La prova della Costituzione
1. Cos’è la Costituzione europea?
1.7 Il metodo comunitario e la Costituzione economica dell’Europa
Teoricamente, con l’eventuale entrata in vigore della Costituzione europea, la Comunità europea avrebbe cessato di esistere, dal momento che essa veniva a fondersi con la nuova Unione, la quale, a propria volta, avrebbe continuato ad applicare il metodo comunitario. Valéry Giscard d’Estaing, dal canto suo, non cessava di ripetere che, come previsto fin dal trattato di Maastricht, l’Unione avrebbe continuato a coordinare le politiche nazionali nelle materie che gli Stati avrebbero deciso di non trasferire, vale a dire essenzialmente in materia di politica estera e di sicurezza comune: per tutto il resto, in piena continuità con il metodo introdotto dai trattati di Parigi e di Roma, l’Unione avrebbe esercitato le competenze trasferite «sul modello federale», cioè attraverso istituzioni comuni, quali il Parlamento, la Commissione ed il Consiglio. I tentativi di introdurre il termine «federale» nei trattati istitutivi si sono sempre scontrati con la ferma opposizione del governo britannico. Già nel 1992 l’allora primo ministro John Major aveva rigettato l’introduzione nei trattati della «vocazione federale» proposta congiuntamente da Helmut Kohl e François Mitterrand, dal momento
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Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2005, Parte I, Titolo IX, articolo I-60, p. 46, in http://europa.eu/eulaw/decisionmaking/treaties/pdf/treaty_establishing_a_constitution_for_europe/ treaty_establishing_a_constitution_for_europe_it.pdf
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che essa implicava ai suoi occhi l’evoluzione dell’Unione verso una qualche forma di Stato. La formula del 2002, secondo la quale le competenze si esercitavano in base al modello federale, rappresentava di per sé un compromesso rispetto alla più antica vocazione federale. Ma neanche questo era sufficiente, dal momento che il presidente della Convenzione, dopo aver a lungo dialogato con il primo ministro britannico Tony Blair, si convinceva a cancellare il termine «federale» dal testo, per poi sostituirlo con l’espressione «modello comunitario». Per quanto la richiesta britannica fosse stata davvero espressione della volontà di stabilire dei limiti al processo di integrazione europea, si tratta verosimilmente di una vittoria di Pirro. Infatti, mentre il termine federale trovava comunque un inserimento difficoltoso, innanzitutto dal punto di vista semantico, nel quadro dell’integrazione europea, il metodo comunitario era stato chiaramente definito fin dai tempi della sua invenzione da parte di Jean Monnet e dei suoi collaboratori al momento della concezione del piano Schuman del 1951. Esso si basava su due elementi essenziali: i poteri della Commissione europea e il cosiddetto approccio funzionalista.
Sotto il profilo istituzionale il metodo comunitario si fonda sull’invenzione di un’istituzione che non ha uguale nelle costituzioni statali, né nelle organizzazioni internazionali: la Commissione europea, ovvero un organo indipendente incaricato di promuovere l’interesse generale europeo attraverso la sua originale partecipazione a tre classiche funzioni dello Stato, cioè partecipare alle tre funzioni, legislativa, esecutiva e giudiziaria. È chiaro che al modo di agire della Commissione sono sempre state mosse le tipiche critiche che in genere sono rivolte ai governi nazionali e alle loro amministrazioni. Allo stesso tempo è tuttavia evidente che è grazie all’esistenza di questi tre poteri in mano alla Commissione che il metodo comunitario si è rivelato efficace laddove, invece, le tecniche di cooperazione intergovernativa non consentivano di progredire sulla via dell’integrazione. La Costituzione si proponeva sotto questo punto di vista di mantenere intatte le attribuzioni della Commissione e il sistema di separazione dei poteri che ne scaturisce. Il mantenimento del monopolio dell’iniziativa, ad eccezione di alcuni campi che già in precedenza esulavano dalla sua competenza, permetteva alla Commissione di conservare il potere di ritirare una propria
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proposta e quindi di impedire l’adozione di una legge o di un regolamento troppo segnato dai baratti intergovernativi o contrario addirittura all’interesse europeo. Ovviamente la Costituzione non avrebbe fornito, e non poteva fornire, alcun orientamento in materia di gestioni di politiche, dal momento che ciò non rientrava nei suoi compiti. Nella continuità del trattato che istituisce la Comunità, anzi, la Costituzione si limitava a stabilire le competenze: precisare in quali campi e secondo quali procedure le istituzioni dell’Unione potevano agire, senza però dettare le politiche né tantomeno il modo di applicarle208.
Per quanto concerne l’approccio funzionalista, esso caratterizzava il metodo comunitario fin dai tempi della dichiarazione Schuman del 1951. L’espressione «funzionalista» non fa che teorizzare un metodo pragmatico coniato da Jean Monnet sulla base dell’esperienza acquisita da quest’ultimo prima durante la gestione della logistica interalleata nel corso delle due guerre mondiali, poi nella messa a punto e applicazione del Piano Marshall per la ricostruzione dell’Europa. L’approccio si fonda, in effetti, su di una celebre frase della dichiarazione Schuman, scaturita dalla penna di Monnet e dei suoi collaboratori: “l’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costituita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto”209
. La dottrina comunitaria continuava a discutere sulla natura, i limiti, le virtù e i difetti di quest’approccio pragmatico. Ma la realtà spesso dimenticata è che il metodo comunitario rifiuta di fissare una volta per tutte quali sono le istituzioni e quali i poteri esercitati in comune. Quando la Convenzione aprì i suoi lavori, essa ricevette rilevanti pressioni affinché mettesse fine a quest’eccesso di apertura del processo comunitario210. La Convenzione riuscì a resistere a queste pressioni e, anzi, a consacrare l’elemento di apertura dell’approccio funzionalista attraverso
208
Cfr. L. Carbone, L. Giannitti, C. Pinelli, Le istituzioni europee, in F. Bassanini, G. Tiberi (a cura di), La Costituzione europea: un primo commento, Il Mulino, Bologna 2004.
209 Dichiarazione Schuman, 9 maggio 1950, in http://europa.eu/about-eu/basic- information/symbols/europe-day/schuman-declaration/index_it.htm.
210 Cfr. A. Padoa Schioppa, Costituzione e identità europea, Giuffrè, Milano 2002. Tali pressioni non provenivano soltanto da gruppi di potere ostili all’integrazione, ma anche da istituzioni come i
Lӓnder tedeschi, che accusavano l’Europa di essere responsabile della perdita di alcune loro
prerogative, oppure da esperti di diversa provenienza, che constatavano l’inefficacia di un certo numero di politiche.
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alcune disposizioni nella nuova Costituzione, come l’art. I-3, che definiva gli obiettivi dell’Unione211
.
C’è poi anche l’aspetto economico da considerare: il trattato di Roma possedeva una caratteristica peculiare, che lo distingueva dalle costituzioni dei suoi Stati membri, dal momento che ebbe il merito di aver fissato in termini giuridici i principi e le regole di funzionamento di un’economia di mercato, caratterizzata dal libero gioco della domanda e dell’offerta, dalla libertà di circolazione dei prodotti, dei servizi, dei fattori di produzione e dalla fissazione di regole di concorrenza chiare212. Scopo del trattato, dunque, era di dare vita ad un’economia di mercato su scala europea attraverso la consacrazione delle quattro «libertà» di circolazione (merci, servizi, lavoratori, capitali) e delle regole di concorrenza, lasciando al contempo gli Stati membri liberi di operare le proprie scelte in materia di previdenza sociale. Naturalmente, rispetto all’epoca del trattato, la situazione economica e il modo di concepire lo Stato sociale sono considerevolmente cambiati. La Costituzione, comunque, cercava di sintetizzare i risultati del trattato di Roma, le concezioni specificatamente europee dell’economia di mercato legata alla solidarietà sociale e le tradizioni e le inquietudini di alcuni Stati membri attraverso una serie di disposizioni213. La successiva Conferenza intergovernativa aggiunse poi una nuova clausola sociale di portata generale, l’art. III-117, che confermava i progressi verso una Costituzione economica e sociale dell’Unione europea214
.
211 Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2005, Parte I, Titolo I, articolo I-3, pp. 17-18, in http://europa.eu/eu-law/decision-making/treaties/pdf/treaty_establishing_a_constitution_for_ europe/treaty_establishing_a_constitution_for_europe_it.pdf
212 Cfr. B. Eichengreen, La nascita dell’economia europea. Dalla svolta del 1945 alla sfida
dell’innovazione, Il Saggiatore, Milano 2009. Le virtù del mercato erano esaltate per due ragioni:
la convinzione che si trattasse del miglior metodo per assicurare la prosperità e l’idea che i cartelli e le concentrazioni sviluppatisi in assenza di un solido sistema di concorrenza avessero contribuito al rafforzamento delle dittature e soprattutto al riarmo della Germania e dunque agli orrori della guerra.
213 Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, Lussemburgo, 2005, Parte I, Titolo I, articoli I-3, I-4, pp. 17-18, in http://europa.eu/eu-law/decision-making/treaties/pdf/treaty_establishing_a_constitution_for_ europe/treaty_establishing_a_constitution_for_europe_it.pdf
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1.8 «Imperfetta, ma insperata»
Qual è stato, dunque, il risultato della Costituzione? O, per meglio dire, quale poteva essere, dal momento che essa non è mai entrata in vigore? All’epoca di certo molti osservatori si chiesero, vedendo il gran numero di disposizioni riprese dai precedenti trattati senza modifiche di rilievo, a cosa siano effettivamente serviti i lunghi mesi di lavoro della Convenzione, seguiti da altri mesi di intense trattative tra gli Stati membri. Diciamo che la Costituzione per l’Europa sarebbe servita a consolidare, chiarire e strutturare al meglio l’Unione e quello che questa realizza. Il primo commento di Giscard d’Estaing e dei suoi colleghi, oltre che di tutti coloro che seguirono da vicino i lavori della Convenzione fu quello di definire il risultato del proprio lavoro come qualcosa di “imperfetto, ma insperato”215. D’altra parte il rischio di fallimento c’era fin da
prima del processo di ratifica, ed era anzi reale: la composizione della Convenzione, attraversata da differenze nazionali e politiche oltre che da vedute divergenti sull’avvenire dell’Europa, non ne facilitò affatto il lavoro, mentre le pressioni progressivamente crescenti dei governi, che poco a poco si rendevano conto che nella Convenzione qualcosa accadeva, ne hanno più volte messo in pericolo il risultato. Anche in seguito, le difficoltà riscontrate per trovare un accordo unanime dei governi durante la presidenza italiana nel dicembre 2003 ne fecero temere il fallimento. Ciò non è avvenuto, dal momento che si è riusciti ad arrivare al processo finale, quello della ratifica, ma i numerosi ostacoli incontrati precedentemente sotto molti aspetti non facevano ben sperare.
Su questa eventualità, e in particolare in relazione alla possibilità di un «no» francese durante i processi di ratifica del trattato, Giscard d’Estaing affermava, scherzando, che “la Costituzione europea non è certamente perfetta, ma tutti sanno che nulla è perfetto, salvo forse la Pietà di Michelangelo. Il progetto è stato tuttavia un risultato insperato, perché firmato da venticinque paesi, grandi e piccoli, ricchi e poveri, federalisti e non”216
. Il rischio principale, a detta del presidente della Convenzione, sarebbe stato quello di rimanere
215 Cfr. J. Ziller, La nuova Costituzione europea, Il Mulino, Bologna 2004.
216 P. Del Re, “Senza la Costituzione l’Europa non ha futuro”, in «La Repubblica», 30 aprile 2005, p. 21.
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impelagati in un sistema non funzionante e in grado di far sparire lo spirito di solidarietà necessario all’Unione. La filosofia del «si», al contrario, sarebbe stata quella di riorganizzare le istituzioni per permettere all’Europa di fare ciò che ancora non era stata in grado di fare, di dar vita a nuovi, grandi progetti comuni, evitando di creare situazioni di stallo, dove restare inevitabilmente parcellizzati e antagonisti. Spiegando i perché del progetto, il politico francese sosteneva che “Anzitutto direi che (la Costituzione) è un atto assolutamente necessario, considerata la disorganizzazione che vige nel nostro continente. I trattati si sono accumulati gli uni sugli altri, e non c’è un solo testo di base. Poi, aggiungerei che l’Europa non ha un’esistenza legale, poiché non è ancora stato celebrato il suo battesimo. […] Ci sono invece debolezze note a tutti. La prima è senz’altro la rotazione semestrale della Presidenza del Consiglio d’Europa, che ci impedisce di avere un’immagine internazionale e mediatica. Con la nuova Carta avremo invece un presidente europeo che sarà un valido interlocutore per gli altri leader del pianeta. […] Abbiamo poi una commissione troppo numerosa e non abbastanza rappresentativa. Infine, la Democrazia è insufficiente perché l’adozione dei testi è confusa e perché nessuno sa chi decide cosa in Europa. La Costituzione sopperisce a tutte queste mancanze”217
. Sotto questo aspetto il suo appello, così come quello di altri ferventi europeisti, autori di campagne a favore del trattato costituzionale, sia attraverso interventi pubblici sia attraverso saggi e manuali di carattere divulgativo, cadde nel vuoto.
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