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A conclusione del presente capitolo sul sistema italiano di accoglienza, si vuole qui esporre alcune riflessioni conclusive.

Innanzitutto, si reitera che quanto esposto sinora costituisce lo stato delle cose nel momento in cui il presente lavoro viene scritto: in considerazione del carattere recente delle modifiche effettuate dal decreto-legge 113/2018, è presto per identificarne il reale impatto sul sistema d’accoglienza e, più in generale, sui meccanismi e le procedure che regolano la richiesta di domanda d’asilo e l’inserimento dell’individuo nel territorio.

Si può, tuttavia, fare alcune previsioni su determinate questioni, in parte già evidenziate nel presente capitolo.

Innanzitutto, l’abolizione della protezione umanitaria e la sua sostituzione con i permessi per “casi speciali” limita drasticamente l’utilizzo di tale permesso di soggiorno a casi circoscritti, vanificando di fatto l’essenza della protezione umanitaria. Considerando che i requisiti di tale permesso erano formulati in maniera generica, ciò ne permetteva il riconoscimento in tutti quei casi in cui la Commissione territoriale lo avesse ritenuto necessario, sia per una motivazione relativa alla storia personale dell’individuo, sia per eventuali lacunae legis, come ad esempio il caso dei minorenni diventati maggiorenni in struttura. Si trattava, dunque, di un permesso di soggiorno che contribuiva alla tutela dei diritti umani del migrante non in possesso degli specifici requisiti previsti dalla Convenzione di Ginevra o dalla normativa europea circa la protezione internazionale: considerando che, quando si tratta di rispettare i diritti umani della persona, non è bene lesinare o essere restrittivi, sicuramente la protezione umanitaria costituiva una misura ben elaborata e utile in molti casi.

Se pensiamo che si è trattato del permesso maggiormente riconosciuto ai richiedenti asilo, come dimostrano i dati citati nel presente capitolo, significa che si è trattato di uno strumento largamente usato e funzionale: si può ipotizzare, dunque, che la sua abolizione escluderà larghe fasce di richiedenti asilo dalle strutture d’accoglienza, determinandone l’irregolarità in territorio italiano e il rischio connesso di finire nelle maglie dell’illegalità e del lavoro al nero. Dunque, forse, non era sul permesso per motivi umanitari che doveva concentrarsi lo sforzo normativo di apportare miglioramenti al sistema d’accoglienza.

Allo stesso modo, la restrizione dei criteri di accesso al sistema SPRAR, e il conseguente ammassamento di persone all’interno dei Centri di Accoglienza Straordinaria (che, a loro volta, soffrono un processo di riduzione di spese e di personale) ovviamente ostacola il processo di integrazione nella società. Il valore e il merito del sistema SPRAR erano costituiti, come già

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evidenziato, dal modello di accoglienza diffusa sul territorio e dai numeri ridotti, così da facilitare la conoscenza e la confidenza reciproca con la comunità d’accoglienza: tale modello era, dunque, da potenziare nella misura del possibile, tenendone in considerazione il carattere di volontarietà che precede la richiesta di un Comune di attivare progetti SPRAR sul territorio. Sicuramente, la diffusione di buone pratiche e di modelli di successo di integrazione territoriale avrebbe giovato all’ampliamento della rete SPRAR.

Allo stesso modo, la riduzione dei servizi previsti all’interno dei CAS rende difficile che le persone al loro interno possano iniziare un efficace percorso di conoscenza del territorio e di acquisizione di autonomia nella nuova società; inoltre, il fatto di lasciare grandi centri sprovvisti di controllo (o comunque di figure di riferimento per qualsiasi problema che possa verificarsi durante le notti) per la riduzione del personale potrebbe determinare problemi di convivenza al loro interno. Considerando che in tali centri si concentrerà la maggior parte dei richiedenti asilo, e che verosimilmente non si tratterà di situazioni temporanee, esattamente come non lo sono state sinora, viene da chiedersi se tale tipologia di accoglienza vada realmente incontro alle esigenze personali minime di ogni individuo, nel rispetto della dignità della persona.

Fatte queste riflessioni, non resta che vedere come effettivamente evolveranno le cose a partire dai prossimi mesi, sperando che le suddette previsioni si rivelino infondate: il fatto che l’Italia sia attualmente interessata da flussi migratori molto ridotti, infatti, non giustifica in alcun modo la riduzione degli sforzi circa l’accoglienza e l’integrazione.

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CAPITOLO SESTO

UNA SINTESI CONCLUSIVA

6.1 Introduzione

All’interno di questo capitolo conclusivo del presente lavoro verrà proposto un riepilogo delle principali differenze fra i sistemi di accoglienza spagnolo e italiano, evidenziando inoltre alcuni dettagli di particolare rilevanza; contestualmente, verranno proposte una serie di riflessioni personali circa determinate questioni relativamente ai sistemi di accoglienza.

Nella prima sezione del presente capitolo sarà esposto un riepilogo riguardante il diritto d’asilo ed il suo esercizio in Spagna e in Italia, mettendo in luce certe questioni, già emerse nella stesura del presente lavoro, circa le previsioni normative in materia d’asilo.

All’interno delle sezioni successive saranno, invece, commentate le strutture incaricate della prima accoglienza alla frontiera, della seconda accoglienza e di quella diffusa sul territorio. Contestualmente a ciò, saranno esposte ed approfondite una serie di riflessioni circa determinati fatti emersi durante la stesura del presente lavoro, riguardanti, in particolare, certe questioni collegate alla normativa, all’importanza delle reti sociali nella società d’accoglienza e, di conseguenza, di un sistema d’accoglienza che le fomenti: in tal senso, verranno anche sottolineate alcune caratteristiche che un buon sistema dovrebbe presentare.

Conseguentemente a quanto scritto sinora, la stesura di questo paragrafo prenderà le mosse dalla tabella riepilogativa qui fornita, così da esporre un quadro riassuntivo di quanto trattato sinora e facilitare il confronto delle tipologie di centri.

Si sottolinea che la suddivisione delle strutture qui riportata non rispecchia esattamente quella seguita all’interno del presente lavoro (ovvero tra prima e seconda accoglienza), ma risulta essere più dettagliata: tale scelta è motivata dal fatto che, così facendo, è possibile evidenziare più facilmente la funzione specifica e reale di ogni struttura all’interno del meccanismo di accoglienza, così da poter poi metterne in luce somiglianze e differenze.

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ITALIA

SPAGNA

Prima accoglienza alla frontiera, presentazione della domanda d’asilo e smistamento dei richiedenti asilo per il territorio statale

- Hotspot a Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Lampedusa (parzialmente chiuso), Augusta (in

smantellamento), Messina e Taranto (parzialmente chiuso). - Hub regionali/interregionali: 15

strutture situate fra Calabria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia- Giulia, Lazio, Puglia, Sicilia e Veneto.

- Centros De Estancia Temporal para Inmigrantes (CETI), a Ceuta e Melilla.

- Centros de Atención Temporal de Extranjeros (CATE), a Murcia, Almería, Algeciras, Motril e Málaga (in

costruzione). - Salas de Inadmisión nell’aeroporto di Madrid– Barajas. Trattenimento (eventualmente presentazione della domanda d’asilo)

Centri di Permanenza per i Rimpatri (CPR), a Brindisi, Bari, Caltanissetta, Ponte Galeria (Roma) e Torino.

Centros de Internamiento de Extranjeros (CIE) a Algeciras, Barcellona, Isole Canarie, Madrid, Murcia e Valencia.

Seconda accoglienza Centri di Accoglienza Straordinaria (CAS).

Centros de Acogida a Refugiados (CAR), a Siviglia, Mislata (València), Alcobendas e Vallecas (Madrid).

Seconda accoglienza e integrazione diffusa

Sistema di Protezione per

Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), ora Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e per Minori Stranieri non

Accompagnati (SIPROIMI).

Appartamenti e piccoli centri gestiti dall’associazionismo spagnolo.

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