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I sovrani, i politici, i diplomatici e gli statisti che tra il 1814 e il 1815 si riunirono a Vienna, nell’ambito del famoso congresso, avevano come obiettivo quello di trovare un nuovo assetto per l’Europa, un assetto che fosse definitivo, così che potesse scongiurare possibili futuri rivolgimenti come quello prodotto da Napoleone, che era stato in grado di rivoluzionare completamente la società europea. Le potenze vincitrici riunite in congresso volevano dunque cancellare, finché potevano, gli sconvolgimenti degli ultimi venticinque anni. Fecero pertanto valere il principio della legittimità, per il quale ogni popolo tornava al suo stato precedente, anche se con significative eccezioni, come nel caso della Repubblica di Venezia che, eliminata totalmente attraverso il trattato di Campoformio, non veniva ripristinata, restando nelle mani degli austriaci. Non venne rimesso in piedi neanche il Sacro Romano Impero, e al suo posto nacque una debole Confederazione germanica presieduta da Prussia e Austria. Non veniva ricostituita nemmeno la Polonia, che era già stata spartita tra le varie potenze che avevano vinto la guerra contro la Francia, e in particolare dallo Stato che si considerava virtualmente come il principale vincitore del conflitto, ovvero la Russia. Il Belgio non venne restituito agli austriaci, compensati a loro volta, come già detto, con Venezia, ma venne annesso all’Olanda, affinché ci fosse un paese forte ai confini francesi. Per lo stesso motivo il territorio di Genova veniva assorbito all’interno del Regno di Sardegna. La carta dell’Europa venne pertanto ridisegnata secondo il principio dell’equilibrio: evitare di alterare i rapporti di forza tra le potenze di primo rango e utilizzare come interposizione tra di esse dei piccoli Stati, sia antichi che di nuova formazione.

Tale metodo sfortunatamente non teneva in alcun conto il fatto che alcune nazionalità e intere comunità, che si erano venute a formare anticamente e che avevano saldato i propri vincoli dopo secoli e secoli di convivenza e di unità, venissero così separate in Stati diversi o accorpate a forza in uno stesso Stato. Questo fu probabilmente l’errore più grave, tra i tanti commessi, dal Congresso di Vienna, ovvero quello di separare con la forza delle unioni che erano più antiche, in alcuni casi almeno, di molti Stati. In effetti si potrebbe dire che proprio il

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nazionalismo era il grande assente a Vienna, e la sua sottovalutazione fu il più grande errore dei ministri lì riuniti, i quali non capirono questo nuovo protagonista della storia europea, che non avrebbe fatto che crescere, fino ad assumere il posto centrale all’interno del panorama politico, culturale ed emotivo degli abitanti d’Europa. Quei ministri pensavano invece solo in termini di territori da assegnare ai vari sovrani. Per quanto riguarda il caso dell’Italia, ad esempio, Metternich62

la definiva semplicemente come un’«espressione geografica». La Rivoluzione francese aveva dato un nuovo significato passionale, coinvolgente e identitario ai termini di «nazione» e di «patria», che prima avevano fatto riferimento soltanto all’origine, cioè al luogo di nascita. Lo aveva reso un valore per il quale valeva la pena di uccidere e di morire. Aveva definito la nazione come popolo che giura di combattere per la sua libertà, e quindi aveva identificato la Francia stessa come «Grande Nazione», la quale non solo sapeva difendere la propria costituzione, ma anche imporla agli altri. Lo stesso significato, lo stesso senso passionale e combattente era stato assunto e fatto proprio anche da altri popoli: i belgi, gli italiani, i polacchi, i tedeschi, tutte popolazioni criticamente contagiate dal nazionalismo rivoluzionario, che da un lato avevano ammirato e seguito l’esempio francese, dall’altro lato erano stati disgustati dal suo carattere in parte menzognero, ma anche, e forse soprattutto, gli spagnoli e i russi, che si erano mobilitati con successo contro l’aggressione francese. Le potenze europee avevano fatto leva su questo alleato inaspettato per sconfiggere Napoleone e salvaguardare la propria autonomia. Come già detto, Lipsia era stata definita non a caso come la «Battaglia dei popoli». Lo Zar Alessandro I63 aveva inteso

62 Cfr. Ivi. Klemens Wenzel Nepomuk Lothar von Metternich-Winneburg-Beilstein, conte e, dal 1813, principe di Metternich-Winneburg (Coblenza, 15 maggio 1773 – Vienna, 11 giugno 1859), fu un diplomatico e politico austriaco, e dal 1821 cancelliere di Stato. Fu il principale artefice, nonché protagonista, del Congresso di Vienna e della Restaurazione. La famosa e controversa frase riguardante l’Italia, ovvero la sua definizione come una pura e semplice espressione geografica, più che una connotazione negativa voleva essere la constatazione di uno stato di fatto: Metternich vedeva l’Italia come composta da Stati sovrani fortemente indipendenti, il che tornava a vantaggio dell’Austria che, in questo modo, poteva esercitate una profonda influenza sulla penisola.

63 Cfr. Ivi. Alessandro I Romanov (San Pietroburgo, 23 dicembre 1777 – Taganrog, primo dicembre 1825), detto «il Beato», fu Zar di Russia dal 23 marzo 1801 fino alla sua morte. Era il figlio primogenito dello zar Paolo I di Russia e di Sofia Dorotea di Württemberg. Per quanto inizialmente sconfitto in svariate occasioni da Napoleone Bonaparte, durante le campagne napoleoniche, fu lui alla fine il vincitore definitivo sul corso, insieme agli alleati della sesta

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mobilitare la «Santa Russia» facendo leva sull’attaccamento del popolo alla sua terra e alla sua religione. Ora però le potenze vincitrici chiedevano ai rispettivi popoli di dimenticare tutto questo, di sottomettersi ai legittimi sovrani senza discutere, senza giurare alcun patto, senza pretendere alcuna costituzione, ricevendo passivamente eventuali riforme e pochissime libertà.

Ma un’intera generazione, almeno nei paesi toccati personalmente dall’epopea napoleonica, era cresciuta in tutt’altra cultura politica, militare e amministrativa: della partecipazione pubblica, del riconoscimento del valore individuale, delle garanzie tutelate dalla legge, delle carriere indipendenti dalla nascita, oltre che di passione patriottica per il proprio paese. In Francia gli ufficiali dell’esercito che aveva conquistato l’Europa furono mandati a casa con lo stipendio dimezzato. Gli studenti di tutti i paesi si ritrovarono senza un futuro, se non erano nobili, mentre tornavano al potere persone vecchie, che sfoggiavano abiti e parrucche settecentesche, legittimate a governare in virtù della nascita e mai del talento. Fra i giovani senza un futuro, soprattutto studenti e militari, le rivendicazioni liberali si radicarono, e quelle nazionaliste in particolare tra i popoli sacrificati dal Congresso di Vienna, dominati da altri paesi, come gli italiani, i polacchi e i belgi. In Francia, ad esempio, si diffusero piccoli cenacoli di pensiero liberale, mentre altrove si ramificarono organizzazioni cospirative, dove una politica libera non era possibile. In Italia si diffuse la «Carboneria», nata già durante l’occupazione napoleonica contro l’autoritarismo dei regimi filofrancesi. Ex giacobini ed ex bonapartisti confluivano in queste cospirazioni segrete, facendo delle rivendicazioni di libertà e del nazionalismo un potenziale movimento rivoluzionario. Questi movimenti che pretendevano libertà e indipendenza per i popoli confluirono in un unico sentimento condiviso, per il quale combattere e morire.

Il sistema elaborato a Vienna, in ogni caso, avrebbe retto a lungo, fino all’inizio della Prima guerra mondiale nel 1914, tanto che molti storici hanno coniato in tal senso la definizione di «Lunga Pace» o di «Pace dei cent’anni» per indicare il periodo in questione, che ripercorre la maggior parte del XIX secolo e i primi quindici anni circa del XX secolo. Nonostante si parli di pace, non si trattò

coalizione, ed entrò per primo a Parigi pochi giorni prima dell'abdicazione dell'imperatore francese. Fu successivamente uno dei protagonisti del Congresso di Vienna.

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invero di un secolo privo di guerre ma piuttosto di un lungo arco di tempo in cui esse, a paragone delle epoche precedenti, furono effettivamente rare, piuttosto sparse, coinvolgenti solitamente un numero molto limitato di belligeranti e di breve durata, spesso soltanto di poche settimane. Inoltre la maggior parte di esse non aveva, a differenza magari delle campagne napoleoniche, il carattere della conquista: si trattava piuttosto di guerre intraprese con lo scopo di conservare l’equilibrio europeo se questo, come spesso accadde nel corso dell’Ottocento, rischiava di venire alterato dai moti per le indipendenze e le unità nazionali. Tuttavia, nonostante continue relazioni diplomatiche tra le maggiori potenze e fitte reti di alleanze si adoperassero per il mantenimento e per la salvaguardia dell’equilibrio, si manifestò un potente fattore di destabilizzazione: l’unificazione della Germania che, nel 1870, alterò in modo irrimediabile il sistema nato a Vienna. Il nuovo Stato tedesco diede prova, fin dal suo processo di formazione, di possedere un formidabile apparato militare e, colmando con straordinaria e incredibile rapidità il ritardo nello sviluppo economico che lo separava dalle maggiori potenze europee, si affermò ben presto anche come grande potenza industriale.

In generale uno dei maggiori problemi che l’Europa si ritrovò ad affrontare durante la «Lunga Pace», soprattutto durante la seconda metà dell’Ottocento, fu la costruzione delle nazioni. Non fu un processo semplice, né tantomeno rapido, poiché comportava la diffusione delle lingue nazionali presso popolazioni che non le parlavano, dell’istruzione elementare, del servizio militare obbligatorio e, non secondariamente, delle festività nazionali che diffondevano il concetto di appartenenza ad un popolo legato da vincoli di sangue a una terra definita come sacro suolo della nazione, a una comunità individuata da una memoria comune e da una storia, da una catena di eventi che si conveniva di ricordare e da altri che ci si accordava per dimenticare. Questi processi di nation building coinvolsero la maggior parte dei paesi europei, con la diffusione del culto della bandiera e degli inni nazionali, con la diffusione della pubblica istruzione ed il controllo capillare dell’amministrazione. Inducevano presunti legami fraterni, che precedentemente non erano esistiti, disfacevano comunità locali appartate e le ricomponevano in aggregazioni su più larga scala. Erano processi indotti e come tali artificiali, che

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poco avevano a che fare con l’utopia nazionalista e democratica dei popoli incarnazione di Dio, aggregazioni spontanee e naturali di uomini e donne accomunati da lingue e tradizione, da una terra e da un sangue comune.

Il caso della Germania, appunto, è tutto sommato abbastanza indicativo, in quanto rappresenta insieme all’Italia la concretizzazione di questi processi. Negli Stati tedeschi questo percorso di nation building fu indotto a partire dalla famosa Battaglia di Lipsia, alla quale fecero seguito una serie di fenomeni particolari, come la diffusione di associazioni popolari per la ginnastica e lo sport, l’istituzione di feste patriottiche e la costruzione di monumenti che ricordavano la storia nazionale. La costruzione dello Stato tedesco procedeva dall’alto, senza una vera e propria mobilitazione democratica dei ceti popolari, attraverso l’impiego di numerosi strumenti: prima con l’unione doganale degli Stati tedeschi dominati dalla Prussia nel 1834, e poi, dopo il 1848 e la fallita unificazione liberale, con la costituzione della nuova politica di potenza da parte della monarchia prussiana. Il nuovo cancelliere prussiano, principale artefice di questo processo, era Otto von Bismarck64, un rappresentante dei ceti agrari più conservatori, nonché massimo teorico della Realpolitik o «politica della realtà» da condurre con la forza della casa regnante prussiana. Nel 1866 Bismarck si alleò con l’Italia per attaccare l’Austria ed espellerla dal teatro politico tedesco. Il conflitto, che per la flotta e per l’esercito italiano si rivelò disastroso, per i prussiani si rivelò invece rapido e vittorioso: il Regno d’Italia ebbe il Veneto, e a nord del fiume Meno l’Austria perse di fatto ogni influenza politica. Quattro anni più tardi Bismarck creò un’occasione per intraprendere una nuova guerra con la Francia, governata da Napoleone III65, la cui potenza fu annientata in una rapidissima campagna

64 Cfr. Ivi. Otto Eduard Leopold von Bismarck-Schönhausen (Schönhausen, 1º aprile 1815 – Friedrichsruh, 30 luglio 1898), detto il «Cancelliere di ferro», fu un politico tedesco. Fu Primo ministro della Prussia dal 1862 al 1890, poi nel 1867 divenne il capo del governo della Confederazione Tedesca del Nord. Nel 1871 fu il principale artefice della nascita dell'Impero tedesco, divenendone il primo Cancelliere. Benché promotore di riforme in campo assistenziale, fu avversario dei socialisti. In politica estera, dopo il 1878 creò un sistema di alleanze che, determinando un chiaro equilibrio di forze in Europa, riuscì a isolare la Francia e a contenere le dispute fra Austria e Russia, e fra Austria e Italia. Bismarck portò inoltre la Germania a primeggiare con la Gran Bretagna in campo economico e a divenire la prima potenza militare del continente.

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Cfr. Ivi. Carlo Luigi Napoleone Bonaparte, meglio noto con il nome di Napoleone III (Parigi, 20 aprile 1808 – Chislehurst, 9 gennaio 1873), figlio terzogenito del re d'Olanda Luigi Bonaparte (fratello di Napoleone Bonaparte) e di Ortensia di Beauharnais, fu presidente della Repubblica francese dal 1848 al 1852 e Imperatore dei Francesi dal 1852 al 1870.

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culminata nella Battaglia di Sedan: la Guerra franco-prussiana, durata poco meno di un anno, dal 1870 al 1871, che rappresentò il culmine del processo di costruzione della nazione e dello Stato tedesco. In una Versailles occupata infatti il re prussiano ricevette la corona di imperatore tedesco, e il nazionalismo germanico otteneva finalmente il proprio coronamento. Finalmente veniva raggiunta l’unificazione politica e quindi la possibilità di costruire una grande potenza, in grado di umiliare la Francia, di competere con l’Inghilterra, dopo secoli di divisioni, di ritardi nella costruzione di un sistema politico adeguato alle aspirazioni del popolo tedesco. Il nuovo impero, tra le altre cose, sottraeva ai francesi l’Alsazia e la Lorena, due province che, storicamente e linguisticamente, erano da considerarsi come prevalentemente tedesche, territori che la Francia aveva conquistato con Luigi XIV. Negli anni seguenti l’Impero tedesco si avviò dunque a diventare la principale potenza europea, proponendosi come arbitro degli interessi internazionali e continentali e della risistemazione della carta geografica europea. Si scontrò con la Chiesa cattolica in un gande confronto giurisdizionale, politico e ideologico che prese il nome di Kulturkampf, cioè una «battaglia per la cultura» che aveva come scopo quello di rafforzare politicamente e idealmente l’identità tedesca. Sperimentò infine un sistema politico estremamente oligarchico, ma anche aperto all’innovazione economica e sociale e al confronto, per quanto autoritario, con le rappresentanze politiche e sindacali dei lavoratori.

In effetti in Germania, così come in molti altri paesi, quali Italia e Francia, il socialismo ed il crescente movimento operaio erano considerati come una componente potenzialmente ostile ed estranea all’interesse nazionale, e furono pertanto indotti a piegarsi alle esigenze nazionaliste della politica. Quando scoppiò la Prima Guerra Mondiale, che regolò i conti aperti tra Germania e Francia o tra Italia e Austria, tali movimenti operai dovettero piegarsi necessariamente alle esigenze del nazionalismo, sprofondando in una grave crisi politica, o rinunciando all’internazionalismo rivoluzionario che ideologicamente li contraddistingueva. Le nazioni europee si erano costituite contro i loro movimenti operai e le loro componenti democratiche, considerate come ostili e antinazionali. I nazionalismi pretendevano dunque una componente aggressiva, e persino

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razzista, in base al fatto che ogni altro popolo rivendicava un presunto principio di superiorità rispetto agli altri, nonché un diritto di aggressione e di guerra a competere per lo spazio vitale.

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