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Come conclusione di questa sezione del presente lavoro relazionata con l’operato europeo in tema di migrazione ed asilo, interessa puntualizzare un paio di questioni con il fine di ottenere

31 Testo originale: “It is grounded in values of state sovereignty, responsibility-sharing, non-discrimination,

and human rights, and recognizes that a cooperative approach is needed to optimize the overall benefits of migration, while addressing its risks and challenges for individuals and communities in countries of origin, transit and destination.

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maggiore completezza e organicità nel presente lavoro, e prima di passare all’analisi dei due dispositivi nazionali di accoglienza.

Come già detto, la migrazione è un fenomeno naturale che non può essere ostacolato o bloccato

in toto (e non solo per una questione etica e morale, ma anche pratica): al contrario, è giusto

che si cerchi di regolamentarlo e gestirlo per quanto possibile, così da renderlo prevedibile e gestibile, nonché efficace nel fornire le dovute garanzie agli individui interessati (siano essi migranti generici o richiedenti asilo).

È, infatti, opportuno ricordare che la finalità principale delle politiche migratorie dovrebbe essere la costruzione di società inclusive, che garantiscano equità agli individui e che, soprattutto, non fomentino comportamenti sociali che minano alla base la coesione sociale fra cittadini e determinano l’aumento di episodi razzisti e xenofobi.

Fatta questa premessa, in primo luogo, è necessario lavorare su una politica migratoria per quanto riguarda il tema degli accessi, attraverso la creazione di canali legali e sicuri di entrata nell’Unione europea e potenziando quelli già esistenti:

l’UE è rimasta imbrigliata in un circolo vizioso all’interno del quale l’incremento del numero di morti al confine si è tradotto in una chiamata a combattere il traffico di esseri umani e ad aumentare il pattugliamento delle frontiere, il che obbliga i rifugiati ed altri migranti a percorrere cammini molto più pericolosi usufruendo dei servizi dei trafficanti. Tragitti più lunghi e pericolosi implicano un numero sempre maggiore di persone ferite o morte durante il superamento dei confini, il che porta poi all’indignazione pubblica e richiede controlli alla frontiera ancora più rigorosi32 (traduzione della

scrivente, De Haas, 2015).

La stipula di accordi con Paesi terzi (per esempio, quello con la Turchia del 2016, finalizzato anche a bloccare l’immigrazione irregolare verso le isole greche) o l’intensificazione dei controlli militarizzati alle frontiere costituiscono misure non sufficienti e che non risultano essere indirizzate verso il reale nucleo della questione. Si tratta piuttosto di misure palliative che impediscono un’efficace gestione dei flussi migratori attraverso canali sicuri, il che dovrebbe costituire non solo un interesse dei paesi di destinazione, in questo caso degli Stati membri dell’Unione europea, ma anche un dovere nei confronti dei migranti e richiedenti asilo in quanto titolari di diritti umani e di altri riconosciuti dal diritto internazionale (Stege, 2017).

32 Testo originale: the EU has been caught up in a vicious circle in which increasing number of border

deaths lead to calls to 'combat' smuggling and increase border patrolling, which forces refugees and other migrants to use more dangerous routes using smugglers' services. Longer and more dangerous routes means more people who get injured or die while crossing borders, which then leads to public outrage and calls for even more stringent border controls.

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Inoltre, il leitmotiv della chiusura delle frontiere costituisce ormai più una sterile provocazione che una reale politica di immigrazione: come sottolinea De Lucas (2016), vivendo in un mondo globalizzato, interconnesso e interdipendente, non è possibile realizzare, e portare avanti nel tempo, in un’ottica a lungo termine, la pretesa della chiusura delle frontiere nazionali come misura di contrasto contro l’immigrazione irregolare.

La costruzione, a tal proposito, di un discorso mediatico basato sui concetti di “crisi dei rifugiati” sembra dunque presentarsi come un tentativo di elaborazione ideologica che mira ad addossare la responsabilità delle criticità delle politiche migratorie ai migranti stessi, numericamente troppo elevati per essere gestiti con rapidità ed efficienza. Questo processo, effettivamente, si realizza mediante la stigmatizzazione del migrante, attuata attraverso l’elaborazione di narrazioni che non hanno fondamenta reali: una delle immagini più ricorrenti è quella dell’entrata sregolata di masse omogenee di individui e dell’elevata “pressione demografica senza misura e inaccettabile33” (traduzione della scrivente, De Lucas, 2016: 49), la quale

contribuisce a trasmettere l’idea di un’“invasione incontrollata”, fonte potenziale di pericolo per il sistema di valori ed il benessere sociale.

In virtù di quanto detto sinora, risulta evidente la necessità di ripensare la narrazione costruita attorno al tema della migrazione nel suo complesso: questo processo deve avvenire non solo ad un macro-livello come quello europeo, ma anche e soprattutto a livello nazionale, e la base da cui deve muoversi tale proposito deve essere quella di una informazione pubblica che sia quanto più oggettiva e completa possibile, in particolare a quella fornita dai mass-media e dai social

network; a questo, si deve sommare la lotta alla disinformazione e alle fake news.

Nei prossimi capitoli entreremo nel merito dei sistemi nazionali di accoglienza di Spagna e Italia. Prima di ciò, verrà fornita una premessa metodologica ai fini della comprensione dei meccanismi alla base del presente lavoro: a tal proposito, verrà illustrato il concetto di politica migratoria e le sue differenti realizzazioni a livello nazionale, sulla base di diverse ideologie e prospettive; successivamente, si potrà entrare nel merito dei contesti nazionali, così da analizzare come è stata trasposta la normativa europea e, in conseguenza di ciò, quale tipo di sistema di accoglienza è stato creato e con quale finalità a livello sociale.

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CAPITOLO TERZO

INTRODUZIONE ALL’ANALISI DEI CASI: UNA PREMESSA METODOLOGICA

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