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Identità europea: una prima definizione

L’identità culturale europea: il rapporto problematico tra unità e differenze

1. L’identità culturale europea

1.1 Identità europea: una prima definizione

L’identità è un principio che ci permette in primo luogo di distinguerci dagli altri, ma al tempo stesso è fondata su un principio di matrice più spirituale ed irrazionale, il sentimento di appartenenza ad una stessa comunità, un «voler vivere insieme», che risulta dalla condivisione degli stessi valori e degli stessi obiettivi. L'identità riguarda, per un verso, il modo in cui l'individuo considera e costruisce se stesso come elemento che è parte di determinati gruppi sociali: nazione, classe sociale, livello culturale, etnia, genere, professione e così via; dall’altra parte invece considera il modo in cui le norme di quei gruppi fanno sì che ciascun individuo si figuri, agisca e si relazioni rispetto a se stesso, agli altri, al gruppo a cui fa riferimento e ai gruppi esterni intesi, percepiti e dunque classificati come alterità88. Quella di identità è in realtà, nelle scienze sociali così come in psicologia, una nozione quanto mai problematica, spesso piuttosto vaga o usata in modo vago. Ciò vale anche in sede storica, quando si parla di identità dell’Europa (o di qualsiasi altra società) senza che si riesca a definirla con

88 Sulla nozione ed il concetto di identità in termini sociologici e antropologici si veda P. Terenzi,

Identità, in S. Belardinelli, L. Allodi (a cura di), Sociologia della cultura, Franco Angeli, Milano

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precisione. Se analizziamo l’identità europea secondo i principi generali costitutivi di un’identità (geografico, culturale, strategico), constatiamo che di fatto essa non esiste nel senso classico del termine o che, appunto, risulta difficile da definire. “Anzi, si può dire che, quanto più ampia è l’estensione di un’identità collettiva, quanto più essa si riferisce ad una realtà che abbraccia individui e gruppi molteplici e che perdura nel corso delle generazioni, tanto più risulta indefinibile o difficile da definirsi”89. E questo è appunto il caso dell’Europa, i cui

confini non soltanto storici e geografici sono mutati nel tempo e continuano a mutare ancora oggi.

Facendo uso di questa nozione, occorre in ogni caso aver chiaro che l’identità non può essere concepita come se costituisse un nucleo permanente e invariante, sottratto all’evoluzione e al mutamento storico. In altri termini l’identità europea non può essere intesa come qualcosa di analogo al carattere nazionale o al cosiddetto «spirito del popolo» di cui la cultura romantica aveva postulato l’esistenza, cioè come un’unità sottostante ad una molteplicità di manifestazioni che la esprimono, connesse tra di loro da un rapporto organico, e meno che mai può essere concepita come un principio valido normativamente al quale attenersi. L’identità europea può indicare, eventualmente, una continuità nel tempo che non esclude però il mutamento di ciò che definisce l’identità stessa, e dunque una “continuità fatta sì di «memoria» ma che comporta un processo di selezione all’interno della memoria”90

, in virtù della quale certi elementi culturali vengono conservati, in virtù della loro importanza ai fini del processo di costruzione, e altri lasciati cadere o addirittura cancellati, per diventare talvolta, in seguito, oggetto gli uni di eliminazione e gli altri di recupero. Analogamente a quanto avviene per l’identità personale, anche l’identità dell’Europa è il prodotto di una costruzione continua, ed è perciò destinata a trasformarsi in futuro così come si è già trasformata in passato. Dunque essa non consiste in un insieme di valori, di credenze, di leggi e di norme di comportamento che si siano trasmessi immutati, o che siano mutati soltanto superficialmente, nel corso dei secoli, e ai

89 P. Rossi, L’identità dell’Europa, Il Mulino, Bologna 2007, p. 103. 90 Ivi.

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quali sia possibile riferirsi come criterio discriminante nei confronti di altre società e delle relative civiltà91.

Così intesa, l’identità dell’Europa si regge su di una relazione di appartenenza, che come qualsiasi relazione del genere può essere più o meno forte, più o meno durevole e anche più o meno consapevole, e che coesiste, spesso in concorrenza, con altre forme d’identità. Ad esempio, è innegabile che la relazione di appartenenza alla comunità delle stirpi elleniche si presentasse, nell’antica Grecia, più debole rispetto alla relazione di appartenenza alla singola

polis: l’affinità tra i diversi dialetti della penisola e la partecipazione ai giochi

olimpici non impedivano di certo i frequenti conflitti tra città e popolazioni, e neppure la ricerca di alleanze al di fuori del mondo greco. Più forte sembra invece essere stata la relazione di appartenenza all’impero romano, soprattutto dopo l’attenuarsi della distinzione tra conquistatori e popoli assoggettati, e dopo la concessione generalizzata della cittadinanza ad opera dell’imperatore Caracalla92

; anche qui, però, il cittadino si ritrovava, nella vita quotidiana, in rapporto non tanto con l’autorità imperiale quanto con le istituzioni municipali e locali. In ogni caso la relazione di appartenenza dell’identità ha sempre un carattere centripeto: comporta il riferimento ad un centro più o meno reale, sia che si tratti della comunità delle stirpi elleniche o dell’unità del mondo romano, oppure, per quanto riguarda più da vicino la storia dell’Europa, di una fede comune o, venuta meno questa, anche di un insieme di costumi e di valori più o meno condivisi.

Ma ancor di più che per via positiva, l’identità si manifesta e si esprime in maniera negativa, non solo per i processi di inclusione, ma anche per i necessari processi di esclusione che implica. Ad esempio, restando nell’ambito delle popolazioni antiche, i popoli estranei alle comunità delle stirpi elleniche erano visti come «barbari», anche se le colonie ioniche sorte sulle coste dell’Asia minore intrattenevano rapporti commerciali con i popoli circostanti, né esitarono a

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Cfr. G. Delanty, L’identità europea come costruzione sociale, in L. Passerini (a cura di), Identità

culturale europea. Idee, sentimenti, relazioni, La Nuova Italia, Firenze 1998.

92 L’idea di identità, tanto nel mondo greco quanto in quello romano antico, anche considerandola sulla base di una relazione di appartenenza, differisce molto rispetto all’idea che ne viene data oggi, o che siamo portati a darle. In particolare nell’antica Grecia, all’epoca delle città-Stato, data la mancanza di una vera e propria unità statale, l’idea stessa di identità comunitaria poteva dirsi del tutto assente o comunque estesa ad un ambito molto ristretto. Ancora una volta, per il tema dell’analisi identitaria, si rimanda a P. Terenzi, Identità, in S. Belardinelli, L. Allodi (a cura di),

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riconoscere il dominio persiano, almeno fin quando quest’ultimo non minacciò direttamente i loro interessi economici e l’indipendenza cittadina. Per quanto riguarda l’antica Roma, la conquista del Mediterraneo e delle regioni transalpine, mostra chiaramente se non uno scopo, almeno un esito «inclusivo», nel senso che dopo il loro assoggettamento le popolazioni locali vennero gradualmente integrate nell’ambito dell’impero, così come era prima avvenuto per i popoli italici; un rapporto analogo invece non si istituisce, ad esempio, nei confronti dei Parti o di altre popolazioni, che rimarranno sempre estranei al mondo romano. D’altra parte inclusione ed esclusione sono fenomeni variamente correlati: gli «altri», una volta sconfitti e sottomessi, entrano di solito a far parte della società vincitrice, trasformandosi gradualmente in una parte di «noi». Non sempre, comunque, un’operazione del genere ha successo: l’impresa di Alessandro Magno, volta a integrare l’elemento greco con quello persiano, si arresterà alla sua morte, e il mondo ellenistico erediterà dalla Grecia la tradizionale contrapposizione verso i popoli situati al di là delle proprie frontiere, specialmente in quelle orientali. In qualche caso, quindi, il fallimento dei meccanismi di inclusione approfondisce il solco tra «noi» e gli «altri», trasformando questi in «stranieri» anche se fanno parte delle medesima società o della medesima struttura politica e determinando così l’esclusione93

. Processi di inclusione e processi di esclusione si intrecciano variamente, con alterna prevalenza, anche nella storia secolare dell’Europa. L’ampliamento dell’ambito geografico comporta l’inclusione di nuovi popoli (basti pensare ai popoli slavi, o agli eredi dei Vichinghi o degli Ungari); ma l’espansione dell’Europa, che la pone via via a contatto con nuovi popoli mentre prosegue, pur spostando i suoi confini culturali tuttavia non li cancella. Anche quando la colonizzazione europea stenderà la propria rete, tra Ottocento e inizio del Novecento, su quasi tutto il globo, i processi di esclusione continueranno ad agire in profondità, pur assumendo forme diverse che in passato.

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Cfr. P. Rossi, L’identità dell’Europa, Il Mulino, Bologna 2007. Tanto i processi di inclusione che quelli di esclusione contribuiscono ugualmente al processo di costruzione dell’identità: identità in quanto «noi» (poiché dotati di determinate caratteristiche culturali, politiche, sociali) e identità in quanto diversi dagli «altri».

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1.2 Un caso particolare

La costruzione dell’Europa unita iniziata nel secondo dopoguerra, in tappe che andarono dall’istituzione nel 1957 della Comunità economica europea all’elezione nel 1979 del primo Parlamento europeo a suffragio universale fino al trattato di Maastricht del 1992, si accompagnò a una crescente incertezza su che cosa rappresentasse la specificità europea in campo culturale e su che cosa volesse dire essere europei. Le grandi storie dell’idea di Europa e le raccolte di documenti ed esempi del passato pubblicate nel ventennio successivo alla fine del secondo conflitto mondiale riflettevano un atteggiamento molto meno problematico circa l’idea di una specificità europea rispetto a quelle venute in seguito. Il problema emerse effettivamente a partire dagli anni Settanta, in concomitanza con il dibattito sull’«identità», termine che fino agli anni Cinquanta era poco usato e che venne affermandosi grazie ai nuovi movimenti sociali e culturali, ma anche più strettamente etnici e regionali.

A questo punto è interessante soffermarci per un attimo su di un «caso particolare» relativo alla costruzione storica dell’identità culturale europea e alla nostra analisi su di essa. Nel 1973, una dichiarazione dei paesi della Comunità (così veniva chiamata l’Unione, composta allora di nove paesi) approvata a Copenhagen, rappresentò un tentativo di definire la specificità europea che per un verso risentiva di quel dibattito, mentre per l’altro non riusciva ad evitare le contraddizioni dell’eurocentrismo94. La Dichiarazione sull’identità europea

(Declaration on European Identity) si basava «sui principi dell’unità tra i Nove», sulle loro «responsabilità verso il resto del mondo» e sulla «natura dinamica della costruzione dell’Europa». L’unità, pur ammettendo una diversità di culture, rispondeva alla «necessità basilare di assicurare la sopravvivenza della civiltà che i Nove avevano in comune». L’identità europea si basava, secondo il documento, sul retaggio condiviso così articolato: gli stessi atteggiamenti verso la vita, intesi a costruire una società all’altezza dei bisogni degli individui; i principi della democrazia rappresentativa, del rispetto della legge, della giustizia sociale e dei diritti umani. «Parte essenziale» dell’identità europea erano a quel punto il

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mercato comune e l’unione doganale, le istituzioni, le politiche e le strutture per la cooperazione. Tuttavia, mentre le prime sezioni ribadivano presupposti noti e in larga parte condivisibili, il resto della dichiarazione stabiliva una vera e propria gerarchia di rapporti con le altre parti del mondo. Se, da un lato, al primo posto stava l’intento di intensificare i legami con quelle nazioni europee con cui già esistevano relazioni amichevoli e di collaborazione, così come la volontà di mantenere e di rafforzare gli impegni presi con i paesi mediterranei e africani e il Medio Oriente, dall’altro l’ultimo punto annunciava che l’identità europea si sarebbe sviluppata come una funzione della dinamica della costruzione di un’Europa unita95

.

In tal senso “è stato criticato non soltanto il carattere competitivo e gerarchico della Dichiarazione, che classifica i rapporti con il resto del mondo in una scala discendente […], ma lo stesso concetto di identità e il suo uso legittimante in questo contesto. Il carattere potenzialmente uniformizzante del concetto di identità ha suggerito talvolta di preferire quello di «identificazione» o di «soggettività» […], evitare ogni riferimento all’identità come semplice funzione o prodotto dell’Unione europea o come base strumentale per la sua legittimazione”96. Il documento mostrerebbe i pericoli insiti in un appiattimento dell’identità europea sull’idea dell’Europa unita. Il tema dell’Europa unita vige nei campi politico, economico, sociale e naturalmente anche culturale, mentre l’identità riguarda un campo insieme più vasto e più ristretto, che va dalla quotidianità dei suoi aspetti sia materiali sia emozionali alle forme culturali alte e basse, cioè elitarie e popolari. Il vantaggio di tenere separati questi due concetti, ovvero unità e identità europea, fa si che il discorso relativo alla seconda possa mantenere le dovute distanze rispetto ai progetti politici e alle loro realizzazioni97.

95 Cfr. L. Passerini, Introduzione. Dalle ironie dell’identità alle identità dell’ironia, in L. Passerini (a cura di), Identità culturale europea. Idee, sentimenti, relazioni, La Nuova Italia, Firenze 1998. 96 Ibid., p. 5.

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Non dobbiamo comunque dimenticare che, per quanto occorra tenere, in ogni caso, ben distinti i due concetti, la realizzazione concreta di un’identità europea definita e degna di questo nome è inevitabilmente propedeutica all’unità e a tutti i progetti legati a quest’ultima. I due concetti, dunque, restano legati a doppio filo.

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1.3 L’Europa e l’identità europea in una prospettiva storico-