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I centri di prima accoglienza: gli hub regionali

5.4 Il sistema di prima accoglienza

5.4.2 I centri di prima accoglienza: gli hub regionali

Nel precedente paragrafo è stato esposto l’approccio hotspot, nato nel rispetto delle linee guida europee e finalizzato ad effettuare non solo una primissima accoglienza, ma anche lo svolgimento delle procedure di registrazione dei migranti e, soprattutto, l’individuazione di eventuali vulnerabilità e del percorso più idoneo per ogni individuo.

Dando per certo il buon funzionamento e l’efficacia del meccanismo hotspot, la fase successiva per coloro che abbiano fatto richiesta d’asilo (o che, comunque, non siano trasferiti in uno dei Centri di Permanenza per i Rimpatri) consiste nel loro spostamento all’interno di uno dei cosiddetti hub regionali, per poi, in un momento successivo, essere definitivamente trasferiti all’interno di una delle strutture di seconda accoglienza, sparse su tutto il territorio italiano. In conseguenza di ciò, questa seconda fase della prima accoglienza fase prevede, dunque, il trasferimento dei richiedenti asilo dagli hotspot, situati nelle zone limitrofe ai porti di sbarco, verso tutto il territorio nazionale, con il fine di ottenere un certo grado di diffusione più o meno omogenea della presenza dei richiedenti asilo in Italia, in considerazione anche della densità di popolazione di ogni zona specifica.

Con questa finalità nascono gli hub regionali o interregionali, ovvero i punti di snodo del percorso di smistamento dei richiedenti asilo per tutto il territorio. Una loro prima previsione è contenuta all’interno dell’articolo 9 del decreto legislativo 142/2015, il quale recita che “per le esigenze di prima accoglienza e per l’espletamento delle operazioni necessarie alla definizione della

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posizione giuridica, lo straniero è accolto nei centri governativi di prima accoglienza istituiti con decreto del Ministro dell’interno” (decreto legislativo 142/2015, art. 9).

La roadmap elaborata dal Ministero dell’Interno nel 2015 ha poi chiarito la natura di tali centri governativi, identificandola negli hub, e la loro funzione all’interno del sistema di accoglienza italiano. Nel concreto, si tratta di centri aperti di grande capienza che non sono stati costruiti ex

novo, bensì ricavati dalla conversione di strutture preesistenti, tra le quali rientrano non solo

strutture governative già previamente adibite all’accoglienza (quali, ad esempio, gli ex CDA, CARA e CPSA), ma anche altre strutture pubbliche idonee di varia natura, come ad esempio caserme non più in uso del Ministero della Difesa (Ministero dell’Interno, 2015b).

Sempre stando al contenuto dell’articolo 9 del decreto legislativo 142/2015 e ai contenuti della Roadmap, la loro gestione è affidata a enti di varia natura ma sempre locali, sia pubblici che privati, purché operino nell’ambito dell’immigrazione e dell’assistenza sociale ed i loro operatori abbiano una formazione al riguardo (Ministero dell’Interno, 2015b; decreto legislativo 142/2015, art. 9).

In relazione alla permanenza degli individui all’interno degli hub, si prevede che essa debba restringersi al minor lasso di tempo possibile. L’inserimento all’interno degli hub, infatti, ha due finalità precise: da una parte, gli operatori del centro provvederanno a realizzare le procedure di identificazione e formalizzazione della domanda d’asilo (qualora ciò non sia stato già effettuato durante la fase di primo soccorso), cercando al contempo di verificare la presenza di eventuali vulnerabilità non individuate sino a quel momento; dall’altra, la permanenza negli hub serve ad organizzare in maniera efficiente lo smistamento dei migranti all’interno delle strutture finalizzate alla seconda accoglienza, dunque è necessaria una certa attesa per la realizzazione delle procedure burocratiche (Ministero dell’Interno, 2015b).

Le previsioni contenute all’interno della Roadmap elaborata nel 2015 parlavano della realizzazione di almeno un hub per regione, così da facilitare il processo di smistamento e delocalizzazione delle procedure ad esso finalizzate. A tal proposito, preme sottolineare che non è stato facile rintracciare fonti affidabili ed ufficiali che fornissero un elenco completo delle strutture tecnicamente adibite ad hub regionali: la stessa pagina web del Ministero dell’Interno dedicata alle strutture di accoglienza non risulta aggiornata dal 2015. L’unica fonte attendibile e più recente è costituita da una relazione elaborata dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, datata 2017. A questa, si unisce

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il già citato report realizzato dall’Associazione per gli Studi Giuridici sull'Immigrazione per l’Asylum Information Database.

All’interno della relazione della Commissione parlamentare vengono censite una serie di strutture sotto il nome di “centri di prima accoglienza” (Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, 2017: 88), che costituirebbero i cosiddetti hub regionali: si tratta di quindici strutture, con capienza variabile (dai trecento individui delle strutture site a Brindisi e ad Agrigento, ai quasi duemila del centro di Bari) e localizzate in Calabria, Emilia-Romagna, Friuli Venezia-Giulia, Lazio, Puglia, Sicilia e Veneto. In conseguenza di tale elenco, parrebbe irrealizzata la prospettiva di avere un centro per regione. Informazioni dettagliate sono state ritrovate solamente riguardo un hub sito vicino Roma, a Castelnuovo di Porto (un ex CARA): tale centro era stato ricavato all’interno di un complesso di proprietà del Dipartimento di Protezione Civile ed aveva una capacità massima di circa 650 posti; nonostante questo, durante il 2018 il numero dei presenti è arrivato ad 844 individui, tra i quali vi erano sia richiedenti asilo, sia beneficiari di protezione, sia persone in attesa di essere ricollocate in un altro Stato membro dell’Unione europea (AIDA, 2018a: 87).

Durante il mese di gennaio del 2019, tale centro è stato sgomberato, e gli individui che vi risiedevano sono stati trasferiti ad altre destinazioni sparse per tutta Italia. Nonostante questo, circa l’organizzazione antecedente in tale hub, è stato riportato che il tempo medio di attesa ammontasse a circa tre o quattro mesi, ma vi sono stati casi di individui costretti ad attendere anche più un anno: questo avveniva, ed avviene, nonostante, come già anticipato, il sistema preveda una permanenza negli hub ridotta al minimo (AIDA, 2018a).

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