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Modelli di accoglienza diffusa in Spagna e in Italia

6.3 Gli arrivi e la prima accoglienza alla frontiera

6.4.3 Modelli di accoglienza diffusa in Spagna e in Italia

All’interno di questa sezione conclusiva del presente capitolo saranno messe in evidenza una serie di questioni relative ai programmi di seconda accoglienza elaborati secondo la modalità di diffusione sul territorio.

Per quanto riguarda il sistema italiano, tenendo in considerazione quanto esposto all’interno del capitolo relativo, è evidente che l’ex Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati stia subendo un ridimensionamento di grandi proporzioni per quanto concerne il numero e le categorie di persone che potrà accogliere in futuro, sulla base del contenuto del decreto-legge

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113/2018. Infatti, come si è visto, il nuovo Sistema di Protezione per Titolari di Protezione Internazionale e per Minori Stranieri non Accompagnati sarà accessibile solo a quanti siano in possesso di protezione internazionale ed ai minori stranieri non accompagnati, indipendentemente dal fatto che abbiano presentato richiesta d’asilo o meno.

Innanzitutto, si fornisce qui un grafico, elaborato con dati raccolti a partire dall’anno 2014, relativamente ai tassi di riconoscimento delle varie tipologie di protezione riconosciute dalle Commissioni territoriali: in questo modo, sarà possibile avere un’idea il più completa possibile delle dimensioni di tali categorie specifiche.

Elaborazione personale. Fonte: Eurostat; Dipartimento delle Libertà Civili e dell’Immigrazione129

Come si vede dal grafico e, d’altronde, come già messo in evidenza all’interno del presente lavoro, i titolari di protezione internazionale hanno sempre costituito numeri relativamente e bassi, soprattutto se comparati con gli altri, nel panorama dell’asilo in Italia. La protezione con il più elevato tasso di riconoscimento in Italia è sempre stata la protezione umanitaria, ora abolita e sostituita dalla protezione per “casi speciali”: ne consegue che, almeno fino all’anno 2018, la maggior parte delle persone accolte nelle strutture dello SPRAR sono sempre stati i titolari di protezione umanitaria.

129 Per consultare i dati nella loro interezza, fare riferimento ai seguenti link:

https://ec.europa.eu/eurostat/web/asylum-and-managed-migration/data/main-tables

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Per quanto riguarda, invece, i dati circa i Minori Stranieri non Accompagnati all’interno del grafico, si sottolinea che tali cifre indicano il numero di stranieri, entrati in Italia, a cui è stata riconosciuta la minore età: di conseguenza, tali numeri possono non coincidere con i reali numeri di minori alloggiati in struttura. Questo perché la legge circa i minori stranieri non accompagnati prevede che, una volta attestato che un migrante è minorenne e non è accompagnato, si provveda innanzitutto a cercare di rintracciare la famiglia nel paese di origine, tenendo in considerazione l’interesse superiore del minore. Se le condizioni familiari e dello stesso Stato di residenza lo permettono, si prevede che il minore venga reintegrato nella stessa con la misura del rimpatrio.

Tenendo in considerazione quanto scritto sinora, e ricordando che lo SPRAR conta, attualmente, un numero di strutture per un totale di circa 35.600 posti letto (Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, 2019), è verosimile immaginare che il sistema non avrà difficoltà ad assorbire le nuove categorie di migranti autorizzate ad essere inserite in tali strutture.

Inoltre, se si considera che la protezione umanitaria è sempre stato il tipo di permesso maggiormente riconosciuto, e che è stato abolito dal decreto-legge 113/2018 e sostituito con un permesso di soggiorno con requisiti specifici e molto limitati, si può prevedere che diminuirà drasticamente il numero di persone autorizzate alla permanenza in Italia, motivo per cui, di conseguenza, diminuiranno le potenziali presenze nelle strutture SPRAR.

Il vero punto debole della filiera italiana dell’accoglienza è e sarà, dunque, rappresentato dai Centri di Accoglienza Straordinaria, in quanto non solo vengono fortemente ridotti i servizi offerti al loro interno, ma anche perché sono tali strutture le responsabili dell’accoglienza dei richiedenti asilo che, come si evince, dal grafico, costituiscono la categoria più numerosa, in conseguenza anche della lunghezza delle tempistiche di esame delle richieste d’asilo. Per questo motivo, non sempre si realizza un ricambio annuale dei richiedenti presenti nei CAS, e alle presenze dell’anno precedente si sommano quelle dei nuovi entrati.

Si può ipotizzare, in considerazione della forte riduzione dei flussi migratori, che anche il numero di richieste d’asilo diminuirà nel futuro prossimo e, dunque, con il tempo verrà in qualche modo smaltita la presenza di richiedenti asilo nei Centri di Accoglienza Straordinaria dato che questi, dopo aver ricevuto il responso della Commissione territoriali, verranno trasferiti in strutture dello SPRAR, se in possesso dei relativi requisiti, o respinti fuori dal territorio.

Nel frattempo, tuttavia, i CAS continueranno ad essere i centri responsabili dell’accoglienza di ingenti gruppi misti di migranti, tra i quali possono rientrare non solo persone effettivamente meritevoli del riconoscimento di protezione internazionale o portatrici di esigenze particolari

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(ovvero i casi vulnerabili), ma anche migranti non soggetti a migrazione forzata che, per la loro situazione, avrebbero dovuto eventualmente accedere al territorio italiano ed europeo mediante altre vie, dunque non con la presentazione della richiesta d’asilo (che, si ribadisce, costituisce comunque un diritto della persona da rispettare).

In altre parole, è ormai appurato che i flussi migratori che interessano l’Europa siano di carattere misto, e ciò costituisce un problema strutturale dovuto anche alla mancanza di altri canali d’accesso: in questo contesto, non bisogna perdere di vista il reale obiettivo dei sistemi di accoglienza, ovvero quello di garantire una serie di servizi a quanti siano beneficiari di protezione internazionale o di altre forme di protezione. Con i tagli ai Centri di Accoglienza Straordinaria, dunque, si rischia di non garantire a potenziali beneficiari di protezione quanto dovuto e quanto previsto per legge e dai Trattati internazionali.

In questo contesto, sarebbe stato sicuramente utile ampliare e migliorare la rete dello SPRAR, cercando di portare avanti, all’insegna della continuità, il processo di transazione dai Centri di Accoglienza Straordinaria al Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, auspicato dallo stesso Ministero dell’Interno, negli anni precedenti, all’interno del Piano nazionale d'integrazione per i titolari di protezione internazionale (Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, 2017).

Lo SPRAR, infatti, è sempre stato considerato come un modello virtuoso e vincente ai fini di un’efficace integrazione, non solo per la sua caratteristica di diffusione sul territorio (sebbene disomogenea), ma anche per il fatto di essere gestito da un sistema centralizzato, ovvero il Servizio Centrale: ciò permette la standardizzazione di ogni procedura e dei servizi offerti, nonché i controlli di qualità ed i monitoraggi delle spese e delle rendicontazioni, così da evitare una cattiva gestione dei fondi. La prospettiva che ne ha guidato la strutturazione, infatti, si basa sul pensiero secondo il quale lo SPRAR

deve fondarsi sulla costruzione e sul rafforzamento delle reti territoriali, che coinvolgano gli attori locali, funzionali al sostegno dei progetti di accoglienza nella loro totalità e, al tempo stesso, dei percorsi personalizzati dei singoli beneficiari. […] è e deve essere percepito come parte integrante del welfare locale e, come tale, complementare agli altri servizi pubblici alla cittadinanza garantiti sul territorio […] deve poter essere considerato come valore aggiunto sul territorio, capace di apportare cambiamenti e rafforzare la rete dei servizi, di cui possa avvalersi tutta la comunità dei cittadini, autoctoni o migranti che siano (Servizio centrale del Sistema di Protezione per Richiedenti Asilo e Rifugiati, 2018: 7-8).

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Per quanto riguarda, invece, il sistema di seconda accoglienza diffusa spagnolo, esso appare molto differente da quello italiano, non tanto per quanto concerne il grado di diffusione delle strutture sul territorio, ma in virtù della stessa struttura di base del sistema.

Analogamente al caso italiano, anche per quello spagnolo si espone innanzitutto un grafico riepilogativo dei numeri dell’esercizio del diritto d’asilo in Spagna nel corso degli ultimi anni.

Elaborazione personale. Fonte: CEAR; Ministerio del Interior130

Come si evince dal grafico, il permesso di soggiorno per ragioni umanitarie non è stato praticamente mai riconosciuto negli ultimi anni, in considerazione dei requisiti particolarmente specifici e per la casistica limitata per il suo riconoscimento. La protezione sussidiaria costituisce, invece, la categoria di protezione internazionale che è sempre stata maggiormente riconosciuta ai richiedenti asilo, seguita dallo status di rifugiato che, tuttavia, presenta tassi di riconoscimento di gran lunga inferiori.

Queste ultime due categorie di beneficiari, dunque, sono quelle che hanno potuto godere dell’inserimento nelle strutture del sistema di seconda accoglienza diffusa in virtù del loro status, a patto che, ovviamente, fossero in possesso dei requisiti circa il non possesso di mezzi per l’autosussistenza. Anche in Spagna, esattamente come in Italia, tale sistema risulta essere strutturato in piccoli centri ed appartamenti gestiti da associazioni mediante sovvenzioni statali;

130 Per consultare i dati nella loro interezza, fare riferimento al seguente link:

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inoltre, come nel caso italiano, tra i gestori di tali strutture rientrano associazioni del terzo settore, le principali delle quali sono la Croce Rossa spagnola, la Comisión Española de Ayuda al

Refugiado (CEAR) e l’Asociación Católica Española de Migraciones (ACCEM), enti ben strutturati

e sufficientemente grandi da coprire tutto il territorio.

Una prima differenza rispetto ai due sistemi è costituita dal fatto che nonostante il sistema di seconda accoglienza spagnolo sia, in ultima analisi, dipendente dalle decisioni prese dall’organo statale incaricato, ovvero la Direzione Generale delle Migrazioni, a sua volta parte del Segretariato Generale di immigrazione ed Emigrazione, sembra essere assente una figura equivalente al Servizio Centrale italiano: in altre parole, ogni struttura gestita da tali associazioni non fa parte di un unico programma statale, come è invece il caso dello SPRAR, dunque non esiste un ente specifico e centrale a cui far riferimento ed incaricato di elaborare procedure standard per la gestione di tali centri.

Si può dunque ipotizzare che questa sia la causa per cui non è stato possibile recuperare dati e numeri attendibili circa il numero di posti in struttura totali disponibili, dato che ogni associazione implicata nella seconda accoglienza ha i propri centri, ed in conseguenza del fatto che non esiste un sistema di controllo, monitoraggio e rielaborazione dati centralizzato. Se, da una parte, questa caratteristica può determinare un certo grado di disomogeneità per quanto riguarda l’organizzazione dei servizi all’accoglienza, i centri e la loro gestione burocratica, dall’altra è vero anche che ciò non si traduce necessariamente in carenze di servizi o di mancata integrazione.

Le questioni sinora esposte, ovvero la mancanza di organicità e di politiche strutturali soggiacenti ai programmi di accoglienza del sistema spagnolo, nonché certi limiti dello stesso, vengono in parte affermate anche in un report pubblicato in maniera congiunta da esponenti dell’Istituto di Diritti Umani di Deusto, dell’Istituto Universitario di Studi sulle Migrazioni dell’Università Pontificia Comillas e del Servizio Gesuita per i Migranti, si legge che:

Il sistema spagnolo di accoglienza per i rifugiati non ha né le risorse, né i mezzi, né la capacità politica di far fronte e trasformare quell’insieme di fattori che determinano la traiettoria di integrazione dei richiedenti asilo e beneficiari di protezione internazionale. Un qualcosa che si potrebbe fare solo con politiche strutturali di integrazione sociale di cui lo Stato spagnolo è carente in questo momento. In questo contesto, il Sistema di Accoglienza e Integrazione sembra più un sistema di accoglienza che di integrazione sociale. In altre parole, come un sistema che accompagna i primi mesi di incorporazione dei richiedenti asilo e dei beneficiari di protezione nella nostra società, fornendo una serie di risorse che cercano di porre le basi del loro successivo processo di integrazione. L’integrazione sociale

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necessita di appoggi, risorse e sostegni nel medio e nel lungo periodo, e di questi è carente. Aggiustarne le capacità, le sue possibilità, in questo senso, aiuterebbe a […] incentivare l’articolazione di un sistema con una politica di Integrazione sociale più ampia e ambiziosa131 (Traduzione della

scrivente,Buades et al., 2018: 25).

In conclusione, se teniamo in considerazione i dati numerici dei flussi migratori e l’aumento della pressione sulle coste, la Spagna si trova attualmente in una fase di transizione e cambiamento. Sicuramente dovrà riadeguare il proprio sistema di accoglienza, sia per ovviare a probabili carenze di posti, sia per quanto riguarda l’organizzazione delle strutture di prima accoglienza sulle coste dell’Andalusia che, come abbiamo già visto, è attualmente in fieri. Resta da augurarsi che la ristrutturazione del sistema di seconda accoglienza continui, anche in un futuro prossimo, ad essere elaborata sulla base del modello di accoglienza diffuso, sicuramente l’unica carta vincente ai fini di un’integrazione sociale effettiva.

Un’ultima questione da evidenziare consiste nel fatto che le associazioni spagnole implicate nell’accoglienza operano in larga parte avvalendosi del principio di volontariato, dunque può accadere che, sul campo, lavorino persone a titolo di volontari, e non di professionisti di uno specifico settore. Questo può determinare situazioni in cui l’operato delle associazioni dipende in larga misura dalla disponibilità in termini di tempo dei volontari, e ciò può rendere difficoltosa la continuità dei progetti di accoglienza.

Inoltre, può accadere che il personale volontario non sia adeguatamente formato, anche in virtù del fatto che non si è ancora del tutto imposta la logica per cui l’operatore all’accoglienza e all’integrazione deve costituito da personale formato e con specifiche qualifiche e competenze professionali: questo discorso, d’altra parte, vale anche per il sistema di accoglienza italiano. C’è da dire, comunque, che le cose hanno iniziato a cambiare di recente, nel senso che sia le associazioni di volontariato, sia le cooperative sociali e le ONG stanno, complessivamente, valutando attentamente i profili personali dei candidati volontari, ricercando specificatamente le qualifiche e i titoli professionali necessari. Allo stesso modo, si sta assistendo ad un

131 Testo originale: El sistema español de acogida a refugiados no cuenta ni con los recursos, ni con los

medios, ni con la capacidad política de enfrentar y transformar ese conjunto de factores que determinan la trayectoria de integración de los SBPI. Algo que solo se podría hacer desde políticas estructurales de integración social de las que el Estado español adolece en este momento. En este contexto, el SAI aparece más como un sistema de acogida que de integración social. Esto es, como un sistema que acompaña los primeros meses de incorporación de los SBPI en nuestra sociedad, proporcionando una serie de recursos que tratan de sentar las bases de su posterior proceso de integración. La integración social necesita de apoyos, recursos y acompañamientos en el medio y largo plazo, de los que carece. Ajustar su capacidad, y sus posibilidades, en este sentido, ayudaría a […] impulsar la articulación del sistema con una política de Integración social más amplia y ambiciosa […]

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cambiamento di mentalità e di considerazione nei confronti delle figure degli operatori all’accoglienza e all’integrazione, nella (giusta) convinzione che l’insieme dei servizi offerti all’interno delle strutture di accoglienza costituisce una mansione che deve essere svolta da personale qualificato e formato. La nuova prospettiva è, dunque, quella di valorizzare questi nuovi profili e quanti possano attestare di avere formazione e competenze nel settore dell’asilo e dell’accoglienza.

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CONCLUSIONE

Il presente lavoro nasce dalla consapevolezza del fatto che il tema dell’accoglienza dei migranti, in special modo di quanti vogliano esercitare il proprio diritto d’asilo, costituisce ad oggi un tema particolarmente sentito e, soprattutto, di grande attualità nel dibattito politico e sociale, non solo nelle società di Spagna e d’Italia, ma anche ad un macro-livello come quello dell’Unione europea.

Assistiamo, infatti, all’incontro/scontro di opinioni e prospettive diametralmente differenti, in parte evidenziate nel presente lavoro. In primis troviamo, da una parte, la volontà di creare un reale Sistema Europeo Comune d’Asilo, che garantisca i diritti umani fondamentali a quanti entrano in territorio europeo, nel rispetto dei principi dell’Unione, e formalizzano una richiesta d’asilo; dall’altra, il rispetto delle singole volontà nazionali in virtù del principio di sovranità. Passando dal piano europeo ai singoli piani nazionali, notiamo il recente emergere di tendenze e sentimenti di matrice xenofoba e razzista all’interno delle società civili: come, infatti, afferma il celebre sociologo spagnolo Enrique Gil Calvo

Una delle conseguenze più evidenti di quella che si va chiamando globalizzazione è la crescente eterogeneità culturale delle nostre popolazioni, in quanto risultato tanto dell’immigrazione come della destrutturazione sociale e della conseguente frammentazione delle identità. Per questo i nostri paesaggi urbani sono sempre più variegati, considerando l’incremento di quello che si definisce pluralismo civile. Il quale genera problemi di ogni tipo che ancora non sappiamo bene come gestire, dato che le nostre istituzioni si sono costituite storicamente sulla base dell’omogeneità culturale radicata in ogni singolo territorio. […] Tutto questo minaccia di erodere il nostro clima cittadino, la cui perversione degenera verso forme di radicalismo etnocentrico (razzismi, populismi, nazionalismi) che sconfinano nella xenofobia escludente132 (traduzione della scrivente, Gil Calvo, 2002).

Tuttavia, accanto a questa situazione, vi è invece una parte della società civile che crede nell’interculturalismo come processo di integrazione sociale e, soprattutto, vi sono due sistemi

132 Testo originale: Una de las consecuencias más sobresalientes de lo que se viene llamando globalización

es la creciente heterogeneidad cultural de nuestras poblaciones, a resultas tanto de la inmigración como de la desestructuración social y la consiguiente fragmentación de las identidades. Por eso nuestros paisajes urbanos son cada vez más abigarrados, dado el incremento de lo que cabe denominar el pluralismo civil. Lo cual genera problemas de todo orden que todavía no sabemos muy bien cómo abordar, pues nuestras instituciones se construyeron históricamente sobre la base de la homogeneidad cultural enraizada en cada territorio singular. […] Todo lo cual amenaza con erosionar nuestro clima ciudadano, cuya perversión degenera hacia formas de radicalismo etnocéntrico (racismos, populismos, nacionalismos) que rayan con la xenofobia excluyente.

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di accoglienza che, seppur con i loro limiti e difficoltà, sono sicuramente riusciti ad elaborare ed attuare buone prassi nei percorsi di accoglienza e integrazione dei beneficiari di progetti: ciò può essere affermato sia per quanto riguarda il caso spagnolo, sia per quello italiano.

Non bisogna scordare, infatti, che sebbene anche all’interno del presente lavoro si sia spesso parlato di immigrati in senso generico e di accoglienza, i suddetti sistemi di accoglienza nascono in quanto dedicati a determinate categorie di migranti, ovvero quelle interessate all’esercizio del diritto d’asilo garantito da Trattati internazionali, atti dell’Unione europea e dalle Costituzioni nazionali. Per questo motivo, occorre individuare le prassi e le buone pratiche che garantiscano loro i diritti umani fondamentali e, soprattutto, che contribuiscano a creare società inclusive nel rispetto delle esigenze del migrante e dell’individuo autoctono.

Dalla stesura del presente lavoro, risulta evidente che entrambi gli Stati si trovino in una fase di transizione e profondi cambiamenti per quanto riguarda la composizione e le quantità dei flussi migratori che interessano i loro confini: di conseguenza, è evidente che ci troviamo di fronte anche ad una ristrutturazione dei propri sistemi di accoglienza. Se, in Spagna, questo processo sembra andare verso un ampliamento dello stesso attraverso, ad esempio, la costruzione di nuovi centri nelle regioni costiere dell’Andalusia, in Italia si sta invece ridimensionando la quantità e la qualità dei servizi offerti al loro interno, nonché provvedendo alla chiusura di certe strutture ormai in disuso o inagibili.

In questa fase di transizione, sarà sicuramente interessante assistere alle prossime evoluzioni di tali sistemi, guardando come essi si adatteranno ai nuovi flussi e se verranno ipotizzate nuove soluzioni o differenti modalità di accoglienza. In tale contesto, tuttavia, è essenziale tenere a mente due questioni principali, che devono rappresentare la finalità primaria di qualsiasi sistema di accoglienza, indipendentemente dal fatto che le autorità stia provvedendo ad un suo ampliamento o ad un ridimensionamento delle sue potenzialità.

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