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L’Europa e l’identità europea in una prospettiva storico filosofica

L’identità culturale europea: il rapporto problematico tra unità e differenze

1. L’identità culturale europea

1.3 L’Europa e l’identità europea in una prospettiva storico filosofica

È interessante notare come il concetto di Europa e, conseguentemente, di identità europea, sono stati per molti anni al centro di indagini storiche e filosofiche, ed è altrettanto interessante analizzare questa prospettiva storico- filosofica in virtù dei risultati che ha raggiunto, in termini di sviluppo del pensiero e dell’identità europea (nell’eventualità che si sia poi effettivamente giunti ad un risultato del genere). L’idea di Europa è senza ombra di dubbio uno dei temi favoriti dalla ricerca storica da ormai diverso tempo, per quanto la parola stessa, «Europa», non venga mai propriamente chiarita. Il vecchio tema del «fare l’Europa» di solito è un pretesto per descriverne la continuità storica, senza dover spiegare effettivamente che cosa è. Lo Stato nazionale è considerato il più delle volte come il protagonista della storia, mentre l’Europa è una sorta di sostanza che si pone come spirituale e che in qualche modo si svela nella storia. Cosi, nei racconti, o potremmo dire miti, familiari all’identità dei popoli occidentali, “ci troviamo di fronte alla grande narrativa di un’identità europea che dall’epoca eroica dei greci si trasferì a Roma, continuò attraverso l’Impero carolingio e il Sacro Romano Impero, fu ripresa dal Rinascimento e, dopo l’inconveniente temporaneo della Riforma, venne affermata dall’Illuminismo e in qualche modo sopravvisse all’insorgere del nazionalismo moderno e alle guerre mondiali che lo seguirono. Tali grandiose narrazioni di identità non possono che suscitare scetticismo”98

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In una prospettiva leggermente diversa il tema della superiorità o addirittura dell’unicità dell’Occidente ha creato le basi di un importante corpus di storia comparata. Fin da quando Weber ha posto al centro della sociologia storica il «razionalismo occidentale»99 come aspetto distintivo dell’Europa, i tentativi di

98 G. Delanty, L’identità europea come costruzione sociale, in L. Passerini (a cura di), Identità

culturale europea. Idee, sentimenti, relazioni, La Nuova Italia, Firenze 1998, pp. 55-56.

99 Uno dei primi temi presenti della sua analisi, in effetti, del quale Weber si occupa in prospettiva storica, è quello del capitalismo moderno, percorrendo la storia sociale dell’Oriente e dell’Occidente. Intenzionato in origine a definire i tratti costitutivi del sistema economico e capitalistico moderno, progressivamente Weber sposta la propria attenzione sulla «razionalizzazione» che investe la sfera sociale e non solo. Parlando dunque di razionalismo

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spiegare il ruolo dell’Europa nella storia mondiale hanno destato un considerevole interesse. Tuttavia questi studi raramente riflettono sull’Europa in quanto forma di coscienza o visione del mondo e hanno a che fare soprattutto con la lettura del fenomeno dell’Europa in quanto processo sociale, economico, politico e militare. Inoltre vanno frequentemente ad attribuire una forte normatività al «miracolo europeo»100 o al «compimento dell’Europa», mentre il concetto di unità o di identità generalmente viene presupposto e solo raramente messo in discussione. Dagli studi sulla concezione geografica dell’Europa emerge la sua natura ambivalente, che non coincide mai con le sue definizioni politiche: mentre la definizione geografica dell’Europa, fin dall’Ottocento, è stata strettamente connessa con i suoi confini naturali (come, ad esempio, i Monti Urali ad Oriente), l’idea politica e ideologica è stata sempre quella di Europa come Occidente. Questa tensione ha le sue origini in epoca medioevale, quando il cristianesimo fallì nello sviluppare una struttura politica in grado di integrare il cristianesimo greco e latino in un sistema politico unitario, separazione che si rifletteva nella tendenza ad assimilare l’Europa alla Cristianità latina. Similmente, in epoca Moderna si è venuta a creare una situazione del genere ma su basi completamente diverse: i paesi slavi sono stati visti come solo nominalmente europei ed è emersa una nuova frontiera, un cuneo economico e culturale che rifletteva due diversi percorsi della modernità, l’uno determinato dalla modernizzazione capitalista e l’altro da quello che si potrebbe definire come un prolungato feudalesimo, i cui effetti si sono trascinati a lungo101.

occidentale, egli confronta le diverse culture, osservando quali di esse spinsero ad un’effettiva razionalizzazione delle sfere della vita. Per questa e altre tematiche dell’analisi weberiana si veda W. Schluchter, Lo sviluppo del razionalismo occidentale. Un’analisi della storia sociale di Max

Weber, Il Mulino, Bologna 1987.

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Ovvero lo straordinario «boom» economico che l’economia europea conobbe tra la metà degli anni Cinquanta ed il 1973, anno della crisi energetica dovuto all’interruzione di approvvigionamenti petroliferi da parte dei paesi dell’Opec, a seguito della guerra del Kippur. Per un’analisi più approfondita si veda B. Eichengreen, La nascita dell’economia europea. Dalla

svolta del 1945 alla sfida dell’innovazione, Il Saggiatore, Milano 2009.

101 In particolare dopo il crollo dell’Unione Sovietica e del blocco socialista, il solco venutosi a creare tra i paesi dell’Europa occidentale e orientale non è stato mai completamente superato, nonostante i tentativi di inclusione, in parte anche riusciti, portati avanti dall’UE in tempi più recenti. Tale divisione, forse più profonda di quanto non appaia perlomeno sotto certi aspetti, perdura ancora oggi. Per un approfondimento sulle diversità di natura economica tra i due blocchi, si rimanda ancora a B. Eichengreen, La nascita dell’economia europea. Dalla svolta del 1945 alla

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Uno dei primi ad impostare il discorso europeo sul piano filosofico è Edmund Husserl, che propone un’idea complessa e ricca dell’Europa e dell’umanità europea. Un notevole motivo d’interesse, nell’interpretazione husserliana della storia europea, è costituito dal rilievo che viene attribuito alla cultura e alla tradizione. Se non si vuol soggiacere a una concezione meramente economicista dell’Europa, concepita come un grande spazio mercantile, occorre allora interrogarsi sull’identità profonda dell’Europa, sul rapporto fra tale identità e le differenze, di vario tipo, che si diffondono nel nostro continente; c’è bisogno, allora, di volgersi alla filosofia, alla comprensione radicale che essa schiude, e di tale comprensione Husserl è in qualche modo il fautore, concependo la tradizione non come semplice riproduzione o copia, ma come la continua rielaborazione di un pensiero originale. Una cultura europea, per Husserl, che deve essere improntata a uno stile di creatività. In tal proposito, fra le varie forme di naturalismo e di oggettivazione, il nostro filosofo colloca il nazionalismo: si tratta di una malattia, e non di poco conto, che aggredisce continuamente l’umanità europea, conducendola a rompere l’equilibrio fra l’universale e il particolare: così si smarrisce lo sfondo filosofico, la vera «lingua europea», i filosofi finiscono di essere i «funzionari dell’umanità», e tutto si viene appiattendo in una generale deresponsabilizzazione. Occorre dunque riprendere contatto con la vita, con le sue esigenze concrete, e operare una nuova sintesi tra la vita e la cultura fondata sulla libera ragione: “Il maggior pericolo dell’Europa è la stanchezza. Combattiamo contro questo pericolo estremo, da buoni europei, con quella fortezza d’animo che non teme nemmeno una lotta destinata a durare in eterno. Allora dall’incendio che distruggerà lo scetticismo, dal fuoco soffocato della disperazione per la missione umanitaria dell’Occidente, dalla cenere della grande stanchezza, rinascerà la fenice di una nuova interiorità di vita e di una nuova spiritualità, il primo annuncio di un grande e remoto futuro dell’umanità: perché soltanto lo spirito è immortale”102

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In quanto ideale filosofico, in realtà, l’Europa è di solito descritta come un concetto normativo, che suggerisce qualcosa di più che un’idea culturale, e cioè un nuovo modo di vivere e, in effetti, di rapportarsi alla realtà che non sempre fa

102 E. Husserl, La crisi dell’umanità europea e la filosofia, in R. Cristin (a cura di), Crisi e

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riferimento all’idea stessa di Europa. Karl Jaspers parlava a tal proposito di «spirito dell’Europa», caratterizzato da tre grandi temi: la libertà, il bisogno di storia e la scienza103. Nella sua visione esiste un’autocoscienza europea distintiva che può essere salvata dal nichilismo della storia soltanto se l’idea di Europa si concentra sulla propria eredità spirituale e abbandona il desiderio di realizzarsi in ordine del mondo. Thomas Stearns Eliot condivideva la medesima nozione di Europa come processo spirituale. Nel 1947 egli sostenne che occorreva andare oltre l’unificazione economica al fine di raggiungere una unificazione culturale della diversità dell’Europa, pur sempre fondandosi sulle vecchie radici, come la fede cristiana o i linguaggi classici104. Una tesi che viene ripresa in parte all’interno di un famoso saggio di Milan Kundera, che descrisse l’Europa come una «patria spirituale, sinonimo della parola “Occidente”». La tesi di Kundera sostiene che l’Europa in realtà non sia semplicemente l’Occidente nel senso stretto del termine «Europa occidentale», ma abbracci anche l’Europa centrale e che dunque sia la patria culturale di una moltitudine di popoli e genti105.

La nozione di Europa in quanto ideale filosofico sta anche alla base della visione espressa dal primo presidente della Repubblica Ceca Havel in un discorso tenuto al parlamento europeo nel 1994: l’Europa ha bisogno di «una dimensione spirituale o morale»106 in grado di articolare una nuova identità e la rigenerazione del suo carisma. Un’altra affermazione di Havel, risalente stavolta al 1995, è altrettanto tipica del suo discorso sull’europeismo: “l’Europa è, ed è sempre stata nell’essenza un’entità politica singola, tuttavia immensamente variegata e

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Cfr. K. Jaspers, Europa der Gegenwart, Amadeus, Vienna 1947, trad. it. Spirito Europeo, a cura di P. Santarcangeli, Comunità, Milano 1950. In questo saggio poco conosciuto, Jaspers definiva tale «principio spirituale», nel quale risiederebbe l’identità d’Europa, precisando come l’Europa si è caratterizzata di volta in volta per il suo risorgere continuo da lotte e guerre, dal quale deriverebbe la compattezza della sua unità spirituale di fondo.

104 Cfr. T. S. Eliot, Opere, a cura di R. Sanesi, Bompiani, Milano 1986. Il noto poeta, premio Nobel per la letteratura nel 1948, proprio all’indomani del conflitto tenne alcune conversazioni radiofoniche rivolte alla Germania, sottolineando la comune eredità culturale del continente europeo: la Bibbia, la letteratura greca e romana, le fondamenta germaniche della lingua inglese e così via dicendo.

105 M. Kundera, The tragedy of central Europe, The New York Review of Books, Apr 26, 1984, pp. 33-38. Il messaggio di Kundera nasceva da una denuncia di fondo nei confronti non solo della dittatura comunista nei paesi dell’Europa centro-orientale, ma anche verso l’indifferenza occidentale mostrata nei confronti di quest’ultima.

106 G. Delanty, L’identità europea come costruzione sociale, in L. Passerini (a cura di), Identità

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diversificata”107. Per quanto l’identità europea sia da considerarsi, tra i suoi vari

elementi, come non prevalentemente tecnocratica, fino a che punto si può effettivamente dire che le sue fondamenta risiedano nei contenuti di cultura o che il progetto della modernità sia la realizzazione delle promesse dell’Illuminismo? Da che cosa poi sia costituito questo principio spirituale resta estremamente vago, e in molti casi diventa un sottile stratagemma ideologico per articolare l’ostilità verso coloro che sono designati come «non-europei». L’opinione di Kundera, ad esempio, che l’identità europea sia profondamente radicata nel cristianesimo romano sembrerebbe escludere quei paesi le cui tradizioni culturali sono più radicate nel cristianesimo ortodosso. La più recente nozione di Europa è una costruzione culturale posteriore alla guerra fredda: l’Europa cosiddetta «dall’Atlantico agli Urali» è un’entità storico-culturale unita dalla comune eredità del Rinascimento e dell’Illuminismo, dei grandi insegnamenti filosofici e sociali dell’Ottocento e del Novecento. Questa idea di Europa come progetto della modernità si trova anche in alcuni scritti dell’ungherese Agnes Heller, per la quale “la modernità, la creazione dell’Europa stessa ha creato l’Europa”108

, riprendendo un’idea risalente e prevalentemente diffusa nel XIX secolo. Oggi, al contrario, la modernità non è più europea, o comunque non soltanto. Tuttavia la Heller porta avanti l’idea che la cultura europea possa rinascere nel futuro: “Ciò che la nuova struttura europea promette è l’emergere della virtù civica, del gusto, dell’educazione del senso, della civiltà, dell’urbanità, della gioia, della nobiltà, di forme di vita dignitose, di sensibilità per la natura, lavorata o preservata, così come per la poesia, per la musica, per il teatro, la pittura, la religiosità, l’arte erotica e molto altro”109

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Che cos’è allora la cultura europea? Secondo George Steiner essa è ben esemplificata nell’istituzione del caffè: «se tracci una linea da Porto, nell’occidentale Portogallo, a Leningrado, ma certamente non a Mosca, puoi entrare in un luogo che si chiama caffè, con giornali da tutta l’Europa, puoi giocare a scacchi, giocare a domino, puoi stare a sedere tutto il giorno per il

107 Per i discorsi completi si veda V. Havel, A new European order?, The New York Review of Books, Mar 2, 1995.

108 A. Heller, Europe – An Epilogue, in B. Nelson, D. Roberts e W. Veit (a cura di), The idea of

Europe: Problems of National and Transnational Identity, Berg, Oxford 1992, p. 12.

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prezzo di una tazza di caffè o di un bicchiere di vino, parlare, leggere, lavorare. Mosca, che è alle porte dell’Asia, non ha mai avuto un caffè». Il caffè «definisce uno spazio storico molto particolare più o meno tra l’occidentale Portogallo e quella linea che corre da Leningrado a Kiev, a Odessa. Ma non a est e nemmeno molto a sud di essa»110. Quanto può esser vero ciò? L’istituzione del caffè in fin dei conti è araba e si può trovare nelle città del Nord Africa, da Tangeri ad Alessandria. Fu dopo tutto a partire dall’Impero ottomano che l’usanza di bere caffè arrivò in Europa nel corso del Settecento, quando i caffè erano considerati come luoghi di sovversione e di intrigo. È impossibile negare, in ogni caso, che esista una tradizione culturale europea peculiare. Le università delle grandi città europee, ad esempio, che raramente erano identificate con un paese fino all’età dello Stato nazionale, possono essere viste come parte costituente di un’istituzione europea. Anche i grandi stili architettonici come il romanico, il gotico o il barocco indubbiamente hanno dato all’Europa una forma culturale caratteristica e, tutto sommato, abbastanza specifica. Tuttavia una visione dell’Europa in quanto discorso della mente, come viene definita da Paul Valery, cancella il soggetto111. Ciò emerge anche da studi relativamente più recenti che sono andati a porre l’accento sugli aspetti culturali e intellettuali e l’eredità spirituale dell’Europa, mentre si discostano da queste interpretazioni la critica di Derrida alle definizioni essenzialiste dell’identità europea112

e la nozione di Habermas di un’identità postnazionale come base per un’identità europea non essenzialista113. Un’identità

postnazionale, se può formarsi, implica la concezione che l’identità politica nelle società più evolute, complesse e multiculturali non possa essere basata pretestuosamente su un elemento singolo, per quanto importante, come una tradizione culturale, un’eredità spirituale, una geografia o uno Stato comune, poiché ciò è possibile solo attraverso l’esclusione dell’alterità (quindi ancora una

110 G. Steiner, Culture: The Price you pay, in R. Kearney (a cura di), Visions of Europe, Wolfhound Press, Dublino 1992, pp. 43-44.

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Cfr. P. Valery, Oeuvres, vol. I, Gallimard, Parigi 1957. Il poeta si interrogava sulla crisi dell’identità europea legata alle guerre, che impose all’Europa l’esperienza della propria finitezza, il crollo dei propri punti di riferimento. Quando parla di «discorso della mente», Valery si riferiva probabilmente a tutti quei fattori (gli elementi costitutivi della civiltà europea) che credeva in buona parte perduti.

112 Cfr. J. Derrida, L’autre cap, trad. it. Oggi l’Europa. L’altro capo, Garzanti, Milano 1991. 113 Cfr. J. Habermas, Citizenship and National Identity: some reflections on the future of Europe, «Praxis International», 12 (1), 1993: 1-19.

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volta per mezzo di processi di inclusione e di esclusione) e inevitabilmente porta a divisioni.