Hany è molto diligente e rispettosa delle regole e del contesto scolastico, ma soprattutto dei docenti, che, come è facile immaginare, la stimano particolarmente. Sembra aver colto che l’interazione con gli insegnanti è una cooperazione490 che include coordinazione di parole e gesti, infatti sa come rivolgersi a loro sia con le parole, sia con i gesti e soprattutto gli sguardi: spesso sono i professori stessi a capire che Hany vuol dire qualcosa o non ha le idee chiare. Lo sguardo è veicolo di significati, che se a volte vengono poi esplicitati, in varie occasioni sono intesi dall’esterno per le azioni che stimolano. Con l’occhiata alunna e insegnanti, ora, si danno cenni di intesa o condivisione, così la lezione prosegue (magari con un intercalare del professore: “bene”), ora esprimono un dubbio, la non chiarezza di un argomento e in tal caso uno dei due interlocutori precisa il concetto.
Gli insegnanti hanno buoni rapporti con lei, come con il resto della classe: la conoscono, la stimano, le correzioni sono rare e bonarie. Dato che molti professori, poi, hanno scelto di passare alcuni messaggi importanti con l’ironia e la classe mostra di saperli cogliere, anche quando devono richiamare Hany usano la battuta. In più occasioni, del resto, si è visto che la giovane sta al gioco, si adatta rapidamente alla richiesta, anche velata, e in molti casi basta anche solo un’occhiata del docente: infatti, tale mezzo, insieme tacito ed incisivo, serve a riportarla al silenzio, qualora si conceda qualche chiacchiera. In realtà, molto spesso Hany mostra una competenza aggiuntiva riguardo all’ambiente: non solo capisce l’ammonimento e si corregge, ma affina le sue strategie. Se, ad esempio, la sgridano per gli aiuti che offre, allora cerca di suggerire più piano o passare di nascosto un foglio…
L’affetto dei professori per Hany si coglie da come la guardano, da come si rapportano
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a lei, da alcune sfumature, così come da frasi dette. Un giorno, poi, viene a fare una supplenza un’insegnante dello scorso anno, molto materna e, come si coglie fin da subito, particolarmente amata: i ragazzi le corrono incontro, la abbracciano e le raccontano. La professoressa chiede come stanno e si accavallano i discorsi, Hany sta zitta, finché ad un certo punto non è la docente stessa a chiamarla e dirle: “Allora non ti
sei trasferita!”. Hany annuisce, sorridente, e la donna afferma che è felice e poi precisa:
“Non so tu, ma a me fa piacere, perché qui ti vogliono già tutti bene”…
La stima e l’affetto testimoniati ora apertamente dalla sua ex-insegnante, così come quelli meno plateali degli altri docenti, fanno venire in mente la riflessione di molti studiosi, che richiamano l’importanza dell’effetto Pigmalione: il fatto che Hany sia considerata matura, intelligente e brava potrebbe influire positivamente sul suo rendimento491.
14.1 Quando il ruolo di manager è acquisito…
La nostra sikh corrisponde bene alla caratterizzazione di manager fatta da Soenen, dato che il suo è un comportamento ideale a scuola. È tra i primi a arrivare in aula, si prepara con il materiale, saluta l’insegnante con gentilezza, è sempre attenta, prende appunti e, se resta indietro o perde il filo, sa come recuperare: guarda gli altri. Segue le lezioni e quando l’insegnante domanda alla classe se è tutto chiaro, spesso è l’unica ad annuire. Quando arriva una consegna, generalmente Hany si mostra pronta e motivata; così ad esempio, un giorno quando una professoressa chiede di provare a fare un esercizio, Hany risponde subito di “sì”, mentre si leva un coretto: “no!!”. Allo stesso modo quando alcuni docenti assegnano compiti per casa, la sikh è una delle poche che li annota.
Nel momento in cui sono rivolte domande alla classe, la sikh, in genere, si confronta con Sabry prima di intervenire, senza competizione, e lascia facilmente il turno ai pari, quasi fosse conscia del suo status scolastico, differente da quello altrui. Voglio dire che Hany, in fondo, non deve più competere per mostrare la sua bravura, già riconosciuta da tutti, così può permettersi di lasciare la parola e la scena agli altri.
Proprio la sua consapevolezza su come funziona il contesto e sul ruolo (di brava alunna) che le viene attribuito la porta, talvolta, a rispondere senza alzare la mano, intuendo che
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il docente (di turno) non si lamenterà di tale auto-selezione. Anzi, in genere, è lui stesso che la stimola a proseguire. In alcune occasioni, tra l’altro, il professore la deve sollecitare a fare un discorso articolato, che serva come spiegazione anche per gli altri, perché, invece, lei risponde con poche parole. Bisogna aggiungere che una certa indulgenza verso le rare volte in cui gli alunni si auto-selezionano deriva, in realtà, non solo dalla preparazione e dalla correttezza di Hany, ma anche da quanto ho detto prima, rispetto alla classe silenziosa e poco partecipante. In più, la sikh è talmente discreta che spesso, anche quando interviene, non usa modalità invadenti o disturbanti, come si nota dalla seguente osservazione in aula:
il professore fa una domanda: Hany e Sabry si confrontano, poi dicono qualcosa, il prof. ripete la domanda e dice: “Ma forse l’avete già detto ma così a bassa voce che non sento”, Hany conferma: “Sì” e lui chiede di ripeterlo.
Se, quindi, si tiene per buona la definizione di Mehan492 sulla partecipazione come riconoscimento dei contesti e produzione dei comportamenti appropriati, si può affermare che Hany partecipa correttamente alle lezioni, anche se non interviene frequentemente in modo attivo. Cenni del capo, sguardi, sorrisi, mimica danno sempre il grado di una presenza attenta.
Anche Hany, come Laddy nella classe prima, si mostra collaborativa con i docenti e, consapevole della sua precisione e dell’immagine che vuole dare di sé, fa da informatrice su consegne e compiti. Così se il professore chiede una consegna dei lavori e nessuno sa di che parla, Hany spiega che c’è un equivoco e l’insegnante le crede immediatamente e cambia programma.
In questo ruolo di leader Hany non è sola, ma è seguita da Bruno (anche perché i due si contendono il primato di migliore della classe): le informazioni di entrambi sono considerate attendibili sia dai pari sia dai docenti. Però la sikh si spinge oltre, infatti la sua collaborazione con gli insegnanti diventa anche un aiuto nel riportare all’ordine Sabry. Ad esempio, un giorno durante una spiegazione, nasce un dibattito su un termine: Hany interviene, prende appunti, si gira, parla con Sabry, che, nel frattempo, ripete la domanda della professoressa alle compagne dietro di lei, ma quando la sikh si accorge che Sabry sta girata a lungo, le dà una botta. Sabry si rimette prontamente diritta con lo sguardo pentito. Sebbene il tutto avvenga bonariamente, tanto che alla fine si sorridono, si nota che la sikh fa da censore del comportamento dell’amica, in nome
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del rispetto delle regole scolastiche. Allo stesso modo, Hany se deve salvare la faccia di fronte al professore non esita a criticare la compagna di banco, magari usando il tono giocoso e l’ironia, come emerge dalla seguente annotazione:
Hany chiacchiera con Sabry, poi quest’ultima chiede al docente di rispiegare, perchè la volta prima era assente; lui dice che si deve far dare gli appunti da Hany e, se poi non capisce, le spiegherà, poi questi si rivolge a Hany: “Ce li hai vero?”, Hany: “Sì, ma non li voleva!”, il professore: “Non li voleva?!” e Sabry: “Non è vero!” picchiando Hany e ridendo: tutti ridono, anche il professore.
Di certo non appare la sikh timida descritta da alcuni docenti, ma in questa circostanza mostra pure di anteporre la sua immagine di persona diligente a quella dell’amica fedele. In questo caso, si vede come in tali dinamiche entrino, in modo sottile ma costante, anche gli altri pari. Qui, infatti, con le loro risate, lasciano intuire che accettano l’atteggiamento di Hany, nonostante, in genere, non apprezzino chi fa la spia e chi assume le modalità della “secchiona”493. I contesti-classe, quindi, non hanno sempre le stesse regole implicite e fanno da cornice ai comportamenti dei singoli: nel caso esaminato, infatti, ammettono lo stile dell’indiana.
Hany, del resto, ci tiene a differenziarsi. Se nota che il professore è arrabbiato perché la classe non ha fatto qualcosa, prende la parola e precisa: “Io ho fatto”, tirandosi fuori dal gruppo rimproverato. Proprio la modalità di affermare la sua diversità, come si è visto per Laddy, ricorda le strategie usate dai sikh osservati alle elementari494: allo stesso modo essi intervenivano, a volte anche urlando, per dichiarare l’esattezza del loro compito o del comportamento. Tale ricorrenza, in contesti scolastici così diversi, mi fa sorgere una domanda: è anche per Hany una modalità appresa da piccola, magari perché con una sola frase fatta (e poche parole) poteva sia mostrare di capire l’italiano e la situazione sia affermare il suo essere in regola? Oppure, indipendentemente dall’età, è uno stile acquisito proprio da chi deve imparare una lingua in un contesto di persone già competenti e deve sfoderare con le sue “aperture” le sue acquisizioni495? O ancora, è solo un bisogno di differenziarsi e di precisare la sua correttezza? A prescindere dal momento in cui ha appreso tale formula e dalle motivazioni iniziali, ora si può affermare che, data la sua ottima padronanza linguistica, l’obiettivo di Hany sia più che altro quello di apparire una brava studente, la manager di cui parla Soenen.
493 Si rimanda al cap. 4 e in particolare a Levinson (1998) 494 Galloni, 2000 op. cit.
495 Pallotti G., 1999 Socializzazione e apprendimento della seconda lingua in Gobbo F., Gomes A.M. (a cura di) op. cit, pp.76-91
La giovane sikh, poi, cerca un rapporto personale con i professori che le piacciono e sfrutta tutti i momenti possibili: prima della lezione o nelle “giunture”496, ottenendo in questo modo pure aiuti per il suo lavoro. Hany conferma così quanto nota Florio- Ruane497: gli studenti che si comportano adeguatamente, secondo i docenti, sono coinvolti in conversazioni “orientate all’apprendimento” (mentre chi è valutato negativamente rischia di adattarsi a tale valutazione). Spesso la giovane, infatti, in questi spazi chiede chiarimenti o consigli, ma in qualche caso propone un rapporto più personale, come quello citato prima con la prof. D.
I docenti, dal canto loro, danno soddisfazione a Hany, spesso la elogiano apertamente498 e fanno sì che il suo stile di lavoro possa diventare un modello da seguire. La classe, del resto, non sembra né stupirsi né prendere male la bravura della compagna, anche perchè, oltre al suo modo garbato, pure i professori mostrano una certa equità. Infatti, questa stima non copre né l’invito a fare sempre meglio né l’indicazione degli errori. Riporto una parte dell’annotazione diaristica effettuata mentre la docente di disegno tecnico chiama ognuno a spiegare le scelte stilistiche fatte per un disegno:
Hany spiega e la professoressa esulta: “Mi hai fatto anche la quadritomia! Vedi che con qualcuno non spreco il fiato”, poi dice alla classe: “Qualcuno, non dico chi… ha fatto tutto!!”, nessun commento. La prof. allora chiama un suo collega, che sta entrando, e dice: “Vieni a commuoverti, lei ha fatto tutto!” e elenca il materiale portato. Poi riguarda il lavoro di Hany e le corregge una scritta, discutendo con lei su alcune scelte. Hany ascolta e poi dice: “È vero, ho capito”.
A volte, però, c’è una certa indulgenza verso la sikh, proprio in nome della sua bravura e efficienza, così il richiamo appare sfumato e ironico. Un giorno, ad esempio, il professore vede Hany e Gemma che si consultano e dice, sorridendo: “Si scopiazza!!...
su certe pagine web non c’è (il lavoro richiesto), c’è solo su quelle del vicino”; Hany
sorride cogliendo che la battuta nasconde un rimprovero.