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L’affidamento di interventi e lavori a terzi da parte dei cittadini att

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 141-143)

LE ATTIVITÀ DEI PATT

5.5. L’affidamento di interventi e lavori a terzi da parte dei cittadini att

L’affidamento di interventi e lavori a terzi direttamente da parte dei cittadini che si sono attivati nei riguardi di un bene comune è un’esplicazione di autono- mia civica che pone questioni abbastanza delicate. In questo paragrafo, pertanto, ci occuperemo di capire a quali condizioni ed entro quali limiti i cittadini attivi siano liberi di intervenire sul bene comune adottando tali modalità di azione.

Naturalmente, le forme di assunzione diretta di interventi devono essere coordi- nate con il Codice dei contratti pubblici. Ci sembra però che la portata di questa interferenza possa essere largamente ridimensionata, nonostante le previsioni testuali di molti Regolamenti comunali possano risultare fuorvianti. Infatti, quasi tutti gli atti esaminati – con la vistosa eccezione del prototipo Labsus 2018 – con- tengono disposizioni secondo cui «resta ferma, per i lavori eseguiti, la normativa vigente in materia di requisiti e qualità degli operatori economici, esecuzione e collaudo di opere pubbliche» (si riporta, tra i tanti riferimenti possibili, l’art. 12 comma 5 del Regolamento di Torino).

Una simile formulazione sembra alludere all’applicabilità delle regole in ma- teria di contratti pubblici agli interventi affidati a terzi dai cittadini attivi. L’in- terpretazione risulterebbe però irragionevole per una semplice ragione: sebbene gli interventi interessino un bene comune urbano, generalmente di titolarità pubblica, sono i cittadini attivi a sostenerne i costi, senza nessun coinvolgimento delle amministrazioni e, soprattutto, senza che siano spese risorse pubbliche. Ciò comporta, semplicemente, che tra i cittadini attivi che sottoscrivono un patto di collaborazione e i terzi cui siano appaltati interventi assunti in via diretta debba ravvisarsi un ordinario rapporto contrattuale di diritto privato. In altri termini, solo travisando gravemente la ratio e la portata del Codice dei contratti pubblici sarebbe possibile imporre ai cittadini attivi di seguire (in tutto o in parte) le com- plesse procedure di evidenza pubblica per la scelta del contraente, la conclusione del contratto e il collaudo dei lavori realizzati.

A tal proposito l’articolo 20 dello stesso d.lgs. n. 50/2016, rubricato «opera pubblica realizzata a spese del privato» – è talvolta apparso come un valido riferimento normativo atto a supportare, anche in termini di diritto positivo, le conclusioni cui si è pervenuti. L’articolo in questione, che all’atto della sua introduzione era stato presentato come una innovazione normativa attenta alla partecipazione della società civile e alla sussidiarietà, dispone al comma 1 che «il presente codice non si applica al caso in cui un’amministrazione pubblica stipuli una convenzione con la quale un soggetto pubblico o privato si impegni alla realizzazione, a sua totale cura e spesa e previo ottenimento di tutte le ne- cessarie autorizzazioni, di un’opera pubblica o di un suo lotto funzionale o di parte dell’opera prevista nell’ambito di strumenti o programmi urbanistici, fermo restando il rispetto dell’articolo 80». Tale disposizione avalla l’interpretazione secondo la quale i cittadini attivi possono affidare lavori a terzi senza seguire le onerose procedure del Codice dei contratti – si pensi all’iter di collaudo – ma pur sempre rispettando, come suggerito dal richiamo all’articolo 80 del d.lgs.

n. 50/2016, le prescrizioni in materia di requisiti e di qualità degli operatori6.

Secondo alcuni, all’affidamento a terzi di interventi sui beni comuni urbani da parte dei cittadini attivi, potrebbe applicarsi direttamente la disciplina di cui all’art. 20 del d.lgs. n. 50/2016, relativa alla “Opera pubblica a spese del privato”. Tale conclusione non è, peraltro, una ipotesi solamente teorica: essa, al contra- rio, è esplicitamente fatta propria dal Regolamento comunale di Livorno. L’art.

6 L’articolo 80 del codice degli appalti disciplina i motivi di esclusione degli operatori economici dalla partecipazione a procedure d’appalto o di concessione.

8 comma 4 di questo Regolamento, in particolare, contiene previsioni davvero significative: «ai sensi dell’art. 20 del D.lgs 50/2016 è consentita, in deroga al “co- dice dei contratti pubblici” con le modalità e secondo le previsioni, le condizioni e i limiti da questi espressamente previsti e stabiliti, la realizzazione da parte di privati di opere pubbliche, di un suo lotto funzionale o di parte di essa, a propria cure e spese previo ottenimento di tutte le necessarie autorizzazioni. Tali opere, ove afferiscano ai beni comuni di cui al presente regolamento, possono essere comprese nei patti di collaborazione nei termini e i contenuti previsti all’art. 5 che comunque non costituiscono atto autorizzatorio sostitutivo delle norme vigenti in materia di realizzazione di opere pubbliche di cui allo stesso art 20 D.lgs 50/2016».

Eppure l’applicabilità della disciplina che abbiamo appena presentato è revo- cata in dubbio per ragioni non secondarie. Si evidenzia infatti che l’articolo 20 appare pensato in primo luogo per consentire a soggetti privati di finanziare la realizzazione di «opere pubbliche», generalmente più importanti degli interventi di rigenerazione di un singolo bene e infatti esplicitamente ricondotte alla disci- plina urbanistica (volta a evitare la realizzazione di opere contrarie agli interessi generali di razionale governo del territorio). Si riporta poi la presa di posizione contenuta nella delibera n. 763 del 16 luglio 2016 dell’ANAC: sulla scorta del parere n. 855 reso nello stesso anno dal Consiglio di Stato, l’Autorità Anticor- ruzione ha inteso precisare che «[…] il ricorso all’istituto previsto dall’art. 20 citato, contemplante l’esclusione dell’applicazione del Codice alle operazioni ivi previste, dunque di stretta interpretazione, potrebbe giustificarsi esclusivamente nel caso in cui non sussista in favore del proponente alcuna controprestazione e l’operazione si configuri come atto di liberalità e gratuità […]».

L’orientamento appena riportato mira a contrastare elusioni della normativa sui contratti pubblici in occasione di rapporti giuridici sinallagmatici (e spesso molto importanti dal punto di vista economico) tra soggetti pubblici e operatori privati. Eppure non ci sembra che le ragioni che lo sostengono siano riferibili in modo pertinente al caso dei cittadini che si attivano per la cura di un bene comune. Nel diritto dei beni comuni urbani i patti di collaborazione non re- golano prestazioni onerose e sinallagmatiche, ma al contrario organizzano in maniera cooperativa e solidale il governo di un bene comune. Pertanto, anche a voler prescindere dall’esplicito richiamo dell’articolo 20 del d.lgs. n. 50/2016 può senz’altro concludersi che la disciplina sui contratti pubblici non si applica agli interventi di rigenerazione che i cittadini attivi affidino a soggetti terzi in esecuzione di un patto di collaborazione.

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 141-143)

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