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I modelli di integrazione nelle società di accoglienza

Nel precedente paragrafo si è analizzato il concetto di politica migratoria, evidenziandone alcune similitudini per quanto riguarda gli Stati dell’area mediterranea. Una politica migratoria costituisce un interesse ed un campo d’azione della classe politica e, come per tutte le decisioni politiche, le sottostà un complesso di idee e di valori ben preciso, in questo caso relativo al futuro di quanti entrino nel territorio dello Stato e della società ricevente. Per questo, al fine di

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comprendere le ragioni, gli interessi occulti e le conseguenze sociali di una politica migratoria non è sufficiente analizzare la normativa in materia: occorre anche cercare di capire quale ideologia riguardo l’integrazione del migrante vi risieda alla base e, dunque, quale tipologia di società si aspira a costruire mediante la scelta di una determinata politica migratoria.

In sociologia sono stati elaborati vari modelli teorici per spiegare il processo di integrazione (o di esclusione) del migrante e della cultura di cui è portatore all’interno della società di accoglienza. Un panorama delle classificazioni più recenti ci viene fornito da Giovanna Rossi, docente dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano: secondo Rossi (2011), in un primo momento vennero delineati quattro modelli principali di integrazione, di seguito esposti in modo riassuntivo. Tuttavia, con il passare del tempo, gli studiosi in materia si sono resi conto dell’assenza di un’esatta corrispondenza fra il modello teorico e la sua immagine speculare e reale nelle società: in altre parole, i modelli finivano per essere riduttivi, se non completamente incapaci di fotografare la realtà. Secondo il parere di Zincone (2009), ciò è avvenuto perché l’osservazione di casi concreti ha portato ad elaborare modelli mediante l’identificazione di tratti caratteristici e comuni ai casi empirici, ma che non costituivano necessariamente verità generali; in quest’analisi effettuata mediante metodo deduttivo, inoltre, non si è tenuto di conto della rapida evoluzione di ogni società.

Zincone (2009), dunque, si chiede se vi sia mai stata una reale corrispondenza fra i modelli e le realtà sociali identificate con essi: la sua conclusione individua un certo grado di fallimento dei vecchi modelli, rei di essere schemi teorici artificiosi che nulla avevano a che vedere con le loro differenti declinazioni reali nelle società. Di conseguenza, in un secondo momento si è dunque avviata una nuova riflessione sociologica sul tema, culminata nell’elaborazione di nuovi modelli che, al contrario dei precedenti, pongono l’accento su nuovi aspetti del rapporto fra migrante e società di accoglienza, prima ignorati (in primis, come vedremo, l’importanza dell’inter- relazionalità).

3.3.1 Una prima classificazione dei modelli di integrazione

Il primo modello trattato da Rossi (2011) è definito melting-pot ed è tipico degli Stati Uniti d’America: consiste nella creazione di un mix sociale di culture, nel quale le differenti identità culturali vengono mescolate e utilizzate ai fini della costruzione di un’unica società omogenea, nella quale le differenze vengono appianate. Rossi (2011), tuttavia, sottolinea il fatto che molti studiosi non siano convinti della reale esistenza di questo modello, accusandone le difficoltà di

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realizzazione concreta. Vedremo come, infatti, tale schema sia ormai considerato superato da quello denominato salad bowl.

Il secondo modello è quello assimilativo, che trae le sue origini dalla visione colonialista europea ed è caratteristico delle politiche migratorie francesi. I teorici assimilazionisti sostengono che si possa parlare di integrazione riuscita solo qualora si riesca a cancellare i tratti culturali distintivi del migrante, mediante l’assorbimento della sua identità in quella nazionale e della sua persona nella società d’accoglienza. Vi è, dunque, una cultura dominante, di fronte alla quale cedono le culture delle comunità di minoranze (almeno nello spazio della sfera pubblica) a favore dell’omologazione: questo processo, infatti, è finalizzato all’uguaglianza completa dei cittadini fra di loro e di fronte allo Stato.

Il terzo modello è detto funzionalista e viene adottato in Germania. Il suo presupposto consiste nell’impossibilità, o nella grande difficoltà, dell’immigrato di adattarsi alla società di destinazione: non si prende, dunque, in considerazione l’ipotesi di una sua integrazione culturale nella società civile. Di conseguenza, le politiche statali mireranno ad inserirlo solo in quegli ambiti in cui la sua presenza possa risultare utile, come ad esempio il mercato del lavoro, adottando una prospettiva utilitaristica e di spiccato senso pratico.

Il quarto ed ultimo modello consiste nell’approccio multiculturalista, ed è diffuso in Gran Bretagna, Olanda e Svezia. Strettamente correlato al fenomeno del plurilinguismo, si basa sulla scelta di riconoscere la pluralità culturale in ambito pubblico, tutelando i diritti delle minoranze, creando spazi inclusivi dove convivano differenze di ordine etnico, culturale, religioso…Di conseguenza, si crea uno spazio pubblico culturalmente eterogeneo, costituito da sfere di identità culturali che convivono in modo regolato, ma senza che vi sia un reale dialogo interculturale.

3.3.2 Una classificazione più recente dei modelli di integrazione

I quattro modelli precedentemente illustrati hanno reso evidenti i loro limiti nelle società di applicazione, come già anticipato: in particolare, una importante falla consiste nell’assenza di teorizzazione del concetto di dialogo interculturale come modus operandi dell’integrazione del migrante nella società. Per questo motivo, si è recentemente aperta una riflessione sul tema, in conseguenza della quale sono stati elaborati nuovi modelli del processo di integrazione dei migranti nelle società di destinazione. Questi nuovi costrutti teorici, al contrario dei precedenti, prendono avvio dal presupposto dell’inevitabilità del contatto e dell’incontro tra culture differenti, ipotizzando le conseguenze sociali che questo processo può portare.

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Rossi (2011) espone tre modelli principali.

Il primo schema teorico è il meticciato, una categoria che mette in discussione l’idea di identità culturale individuale come unica e immutabile nel tempo. Nelle società attuali, considerando i continui ed imprevedibili contatti fra culture e identità, “l’identità e la cultura non possono che essere miste, relazionali, inventive; costruzioni congiunturali e non essenze” (Colombo, 1999, citato in Rossi, 2011: 27). In altre parole, diventano obsoleti concetti quali la purezza e l’integrità dell’identità culturale di una persona, poiché essa è costantemente sottoposta a stimoli socioculturali diversi che la rendono mutevole e fluida nel tempo e nello spazio. Il meticcio è il risultato di questa continua interazione, “una figura antropologica nuova, protagonista di questi scambi umani, un individuo non più ossessionato dal bisogno di restare identico” (Rossi, 2011: 27).

Il secondo modello di integrazione è l’interculturalità: come si evince dal prefisso inter-, questo approccio pone l’accetto sull’importanza della relazionalità fra gli individui e le loro rispettive culture mediante il dialogo interculturale. Diversamente dal multiculturalismo, in cui vi è convivenza rispettosa di culture ma senza che si crei necessariamente una qualche forma di interazione o scambio, nella società interculturale il presupposto dell’integrazione è il riconoscimento mutuo e l’accettazione dell’alterità. L’interculturalità si prefigura, dunque, come “spazio relazionale tra le diversità” (Rossi, 2011: 28).

Il terzo ed ultimo modello è il transnazionalismo, il cui approccio è essenziale per comprendere il funzionamento del meccanismo di adattamento dei migranti nella società di destinazione attraverso la creazione e l’allargamento delle proprie reti sociali.

Questo schema teorico, infatti, evidenzia la rilevanza del mantenimento di legami del migrante con la società d’origine: ciò gli permette, in primo luogo, di mantenere i contatti con le proprie radici, operando a livello psicologico contro il comprensibile senso di straniamento che si prova a vivere in un Paese culturalmente differente da quello di origine. In questo senso, la rete sociale può giocare un ruolo particolarmente importante nello sviluppo di catene migratorie, sommandosi ai push and pull factors analizzati nel primo capitolo.

In secondo luogo, mantenere i contatti con la comunità di origine è fonte di supporto materiale perché facilita la creazione di reti sociali in loco, con individui o comunità all’interno dello Stato di accoglienza. In questo caso, le reti sociali hanno come scopo lo scambio di informazioni essenziali relative, per esempio, all’inserimento nel mercato del lavoro o all’ottenimento della necessaria documentazione; inoltre, trattandosi di relazioni costituite sulla “reciproca confidenza e sulla solidarietà interna […] comportamenti di reciprocità basata in reti di parentela

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o di vicinanza”41 (traduzione della scrivente, Ribas Mateos, 2004: 81), il loro ruolo può anche

essere quello di supporto economico in momenti di difficoltà del singolo.

Costituiscono, dunque, uno strumento essenziale per capire le dinamiche interne alle comunità di migranti, sebbene talvolta non risultino visibili ad una prima analisi.

Infine, di recente si sta iniziando a delineare un quarto ed ultimo modello, in sostituzione del

melting pot degli Stati Uniti d’America. Si tratta del modello definito salad bowl: attraverso la

metafora dell’insalatiera di culture, riassume quella tipologia società in cui ogni identità individuale mantiene la sua cultura di origine, creando un proprio microcosmo nel privato, ma partecipando (in misura più o meno maggiore) alla vita pubblica della società. In altre parole:

l’insalatiera o teoria del mosaico culturale richiama l’integrazione dei diversi gruppi etnici dei residenti negli Stati Uniti combinandoli come i vari ingredienti di un’insalata. Questo modello ha sfidato il tradizionale concetto di assimilazione culturale presente nel melting pot. Nella nozione di salad bowl, le varie culture americane rimangono differenziate e non si fondono insieme in una singola società omogenea. Gli immigrati che sostengono il modello salad bowl si assimilano al nuovo mondo culturale, ma allo stesso tempo mantengono certe pratiche culturale del vecchio mondo culturale. Tuttavia, alcuni non si assimilano, ma scelgono di vivere la loro vita ai margini, in enclave etniche dove si attengono al loro vecchio mondo culturale42 (Traduzione della scrivente, Mahfouz, 2013: 2).

A conclusione di questa breve digressione riguardo le tipologie di modelli sociali di integrazione, è necessario, dunque, riaffermare che si tratta di schemi indicativi, ovvero elaborati a partire dallo studio della realtà per come essa si delinea. Può accadere che risultino obsoleti, o che se ne delineino di nuovi, in virtù dell’evoluzione delle società e degli stimoli, oggi di natura globale, a cui la cultura e le identità sociali e individuali vengono sottoposte. In ogni caso, quest’elenco di modelli ci sarà utile, nei prossimi capitoli, per capire quali tipologie di società si stanno delineando in Italia e in Spagna in virtù delle politiche migratorie attuate dai rispettivi governi e in considerazione dell’impegno della società civile.

41 Testo originale: “confianza mutua y solidaridad interna […] comportamientos de reciprocidad basada

en redes de parentesco y de vecindad”.

42 Testo originale: the salad bowl or the cultural mosaic theory has called for the integration of the diverse

ethnicities of United States residents thus combining them like the different ingredients of a salad. This model has challenged the more traditional concept of cultural assimilation in the melting pot. In the salad bowl notion various American cultures remain distinct and do not merge together into a single homogeneous society. Immigrants who favor the salad bowl assimilate into the new world culture, but at the same time keep certain cultural practices of their old world. Some, however, do not assimilate, but choose to live a life on the margins, in ethnic enclaves where they can stick to their old world culture.

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