• Non ci sono risultati.

Il tentativo di Adolf Hitler: la Seconda guerra mondiale

6.2 “Unirsi o perire”

6.3 Il tentativo di Adolf Hitler: la Seconda guerra mondiale

Tra il 1938 ed il 1945 la Germania, sotto la guida di Hitler e del regime nazionalsocialista, si rese protagonista di una politica estera espansionistica incurante di qualsiasi regola o consuetudine del diritto internazionale. Ne scaturì una guerra mondiale con decine di milioni di vittime, in maggioranza civili, e immense distruzioni. Una guerra che, già per la seconda volta nell’arco della prima metà del secolo, condusse l’Europa sull’orlo del baratro e provocò la drammatica riscrittura della carta politica ed etnica del vecchio continente. L’Europa nel suo complesso ne uscì prostrata al punto di perdere la propria egemonia internazionale, lasciando il passo alle due superpotenze: gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica. La storiografia si è spesso interrogata sui possibili, inquietanti legami tra i progetti hitleriani e i piani e la prassi di dominio dell’impero guglielmino già a partire dalla Prima guerra mondiale: piani che prevedevano comunque un’espansione dell’area egemonizzata dal Reich allo scopo di garantirne il predominio su quella che allora veniva chiamata «Mitteleuropa»81. La conduzione della guerra da parte della Germania nazista fu molto diversa da quella tenuta nella Prima guerra mondiale: l’ideologia nazista predicava l’annientamento di popoli ritenuti inferiori e giunse ben presto a incoraggiare ogni comportamento di tipo efferato. Tuttavia, se ci limitiamo a considerare la strategia tedesca, ci rendiamo conto che ben poco era cambiato rispetto alla Grande guerra: come in precedenza, infatti, la Germania tentò di neutralizzare Francia e

81 Cfr. M. Mazower, L’impero di Hitler: come i nazisti governavano l’Europa occupata, Mondadori, Milano 2010. La Mitteleuropa coincide in realtà con quella che è altrimenti definita come Europa centrale o Europa danubiana, ovvero un insieme che racchiude un serie di territori, per quanto variamente definita. Il concetto di Europa Centrale era già conosciuto all'inizio del XIX secolo, ma esso inizia a divenire oggetto di intenso interesse a partire dal XX secolo. Inizialmente tale definizione mescolava scienza, politica ed economia, ed era strettamente connessa all'aspirazione della crescente economia tedesca di dominare una parte del continente, detta appunto Mitteleuropa. Nel 1915 Friedrich Naumann, teorico del Pangermanesimo, pubblicò il saggio Mitteleuropa, in cui indicava la necessità di stabilire una federazione politica ed economica centro-europea al termine della Grande guerra. L'idea di Naumann era che la federazione avesse come principali guide Germania ed Austria-Ungheria, ma comprendesse anche altre nazioni esterne all'alleanza anglo-francese e alla Russia. Tale concetto si perse temporaneamente a seguito della sconfitta tedesca e della dissoluzione dell'Austria-Ungheria, ma venne recuperato negli anni trenta dall'ideologia nazista.

- 80 -

Inghilterra, che da sempre si opponevano all’espansione tedesca, per poi volgersi a est, a quei vastissimi spazi russi che essa vedeva come «naturale» riserva per la sua espansione territoriale. Dunque, dietro le motivazioni razzistiche e prevaricatorie del nazismo affiorava quella motivazione economica che aveva fatto saltare il precedente sistema dell’equilibrio: i confini nazionali, nel secolo precedente, avevano avuto la funzione di favorire lo sviluppo economico e, soprattutto, avevano rappresentato un valore positivo, quasi sacrale, e pertanto dovevano essere difesi e protetti. Al contrario, nell’era della moderna industrializzazione, essi erano ormai diventati un ostacolo, una costrizione che doveva essere eliminata a ogni costo pena lo strangolamento dell’economia.

Dopo aver sconfitto in poche settimane la Polonia (bombardata sotto gli occhi compiaciuti dello stesso Hitler, Varsavia capitolò il 28 settembre), nella primavera seguente le forze armate tedesche avviarono le operazioni militari contro Danimarca e Norvegia (il 9 aprile) e successivamente contro Belgio, Olanda, Lussemburgo e Francia (a partire dal 10 maggio). A quest’ultima campagna militare si accodò, il 10 giugno, anche l’Italia fascista, fino a quel momento bloccata in una non belligeranza malaccetta da Mussolini. Il 22 giugno si svolse nel bosco di Compiègne la cerimonia della firma dell’armistizio, dopo la bruciante sconfitta subita dall’esercito francese. Nel corso dell’anno seguente parve che le cose si mettessero per il verso giusto, in coerenza con il programma nazionalsocialista. Ma prima di scatenare la propria Vernichtungskrieg, cioè la propria «guerra di distruzione», la Germania dovette intervenire sullo scacchiere balcanico e nord-africano, in aiuto dell’alleato italiano. Agli inizi dell’aprile del 1941 la Wehrmacht, l’esercito del Terzo Reich, su richiesta italiana entrò in campo nei Balcani, sconfiggendo in pochi giorni la Jugoslavia e la Grecia. Entro la fine del mese Atene era stata conquistata ed entro maggio cadde anche Creta, nonostante la difesa britannica. Ora anche l’intera penisola balcanica era sotto controllo, sia in forma diretta che in forma di Stati alleati, come la Romania e l’Ungheria.

La decisione di Hitler di lanciare l’attacco contro l’Unione Sovietica, nonostante la Gran Bretagna fosse tutt’altro che sconfitta, contraddice i suoi principi strategici e gli insegnamenti della recente storia tedesca. È probabile che

- 81 -

la volontà di stringere i tempi dipendesse dalla consapevolezza di Hitler che il tempo giocava a favore dei suoi nemici, i quali disponevano di un potenziale economico nettamente superiore. Hitler era inoltre convinto che l’Armata Rossa82 fosse molto debole, anche a causa delle purghe staliniane che ne avevano decapitato i quadri negli anni precedenti. Era una valutazione apertamente condivisa dai vertici militari tedeschi che, dopo le brillanti vittorie ottenute contro Polonia e Francia, si erano schierati senza incertezze con il Führer. Non può essere sottovalutato, inoltre, l’elemento economico: una vittoria militare contro l’Unione Sovietica avrebbe garantito quelle risorse e quello spazio vitale di cui il popolo tedesco aveva bisogno. Il successo dell’attacco iniziale, che portò le truppe tedesche ad avvicinarsi a poche decine di chilometri da Mosca, spinse lo stesso Hitler a dichiarare il 3 ottobre che “il nemico bolscevico è ormai liquidato e non potrà più rialzarsi”83. Invece, qualche settimana dopo, complice anche il peggioramento delle condizioni atmosferiche, le truppe sovietiche, rafforzate da contingenti reclutati nella parte asiatica, poterono a loro volta avviare una controffensiva. Nella primavera successiva, con rinnovato slancio, la Wehrmacht riprese l’offensiva, fino ad arrivare sulla riva occidentale del Volga, alla periferia nord di Stalingrado, il 23 agosto 1942. Era quello il punto massimo raggiunto dall’espansione militare tedesca su scala continentale: cinque mesi dopo, infatti, i pochi superstiti si arrendevano nell’inferno di gelo di Stalingrado. La guerra vedeva così una svolta strategica decisiva, anche se per la sua conclusione sarebbero dovuti trascorrere altri due anni.

La Seconda guerra mondiale presenta di fatto notevoli elementi di novità, anche rispetto alla Grande guerra, pur innestandosi sulla scia di quest’ultima. Innanzitutto essa può considerarsi come la prima vera guerra totale, tale da coinvolgere ogni aspetto della vita sociale, civile ed economica dei paesi coinvolti. In secondo luogo, essa venne a configurarsi con caratteri di un’inedita

82

A.M. Banti, L’età contemporanea, vol. II, Dalla grande guerra a oggi, Laterza, Roma-Bari 2009. L’«Armata Rossa» fu il nome dato alle nuove forze armate dell'Unione Sovietica dopo la disintegrazione delle forze zariste nel 1917. Lo stesso aggettivo di «rossa» fa riferimento, non a caso, al tradizionale colore del movimento comunista. L'Armata Rossa fu istituita su decreto del Consiglio dei commissari del popolo nel 1918 e divenne l'esercito dell'Unione Sovietica al momento della sua fondazione nel 1922. Suo fondatore fu Lev Trotskij, commissario del popolo per la guerra dal 1918 al 1924.

83 G. Corni, Il sogno del “grande spazio”. Le politiche d’occupazione nell’Europa nazista, Laterza, Bari 2005, p. 16.

- 82 -

trasversalità: mai come in quel frangente il collegamento tra alleati, sia da una parte che dall’altra, fu così forte, tale da comportare una vera e propria compenetrazione di forze. Gli Alleati in campo avverso al nazismo unirono i loro arsenali, i loro stati maggiori e le reti di spionaggio. È indubbio che la presenza degli Stati Uniti fu determinante per l’esito del conflitto in favore degli Alleati, ma anche l’integrazione politica e militare tra le forze europee rappresentò una carta vincente a tal fine. Anche queste opzioni, seppur in misura più modesta, rivelano quanta strada avesse fatto la consapevolezza della necessità di unirsi. Un altro carattere di trasversalità della Seconda guerra mondiale fu che essa creò schieramenti del tutto indipendenti dai confini nazionali. In tutti i paesi di occupazione tedesca, dalla Francia al Belgio, dai paesi scandinavi a quelli balcanici, si costituirono gruppi che, per ovvie questioni di opportunismo o per personale adesione ideologica al nazismo, collaborarono attivamente con gli invasori, ovvero i cosiddetti «collaborazionisti». Altrettanto diffuso ma di proporzioni ben maggiori fu invece il fenomeno della «resistenza». Anche se furono presenti caratteri differenti a seconda dei vari contesti nazionali, tali da far assumere al movimento stesso dimensioni totalmente differenti nelle diverse situazioni di guerra e di occupazione, la resistenza ebbe ovunque lo stesso carattere di fondo: non si trattava soltanto di cacciare una forza occupante straniera e tornare in possesso delle proprie libertà, ma ancor più di sconfiggere la visione del mondo di cui il nazismo era portatore, una visione del mondo che si fondava sull’idea della prevaricazione, della violenza e della differenza gerarchica tra gli uomini. Si trattava dunque di affermare un’idea nuova e universale di dignità umana in contrasto con quella opprimente e razzista propugnata dal nazismo, che minacciava di cancellare o ridurre in schiavitù interi gruppi umani.

Non è un caso che, superata la classica lettura della storia militare come di confronto tra Stati, gli storici contemporanei abbiano cominciato sempre di più a parlare della Seconda guerra mondiale come di una «guerra civile europea»84 nella

84 Cfr. E. Traverso, A ferro e fuoco. La guerra civile europea 1914-1945, Il Mulino, Bologna 2008. Il concetto di «guerra civile europea» si associa generalmente allo storico tedesco Ernst Nolte, che usa questo termine per definire il periodo, contrassegnato appunto da una guerra civile combattuta tra europei, che si apre nel 1917 con la rivoluzione di Ottobre e si esaurisce con la disfatta del nazismo, sebbene secondo altre interpretazioni l’anno di inizio sarebbe da collocare nel 1914, ovvero con lo scoppio della Prima guerra mondiale. In realtà la guerra civile del XX secolo ha

- 83 -

quale, tra le altre cose, vennero a scontrarsi due opposte visioni del mondo: quella totalitaria e quella democratica. Questa adesione di natura puramente ideologica e morale è stata, forse per la prima volta nella storia, più forte della tradizionale fedeltà allo Stato. Alla resa di Berlino, un’Europa ridotta a un cumulo di rovine e macerie e, soprattutto, ormai priva del suo ruolo plurisecolare di protagonista mondiale, piangeva milioni e milioni di morti. Si trattava di fare i conti con una serie di fattori, come le stragi spaventose, gli orrori inimmaginabili vissuti, il terrore che dilagava nel vecchio continente, ma soprattutto con l’incubo che l’esperienza appena conclusa potesse ripetersi. In ogni caso, mentre la società civile si rialzava, seppur faticosamente, sgombrando le macerie e ricostruendo le proprie case, un altro genere di ricostruzione era stato avviato, forse addirittura più complesso, ma ugualmente importante e di vastissima portata. L’Europa che aveva conosciuto negli anni precedenti i campi di sterminio e i bombardamenti a tappeto sulle città era stata, al tempo stesso, anche l’Europa della resistenza, dell’impegno della società civile «dal basso» per fondare su nuove basi una nuova convivenza tra i popoli. Ed è, in parte, proprio da questo, da sei anni di massacri e distruzioni e dalla maturazione politica e morale nata dall’impegno diretto dei cittadini, che giunsero i primi passi verso l’Unione europea.

almeno due antecedenti, che abbiamo parzialmente esaminato nel corso del capitolo: la guerra dei Trent’anni (1618-1648) e, a un secolo e mezzo di distanza, le guerre napoleoniche, avute inizio con la Rivoluzione francese e conclusesi con la caduta dell’impero napoleonico (1789-1815). Secondo tale ottica dunque il nostro continente sarebbe stato attraversato da ben tre guerre civili, in una escalation di violenza che ha raggiunto il proprio culmine con la Seconda guerra mondiale.

- 84 -