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Un progetto da concretizzare

L’identità culturale europea: il rapporto problematico tra unità e differenze

5. Quale identità?

5.2 Un progetto da concretizzare

Ma l’Europa, come spesso è stato detto, non è tanto una realtà quanto un’idea, un progetto da realizzare. L’identità europea non è data ma deve essere costruita, se non addirittura inventata a partire da zero, come fu nel caso delle varie identità nazionali. Cioè è vero, ma richiede una precisazione: l’Europa come progetto non può prescindere dalla realtà storica, dal modo in cui essa si è sviluppata, e l’identità europea può essere sì costruita, ma sulla base del materiale a disposizione, a partire dalle strutture politiche preesistenti, e tenendo conto di

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tutti i processi che la favoriscono come di quelli che agiscono in senso contrario. Ma, allora, di quale progetto si tratta? Come abbiamo visto nel corso del I capitolo, in Europa di progetti di unificazione se ne sono succeduti molti. Ogni potenza con tentazioni egemoniche ha coltivato un progetto di Europa fondato sul proprio primato e ha perseguito i propri sogni imperiali. Dire che l’Europa è un progetto, che l’identità europea deve essere costruita, non risolve affatto il problema, ma aiuta in ogni caso a porlo in termini più adeguati a quelli che sono i nostri tempi.

Sorta nel corso del Medioevo, l’Europa è soprattutto il prodotto dell’età Moderna. Lo è politicamente ed economicamente, ma lo è soprattutto la sua cultura che si è formata attraverso la progressiva liberazione dai vincoli della fede religiosa184. Ormai tramontata la stagione dei nazionalismi e delle guerre nazionali, l’Europa attualmente appare soprattutto discendente diretta della cultura illuministica, ma anche delle rivoluzioni che quest’ultima, anche solo indirettamente, ha ispirato. Nel corso del Settecento la società europea è giunta a concepire l’individuo come portatore di diritti e di doveri, ma anche come soggetto di scelta. L’individuo dunque, e non la sua comunità di appartenenza. A questo presupposto si accompagna però anche il carattere universale di quei valori che l’Illuminismo ha proclamato, di valori che si rivolgono a tutti, non solo agli europei ma anche ai membri di altre civiltà, indipendentemente da quali siano o dove si trovino. Come i suoi destinatari non erano soltanto, nel corso del XVIII secolo, i sudditi di un singolo paese o gli esponenti di un particolare ceto sociale, così non lo sono oggi soltanto i cittadini europei, ovvero gli appartenenti alla civiltà europea.

Ovviamente i diritti in questione sono in parte mutati, ma anche ampliati sotto certi aspetti: al classico binomio del diritto alla libertà e del diritto alla proprietà, vale a dire tutti i diritti concernenti la partecipazione alla vita politica e l’iniziativa economica se ne sono aggiunti altri, i diritti sociali, cioè i diritti al

184 Cfr. G. Ravasi, Le anime d’Europa, in «La Repubblica», 26 febbraio 2005. Ovviamente questo non significa che la religione cristiana non abbia più presa sui popoli d’Europa, quanto piuttosto che il suo peso, e quindi la sua capacità direttiva, è fortemente diminuita. L’osservanza dei suoi precetti non è più governata dall’alto, ma viene affidata esclusivamente alla coscienza individuale, ed è questa che sceglie quali seguire e da quali discostarsi: la società europea vive ormai in un mondo secolarizzato.

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lavoro e alla difesa del posto di lavoro, all’eguaglianza delle opportunità e a una più equa distribuzione della ricchezza. Negli ultimi decenni, poi, l’accento si è spostato sui diritti del singolo nelle sue relazioni personali e socio-familiari: sui diritti relativi alla parità tra uomo e donna, alla scelta del partner, alla libertà delle proprie tendenze sessuali, a una genitorialità più responsabile, fino a considerare la propria vita, nel suo corso, come il frutto di scelte esclusivamente individuali. Non a caso in tempi più recenti, dopo il riconoscimento giuridico del divorzio o dell’aborto, è venuta la stagione dei nuovi diritti che riguardano, ad esempio, le varie forme di convivenza e il loro riconoscimento, la procreazione assistita, l’eutanasia e così via dicendo. L’Illuminismo, capostipite di questa straordinaria evoluzione in termini di riconoscimento dei diritti, restava in realtà legato all’idea fondamentale di una natura umana fornita di leggi immutabili. Oggi sappiamo che non è così, che la realtà è, come sempre, molto più complessa è sfaccettata: che l’essere umano è, come ogni altra creatura vivente, un essere mutevole, e che le strutture che si ergono intorno a lui, presentate anch’esse come naturali e immutabili, sono in realtà il frutto dell’evoluzione socio-culturale, e quindi sono anch’esse destinate a trasformarsi.

È chiaro che, come nel passato, i «valori» che la cultura europea concepisce come universali possano essere anche oggetto di rifiuto, oppure essere largamente ignorati all’atto pratico: ancora piuttosto recentemente, nel corso della Guerra Fredda, i diritti umani sono stati spesso più il pretesto di uno scontro anziché un terreno d’incontro. Tutto questo non deve stupire, dal momento che fin dal passato, ogni volta che la cultura europea ha rivendicato dei diritti, questi hanno dovuto affrontare ostilità e resistenze, non diversamente da quanto è avvenuto per le nuove prospettive scientifiche: in passato la nascita della scienza moderna, con il sistema di Copernico e Galilei, successivamente la teoria dell’evoluzione, oggi i fenomeni più recenti, come la sperimentazione in campo genetico e la nuova bioetica laica hanno finito per subire la stessa sorte. E quando tali diritti non sono stati apertamente osteggiati, spesso è stata messa in atto nei loro confronti una strategia di assorbimento e di sostanziale neutralizzazione. La situazione che si presenta oggi ai nostri occhi ha anche un altro risvolto, dal momento che ciò che viene messo in questione è proprio l’universalità dei diritti

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proclamati dalla cultura europea, nei quali altre civiltà scorgono né più né meno che l’eredità del solito atteggiamento imperialistico: in tal senso l’apertura dell’Europa alle altre civiltà rischia di avere come conseguenza il sorgere, all’interno del suo stesso territorio, di comunità del tutto «chiuse», definite su di una base etnico-religiosa.

Particolarmente importanti dunque sono proprio le opposte dinamiche dell’esclusione e dell’integrazione sociale che si articolano all’interno del processo grazie al quale l’identità europea emerge, differenziandosi dall’identità nazionale, trasformandola ed essendone trasformato. L’identità europea deve essere vista proprio in questo modo, come un nuovo spazio, aperto appunto dal collasso dello Stato nazionale e dalla fine della Guerra Fredda, uno spazio in cui bisogna creare nuovi codici culturali. Questa è la sfida che si pone se si vuol tradurre il progetto di un’Europa erede della cultura illuministica in termini politici, facendone il cardine della sua identità. Ciò che conta è la capacità dei paesi europei, e quindi dell’Unione europea, di opporsi a pretese che tendano a privilegiare il ritorno in auge di elementi quali l’integralismo religioso e l’imperialismo, e quindi di preservare e di sviluppare l’eredità propria della cultura moderna. Proprio su questo terreno si gioca la possibilità di un recupero dell’identità europea, di un’identità che, anziché rimanere ancorata alle sue presunte «radici» o importarne altre, ancor più oppressive, guardi alle prospettive di emancipazione dell’individuo.

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Capitolo III