, 2008a.

369 Si veda il paragrafo 5 e quanto scrive Paini (2007). 370 Moldenhawer, 2005 op. cit.: 65

371 Moldenhawer (2005) nota come la famiglia nella sua totalità, quindi in patria, quanto in Danimarca, reputa una buona strategia di mobilità sociale investire in termini sia culturali sia economici.

stessa collettività pakistana372. Per il ricercatore, infatti, gli alunni immigrati si possono dividere in due gruppi: chi vuole il successo scolastico (non solo per il bene individuale, ma comunitario) e usa una strategia di mobilità ascendente (“upward mobility strategy”), avendo come modello i parenti o i membri della comunità transnazionale che ce l’hanno fatta, e chi fa propria una strategia di accomodazione (“accommodation strategy”) e preferisce avere un maggiore successo tra i pari, che non a scuola373.

A discriminare i due gruppi per Moldenhawer ci sono il biradari374, la famiglia e la casta, mentre per me questi fattori da soli non interpretano tutto, soprattutto i casi di fratelli con differenze di comportamento e profitto scolastico. Altri ricercatori, pur non citando la teoria di Moldenhawer e non occupandosi dell’andamento scolastico, ma solo dell’aspetto identitario, sostengono che l’identificazione transnazionale (di studenti immigrati a Milano) è favorita dal “capitale culturale e sociale, da un ottimo inserimento in una rete etnica e da un forte orientamento verso il successo e il miglioramento personale”375. In tal caso i giovani arrivati in Italia tra i sei e i tredici anni, che conoscono bene la lingua e la realtà italiana e nel frattempo hanno mantenuto un legame con il paese d’origine, sarebbero quelli che potrebbero beneficiare di un collegamento transnazionale. Per la mia ricerca, le conclusioni di Bosisio e colleghi aiutano a offrire un’importante chiave di lettura rispetto alla motivazione scolastica e all’influenza della rete transnazionale: la conoscenza delle diverse realtà. Voglio dire che i sikh che adottano strategie transnazionali e quindi investono nella scuola come trampolino per un successo (qui o altrove) sono quelli che hanno avuto occasione di conoscere e capire come è la vita in patria e nei diversi territori di migrazione.

Un ulteriore elemento di distinzione tra sikh orientati al successo e quelli che scelgono una strategia d’accomodazione credo sia il contesto presente. In esso, infatti, rientra l’influenza dei pari, della realtà locale scolastica e sociale, quindi tutto quanto può essere compreso nell’effetto contesto di cui parla Van Zanten376. Accanto a questa dimensione attuale, le aspettative e l’ottimismo o la disillusione per le proprie prospettive future portano un diverso investimento nel presente. A volte l’indifferenza

372 Per l’autore non sempre gli alunni sono consapevoli delle loro pratiche sociali a scuola e sanno esprimere a parole come si comportano durante la lezione.

373

Per le ragazze incide anche l’idea del futuro matrimonio.

374 Nella ricerca citata il termine ha un ampio significato di fratellanza, in cui entrano in gioco anche rapporti d’amicizia.

375 Bosisio et. al., 2005 op. cit.: 16 376

istituzionale (già a livello scolastico) verso capacità e aspirazioni dei giovani377 scoraggia e demotiva questi ultimi, ma anche li convince delle loro poche possibilità. Del resto a Cremona molti sikh pensano di avere meno opportunità di quanto ne avrebbero in India e citano ad esempio i parenti restati in patria o migrati altrove.

La rete informativa tra sikh, poi, funziona a più livelli: nel selezionare le offerte formative, nell’aggiornare sulle dinamiche del mondo del lavoro e quindi nel trovare occupazioni. Con un passaparola, ad esempio, si informano su dove fare domande di lavoro, a quale agenzie o sindacati rivolgersi…, si scovano soluzioni temporanee (magari in nero) alla disoccupazione, ma anche si danno svolte al proprio futuro. Molti indiani, infatti, lasciano la scuola o non vi si iscrivono, se giungono in Italia da adolescenti, o ancora intraprendono percorsi brevi, perché poi si aspettano di guadagnare qualcosa e di entrare agilmente nel mondo occupazionale. Nella realtà, è facile saperli impiegati per brevi periodi in stalle o ditte, per la maggior parte insieme a connazionali378, ma purtroppo, spesso alla fine di un tempo accordato informalmente, essi si trovano nuovamente in cerca di lavoro.

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