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Prima di passare a descrivere e commentare i sistemi di accoglienza dei Paesi oggetto di studio, è necessario spendere alcune parole riguardo la metodologia che verrà utilizzata nei prossimi capitoli, di modo da rendere evidenti le premesse teoriche da cui muove l’analisi. Inoltre, verrà qui trattata la griglia di confronto in base alla quale verranno studiate le due modalità di gestione dei progetti di accoglienza per richiedenti asilo e beneficiari di protezione.

In relazione a questo, e come già affermato in precedenza, è importante sottolineare ancora una volta che la finalità del presente lavoro non consiste nell’individuazione del sistema di accoglienza migliore, o più efficace, fra i casi di studio proposti: quello che preme, al contrario, è il fatto di sottolineare punti in comune e differenze cruciali e sostanziali fra i due sistemi, con anche il fine di mettere in evidenza buone pratiche che possano sorgere dal confronto, e che siano passibili di adattamento ed applicazione in altre società civili.

In Europa, ed in particolare negli Stati oggetto di studio, infatti, i flussi migratori costituiscono ormai un elemento strutturale, di cui i richiedenti asilo costituiscono un’importante componente: per queste motivazioni, ed in considerazione di quanto scritto nei precedenti capitoli, il presente periodo storico non può essere considerato come una fase temporanea, né tantomeno come un’emergenza o un’ondata. Sicuramente vi possono essere periodi caratterizzati da una maggior affluenza migratoria, intervallati da fasi in cui i flussi sono sostanzialmente inferiori da un punto di vista quantitativo, ma la sostanza del discorso non cambia: è necessario cambiare la narrazione sulla migrazione nel suo complesso, poiché essa viene oggi presentata come un problema da risolvere o un fattore di potenziale rischio per la sicurezza e l’ordine pubblico nella società di accoglienza.

La nozione di “crisi” ha costituito una delle modalità più popolari per descrivere l’arrivo di migranti e richiedenti asilo in Europa negli scorsi anni. Ciò è strettamente collegato a come è stato percepito tale fenomeno e alla risposta che ha ricevuto. […] Il concetto di “crisi” può essere facilmente identificato come una minaccia, e richiede misure straordinarie ed in via eccezionale nella forma di elaborazione di politiche guidate dalla crisi. Ciò ha costituito una modalità di gestione che sfrutta strumenti di intervento e proposte legislative che siano rapide, informali e flessibili, che spesso contrastano con la

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democrazia, i diritti fondamentali e le situazioni personali degli individui in movimento. Troppa poca attenzione è stata data agli aspetti umanitari e politici dietro la “crisi”, assai rapidamente inquadrata in termini di emergenza e insicurezza. In altre parole, se c’è una “crisi”, la sua manifestazione non è costituito dalla minaccia alla sicurezza rappresentata dall’arrivo di persone, bensì quella di persone impossibilitate a procedere alla frontiera di/con la UE alla ricerca di protezione internazionale o di migliori opportunità34 (Traduzione della scrivente, Ansems de Vries, Carrera & Guild, 2016: 2).

Quest’ultimo punto è a più riprese sottolineato nel presente lavoro poiché ne costituisce la premessa fondamentale: creare una filiera dell’accoglienza capillare sul territorio, gestita da operatori formati e con i dovuti fondi economici, non è sufficiente se non si accompagna ad una volontà di informazione pubblica oggettiva, basata sui fatti, oltre che ad un cambiamento di mentalità da parte delle società civili.

L’elaborazione di un approccio sociopolitico credibile ed efficace nei confronti di ogni categoria di soggetto migrante (dunque non solo nei confronti dei richiedenti asilo) deve prevedere l’incontro fra la società d’accoglienza e l’immigrato, e ciò deve avvenire in una cornice di complicità con le istituzioni nazionali e territoriali. Questa è la base e, al contempo, la finalità di un buon sistema d’accoglienza. Nonostante ciò, esistono differenti modalità per realizzare questo incontro su scala sociale: alcune sono basate sul dialogo interculturale, altre su forme di ghettizzazione e differenziazione, a seconda anche del progetto politico perseguito dalla classe dirigente e dalla volontà della società civile.

Per questi motivi, all’interno di questo capitolo verrà trattata la premessa metodologica da cui muove il presente lavoro, in particolare facendo riferimento a due questioni principali.

All’interno del primo paragrafo verrà offerta una breve digressione riguardante il concetto di politica migratoria e le sue differenti articolazioni: questo faciliterà la comprensione del meccanismo di un sistema di accoglienza e delle logiche in base alle quali funziona. È bene ricordare, infatti, che la normativa relativa alla categoria di richiedenti asilo e beneficiari di protezione, proprio in virtù del loro status giuridico, non è soggetta alle migration policies di uno

34 Testo originale: The notion of ‘crisis’ has been one of the most popular ways of describing the arrival of

migrants and asylum seekers in Europe in the past few years. This is closely linked to how the issue has been understood and the response it has received. […] A ‘crisis’ is easily identified with threat, requiring extraordinary and exceptional measures in the form of ‘crisis-led policy-making’. This has constituted a mode of management that makes use of rapid, informal and flexible policy instruments and legislative proposals, which often are at odds with democratic rule of law and fundamental rights and personal circumstances of individuals on the move. Too little attention has been paid to the humanitarian and political aspects behind the ‘crisis’, which has been too readily framed in terms of emergency and insecurity. In other words, if there is a ‘crisis’, its manifestation is not the security threat posed by the arrival of people, but rather one of people prevented from moving on at the borders of/within the EU in search of international protection or better opportunities.

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Stato: discende, invece, dall’applicazione del diritto internazionale in materia, poi trasposto nelle normative nazionali mediante la ratifica di trattati internazionali. Tuttavia, come esposto nei precedenti capitoli, esiste ad oggi molta confusione tra migrante economico e richiedente asilo: questa dipende non solo da una generalmente scarsa conoscenza dei fenomeni migratori, ma anche dalla sovrapposizione che spesso si verifica fra politiche di immigrazione e politiche d’asilo. In altre parole, le peculiarità delle migrazioni forzate che interessano attualmente l’Europa mediterranea fanno sì che la categoria di migrante economico possa sovrapporsi a quella del potenziale rifugiato: entrambe le figure, d’altra parte, utilizzano gli stessi networks e percorsi per raggiugere l’Europa (Wolff, 2015); in assenza di chiari presupposti per quanto riguarda i singoli casi degli individui, può essere difficile individuare quale sia la corretta applicazione della normativa in tema di asilo.

In conseguenza di ciò, una breve introduzione al concetto di politica migratoria può essere utile per metterne in luce quegli ambiti che riguardano in maniera specifica i soggetti del presente lavoro, ovvero i richiedenti asilo e i beneficiari di protezione.

Complementarmente a questo, nel secondo paragrafo viene fornita una seconda chiave di lettura dei sistemi di accoglienza, di matrice sociologica: verrà affrontato il tema dell’integrazione della Diversità all’interno della società ricevente e le forme ideologiche che il programma di accoglienza può riproporsi di creare. Difatti, esiste uno stretto legame fra una politica migratoria e l’ideologia alla base di uno specifico progetto di asilo e integrazione: in altre parole, gli interessi e gli obiettivi del Paese di ricezione sono direttamente correlati con il proprio progetto di accoglienza, sia che esso abbia come obiettivo quello di fomentare l’inclusività del migrante nella società e la sua piena partecipazione sociale e politica, sia che, al contrario, si riproponga di considerare l’immigrato come una figura lavorativa temporanea, il cui soggiorno nello Stato è momentaneo e finalizzato ad uno specifico obiettivo.

Infine, è importante fare un’annotazione metodologica di carattere filologico, concernente il concetto di integrazione all’interno della società d’accoglienza: questa, infatti, costituirà un argomento ricorrente in tutto il presente lavoro, ma in particolare in questo capitolo, dato che il fine ultimo di un programma di accoglienza deve essere proprio l’integrazione dell’immigrato. Esistono differenti teorie sociologiche che spiegano le dinamiche intrinseche del processo definito “integrazione”, ciascuna delle quali con il proprio focus, e verranno brevemente trattate nel secondo paragrafo. Per il momento, solo preme sottolineare che il suddetto termine verrà sempre utilizzato nella sua accezione più semplice e scevra di ulteriori puntualizzazioni: in altre parole, sarà impiegato con riferimento all’idea di contesto sociale di convivenza, condivisione

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ed accettazione reciproca della differenza culturale, senza che si verifichi la sottomissione di una cultura di minoranza a quella di maggioranza, in un clima socialmente eterogeneo, di partecipazione attiva al bene comune della società. Per meglio spiegare questo concetto, possono essere sicuramente utili le seguenti definizioni, la prima attribuibile alla Commissione europea, la seconda all’Organizzazione Internazionale delle Migrazioni:

un processo biunivoco che coinvolge la società d’accoglienza e i cittadini di paesi terzi legalmente soggiornanti e che, nella consapevolezza reciproca di obblighi e diritti di ambo le parti, conduce al riconoscimento da parte della società ospitante dei diritti formali per una piena partecipazione alla vita sociale, economica, culturale e civile della società d’accoglienza senza che questi debbano rinunciare alla propria identità (citato in Fondazione Leone Moressa, 2015: 10).

Processo sulla base del quale gli immigrati vengono accettati nella società, sia come individui che come gruppi. I requisiti specifici per il riconoscimento da parte della società ricevente differiscono fortemente da Paese a Paese; la responsabilità dell’integrazione poggia non solo su uno specifico gruppo, ma su svariati attori: gli stessi immigrati, il governo ospitante, le istituzioni e le comunità35

(Traduzione della scrivente, IOM, 2004: 32).

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