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La parte pubblica: il Comune

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 65-72)

L’OGGETTO DEI PATTI DI COLLABORAZIONE I beni comuni urbani tra uso pubblico e accesso

PER APPROFONDIRE (4)

2.5. La parte pubblica: il Comune

Il Comune, ente pubblico locale, è parte necessaria dei patti di collaborazione previsti dai Regolamenti sui beni comuni urbani.

Il Comune viene definito dal T.U.E.L. come «l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo» e gli sono attribuite «tutte le funzioni amministrative che riguardano la popolazione e il territorio comunale, precipuamente nei settori organici dei servizi alla persona

e alla comunità, dell’assetto e utilizzazione del territorio e dello sviluppo econo- mico». Viene, cioè, individuato come il principale soggetto esponenziale degli interessi della collettività presente sul territorio e le funzioni a esso attribuite per legge riflettono questo carattere. Gli stessi Statuti comunali spesso contengono richiami di principio alla funzione di cura degli interessi del territorio e delle comunità che vi risiedono.

Negli Statuti comunali si ritrovano normalmente anche altri principi di cui il diritto dei beni comuni urbani ambisce a essere attuazione. Volendo fare qualche esempio: la tutela dell’autonomia dei cittadini (lo Statuto della Città di Torino parla espressamente di «autogoverno» all’articolo 1), il riconoscimento dei «beni comuni in quanto funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali della persona» (articolo 2 lett. q) dello Statuto della Città di Torino), il riconoscimento del diritto dei cittadini a partecipare e collaborare con l’amministrazione per «lo svolgimen- to di attività di interesse generale e di cura dei beni comuni» (articolo 2 dello Statuto del Comune di Bologna).

La maggior parte dei Regolamenti individua la parte pubblica nel Comune «nelle sue diverse articolazioni istituzionali e organizzative», consentendo così che anche le Circoscrizioni (organismi decentrati nei comuni con una popolazione superiore a 250.000 persone), le Frazioni e i Municipi possano essere parte di un patto di collaborazione.

In particolare, le Circoscrizioni possono rivestire un ruolo importante nelle procedure di conclusione del patto di collaborazione. Esse costituiscono l’arti- colazione comunale più prossima alle comunità dei cittadini e possono avere attribuzioni di gestione dei beni pubblici loro assegnati dalle pubbliche ammini- strazioni proprietarie sulla base del criterio territoriale. Il Regolamento di Tori- no, per esempio, non solo assegna alle Circoscrizioni un ruolo nell’ambito della valutazione e della istruttoria delle proposte di collaborazione, ma attribuisce loro alcune competenze analoghe a quelle della Città: di individuazione dei beni che possono formare oggetto della collaborazione o che possono essere introdotti negli elenchi dei beni in disuso, di stipulazione del patto di collaborazione. I competenti organi della Circoscrizione si possono quindi sostituire alla Giunta comunale quando il bene oggetto della proposta di collaborazione, pur restando in proprietà dell’ente comunale, è attribuito alle competenze di gestione e uso della Circoscrizione stessa. Va precisato che gli organi delle Circoscrizioni rical- cano quelli del Comune: l’organo rappresentativo, il Consiglio circoscrizionale, quello esecutivo, la Giunta circoscrizionale, e il Presidente della Circoscrizione, con funzioni rappresentative e di coordinamento e raccordo. Altre esperienze hanno invece optato per un minor coinvolgimento delle articolazioni territoriali del Comune, a cui è stato attribuito un ruolo propositivo e consultivo nell’ambito dei patti di collaborazione, ma non la competenza alla loro sottoscrizione.

Come si vedrà meglio parlando della natura giuridica dei patti di collaborazione, l’ente pubblico si colloca rispetto ai cittadini attivi in una posizione di tendenziale pariteticità. Infatti, le norme dei Regolamenti sono finalizzate a ridurre la fisio- logica asimmetria tra le prerogative del pubblico e del privato. In questo senso il patto di collaborazione è stipulato all’esito di una procedura il più possibile cooperativa, ove l’amministrazione agisce mediante atti non autoritativi. Alcune

prerogative tradizionali del potere pubblico si possono nettamente escludere nell’ambito della collaborazione: per esempio, si deve ritenere che il Comune non possa far luogo alla revoca amministrativa per sottrarsi discrezionalmente all’accordo raggiunto con i cittadini attivi (cfr. in proposito il capitolo 8). La parità, in ogni caso, non è assoluta, perché, a differenza dell’attività del privato, quella della pubblica amministrazione, anche quando si realizza mediante atti non autoritativi, è sempre funzionalizzata al perseguimento di un interesse pubblico.

La pubblica amministrazione, inoltre, quando agisce nell’ambito di un proce- dimento amministrativo deve conformare il proprio comportamento ai principi di economicità, di efficacia, di imparzialità, di pubblicità e di trasparenza (previsti dall’art. 1 della l. n. 241 / 1990).

2.5.1. Le possibili scelte organizzative

Partecipano alla procedura che conduce alla stipulazione dei patti di collabo- razione gli organi del Comune (la Giunta, il Consiglio), alcuni componenti degli organi (come l’Assessore competente per materia) e il personale dipendente dell’ente. In particolare, numerosi compiti sono attribuiti ai dirigenti, funzionari che occupano una posizione apicale nell’apparato amministrativo.

Sebbene le competenze e prerogative di questi organi e soggetti siano descritte dalla legge statale (T.U.E.L.), l’attribuzione dei diversi ruoli nelle procedure che portano alla stipulazione del patto di collaborazione è una scelta organizzativa effettuata da ogni Regolamento sui beni comuni.

2.5.2. I ruoli assunti da Consiglio, Giunta, funzionari

2.5.2.1. In via generale, il Consiglio comunale è il principale organo di indiriz- zo e di controllo politico-amministrativo e ha una competenza tassativamente circoscritta all’emanazione di alcuni atti fondamentali (articolo 42 del T.U.E.L.). Probabilmente proprio in ragione delle attribuzioni tassative, il Consiglio non riveste di norma un ruolo centrale nell’iter di stipulazione dei patti di collabo- razione, ma può avere un ruolo di verifica, controllo e supervisione.

Nel Regolamento torinese, per esempio, il Consiglio istituisce al proprio interno (ai sensi dell’articolo 25) una Commissione incaricata di valutare l’attuazione del regolamento stesso e di dettare le linee guida per i patti di collaborazione rela- tivi a edifici di proprietà della Città. Nel Regolamento di Bologna, il Consiglio comunale esprime gli indirizzi sulla cui base la Giunta periodicamente individua gli edifici comunali in stato di disuso che possono prestarsi a interventi di cura e rigenerazione (articolo 16 del Regolamento di Bologna; ma cfr. anche l’articolo 11 del Regolamento torinese).

Si tratta quindi di attività di supervisione e indirizzo generale, che vengono op- portunamente affidate all’organo comunale che è maggiormente rappresentativo. 2.5.2.2. La Giunta è invece un organo di governo e ha una competenza generale o residuale per l’adozione degli atti (articolo 48 del T.U.E.L.). In altre parole, spetta alla Giunta l’adozione di tutti gli atti che non sono espressamente riservati, dalla legge o dallo statuto, a un altro organo comunale.

I Regolamenti sui beni comuni attribuiscono di norma alla Giunta l’adozione degli atti di indirizzo politico. Tale può essere definita l’individuazione di beni o categorie di beni che possono formare oggetto dei patti di collaborazione, o perché inseriti in un avviso pubblico oppure perché ricompresi negli elenchi di beni in disuso o in deperimento. Si segnalano, inoltre, le previsioni del Regola- mento torinese, secondo cui la Giunta comunale individua le linee guida delle attività dei patti di collaborazione, non solo nei casi in cui la scelta dei beni e degli ambiti della collaborazione sia effettuata a monte dall’Amministrazione, ma anche quando la collaborazione è oggetto di una proposta spontanea dei cittadini attivi (articoli 8, 9 e 10 del Regolamento di Torino). Anche questa competenza si sostanzia in una scelta di indirizzo politico. Alla Giunta è poi affidata da alcuni Regolamenti l’individuazione dell’Ufficio e del Dirigente competenti – per materia – per le diverse proposte, nonché la fissazione dei termini per l’esame delle stesse (articolo 11 del Regolamento di Chieri).

Inoltre, all’organo di governo del Comune viene a volte demandata l’ap- provazione dei patti di collaborazione più complessi e capaci di “incidere” sul bene comune che ne sia oggetto. In questo senso, il Regolamento di Bologna prevede che siano sottoposte a un vaglio preliminare della Giunta comunale le proposte che determinano modifiche sostanziali dello stato dei luoghi o della destinazione d’uso degli spazi pubblici (articolo 11; analogamente l’articolo 13 del Regolamento veronese e l’articolo 12 del Regolamento di Chieri), mentre il prototipo Labsus 2018 sottopone all’approvazione della Giunta i patti di col- laborazione cosiddetti «complessi» in ragione del valore e della difficoltà delle attività di cura e rigenerazione oppure delle caratteristiche del bene oggetto del patto (in relazione al suo valore storico o culturale: articolo 7). Va comunque osservato che nella prassi degli enti locali si ritiene preferibile far precedere sempre una deliberazione o una decisione della Giunta comunale alla stipula- zione: ciò consente ai funzionari comunali di informare l’organo di governo e di ottenere una approvazione politica dell’accordo raggiunto.

2.5.2.3. Se i poteri di indirizzo e di controllo politico-amministrativo spettano agli organi di governo, la gestione amministrativa, finanziaria e tecnica dell’ente locale compete ai dirigenti (articolo 107 del T.U.E.L.). Questi dipendenti in po- sizione apicale dirigono Uffici e Servizi secondo le norme dettate dagli Statuti e dai Regolamenti e adottano tutti gli atti e i provvedimenti che impegnano l’ente locale verso l’esterno. In questo senso, i dirigenti stipulano i contratti per conto del Comune e adottano gli atti amministrativi autoritativi (provvedimenti). Essi sono direttamente responsabili per gli atti adottati. I dirigenti operano nelle materie di propria competenza a seconda dell’Ufficio in cui sono impegnati.

Coerentemente rispetto al ruolo attribuito loro dalla legge, ai dirigenti è di norma affidato dai Regolamenti sui beni comuni il compito di sottoscrivere il patto di collaborazione, che impegna il Comune con i cittadini attivi. Inoltre, a questi oggetti sono affidati il coordinamento e l’adozione degli atti di tut- to l’iter che precede la stipulazione del patto. In generale, poi, i dipendenti dell’ente sono coinvolti in quanto facenti parte di Uffici e Servizi che vengono consultati secondo le diverse competenze durante la fase dell’istruttoria, in

cui l’amministrazione è chiamata a valutare l’ammissibilità e la fattibilità della proposta dei cittadini.

Inoltre in alcuni contesti (come a Torino) i dirigenti – individuati di norma in ragione delle loro diverse competenze per materia – compongono un c.d. Gruppo di lavoro (cfr. articolo 7, comma 2 del Regolamento torinese) che si occupa dell’istruttoria e della valutazione delle proposte e che rappresenta la pubblica amministrazione nella fase di co-progettazione. A tal proposito, va evidenziato che altri Regolamenti sui beni comuni prevedono, invece, la costi- tuzione di un Ufficio ad hoc per la stipulazione dei patti di collaborazione e per il coordinamento del relativo iter (Bologna).

Queste due diverse impostazioni sottendono ragioni ugualmente valide: la scelta di coinvolgere nella procedura di formazione del patto i dirigenti di diversi Uffici è tesa a favorire la diffusione di una cultura dei beni comuni all’interno dell’intera macchina organizzativa dell’amministrazione comunale; d’altra parte, la costituzione di un Ufficio “per i beni comuni urbani” è finalizzata a rendere più spedite le procedure e a dare ai cittadini attivi un interlocutore pubblico unico e facilmente individuabile.

2.6. Le scuole

Tra i soggetti che possono partecipare attivamente alla negoziazione e conclu- sione di patti di collaborazione vanno annoverate anche le istituzioni scolastiche. Le scuole possono essere coinvolte nelle politiche di governo dei beni co- muni urbani sotto una duplice veste. Da un lato, l’immobile sede del plesso scolastico può essere identificato come bene comune e diventare l’oggetto di un programma di cura e rigenerazione da parte dei cittadini attivi. Dall’altro lato, l’istituzione “scuola”, intesa come comunità dei soggetti che la vive, può essere uno dei soggetti che si attiva per proporre interventi di cura e rigenerazione, sia dell’edificio scolastico, sia di altri spazi pubblici spesso vicini o confinanti con l’istituto stesso.

Diversi Regolamenti contengono previsioni ispirate alla diffusione di una cultura dei beni comuni nelle scuole (articolo 19 del Regolamento di Verona; articolo 19 del Regolamento bolognese; art. 29 del Regolamento di Chieri), mentre il prototipo Labsus 2018 reca (all’articolo 14) una disposizione che im- pegna l’amministrazione alla valorizzazione dei patti di collaborazione relativi alle scuole.

Proprio per la peculiarità del soggetto, che è anche attore nella formazione e nella promozione di cultura, i patti in cui è parte una scuola non si limita- no alla rigenerazione e alla cura di spazi, ma tendono a realizzare in modo caratteristico ulteriori obiettivi connessi alle pratiche di gestione in comune: attivare percorsi di inclusione sociale, favorire la multiculturalità, il dialogo, le pari opportunità e il contrasto alle discriminazioni, promuovere la sostenibilità ambientale, estendere la disponibilità di spazi e servizi per iniziative collettive, soprattutto nelle periferie urbane dove il disagio economico e sociale è più forte.

2.6.1. Il ruolo delle scuole nei patti di collaborazione

Quando la scuola, intesa come bene comune urbano, è l’oggetto delle attività del patto di collaborazione, l’istituzione scolastica può avanzare essa stessa una proposta di collaborazione insieme ad altri soggetti e farsi parte attiva, non solo in fase di co-progettazione, ma anche durante la realizzazione delle attività.

Quelle svolte direttamente dalle scuole nell’ambito della collaborazione possono diventare parte integrante dell’offerta formativa rivolta a bambini e ragazzi, op- pure possono limitarsi alla cura e rigenerazione dell’edificio scolastico a beneficio della collettività degli utenti. In quest’ultimo caso è verosimile che siano gli stessi genitori degli scolari a farsi promotori di azioni di cura delle scuole. Per esempio si può ipotizzare il caso di un gruppo di genitori che, d’accordo con il Dirigente scolastico, intraprenda attività di manutenzione ordinaria o abbellimento degli spazi interni ed esterni del plesso scolastico frequentato dai propri figli.

Una caratteristica singolare delle comunità di riferimento che si formano attorno alle scuole è di essere molto variabili. Infatti è fisiologico che ci possa essere un continuo ricambio all’interno del gruppo di genitori al variare della comunità degli allievi, che ogni anno è diversa. In sé questa particolarità non costituisce un problema, ma anzi il ricambio dei cittadini attivi che prendono parte al patto può arricchire l’esperienza e contribuire alla più ampia diffusione di una cultura dei beni comuni. In via generale si può immaginare, sulla scor- ta di quanto visto nei paragrafi precedenti, che i genitori possano trovare più comodo operare come comunità informale, così evitando la formazione di una associazione e mantenendo formule organizzative “leggere”.

2.6.2. Le peculiarità delle scuole come parti dei patti di collaborazione

Si è anticipato che la scuola può anche essere il soggetto proponente di patti di collaborazione che riguardano in tutto o in parte luoghi esterni agli edifici scolastici. È il caso, per esempio, delle scuole che “adottano” una strada, un parco o un’altra porzione di tessuto urbano, di solito nelle vicinanze del plesso scolastico, per portare all’esterno le attività di cura e rigenerazione, coinvolgere la comunità e generare inclusione.

Quando invece la proposta di collaborazione riguarda l’edificio scolastico, ma la scuola non è la prima proponente, occorre comunque che essa condivida e appoggi il progetto e che quindi sia coinvolta dai cittadini attivi sin dalla fase di proposta al comune. Per questo motivo la scuola è di norma una parte neces- saria di questi patti di collaborazione. In alcuni casi, il patto viene direttamente sottoscritto dal Dirigente scolastico, che è il legale rappresentante ed è deputato a esprimere la volontà dell’istituzione, unitamente agli altri cittadini attivi e all’amministrazione comunale: è questa la soluzione scelta dalla Città di Torino nell’ambito della parte del progetto Co-city specificamente pensata per le scuole (cfr. il box qui di seguito). In altri casi, invece, i patti di collaborazione vengono sottoscritti dai dirigenti degli Uffici competenti per le politiche scolastiche, cui fa capo la gestione degli istituti cittadini: in questo modo il Dirigente scolastico viene consultato e coinvolto ma non sottoscrive il patto, dal momento che hanno

potere di firma gli Uffici comunali competenti per materia (questa è la prassi adottata a Verona).

La scuola, tuttavia, potrebbe anche essere oggetto di un patto di collaborazione in quanto edificio sottoutilizzato; in altre parole, il bene potrebbe essere utilizzato dai cittadini attivi al di fuori dell’orario scolastico anche per attività che nulla hanno a che vedere con quelle ordinariamente svolte.

In ogni caso, non va dimenticato che la scuola è parte dei patti di collaborazione in modo del tutto peculiare, essendo anch’essa una pubblica amministrazione. La sua posizione all’interno del patto è, per certi versi, assimilabile più a quella della Città che non a quella dei cittadini attivi. Per esempio il Dirigente scolastico o l’Ufficio competente, nel decidere se aderire alla collaborazione proposta da altri cittadini attivi, possono valorizzarla come strumento utile a perseguire le funzioni istituzionali proprie della scuola, e sono in ogni caso tenuti a verificare che le attività di cura non ne ostacolino l’esercizio. Ancora, a differenza del recesso di uno o più cittadini attivi (per il quale cfr. il capitolo 8.4), quello della scuola dal patto di collaborazione, che può avvenire solo per gravi ragioni previste nell’ac- cordo stesso, potrebbe determinare l’impossibilità di proseguire l’esecuzione del patto. Infatti, l’edificio è deputato per almeno una parte del tempo a offrire un servizio pubblico alla collettività dei cittadini. Il coordinamento tra queste funzioni e le attività del patto di collaborazione è quindi imprescindibile.

Le attività di rigenerazione, cura e gestione si svolgono su porzioni del plesso scolastico di regola sottoutilizzate (cortili, aree verdi, aule e parti dell’edificio). Le previsioni in merito alla concreta esecuzione degli interventi pattuiti sono quindi fondamentali, dato che gli interventi dei cittadini attivi devono rispettare la fun- zione istituzionale della scuola e quindi possono essere svolti esclusivamente al di fuori dell’orario delle attività curricolari di ciascun istituto. Ciò implica, ancor più che in altre occasioni, una piena e leale cooperazione tra la scuola e i citta- dini attivi nella co-gestione delle parti del bene coinvolte dalle attività del patto. Data la quotidiana presenza di soggetti minorenni all’interno dei luoghi inte- ressati dall’esecuzione di un patto, è chiaro che essa è assoggettata a una maggior cautela per quanto riguarda la sicurezza e la prevenzione dei rischi (per questi profili si rinvia al capitolo 7). Il ruolo del Dirigente scolastico, infatti, è anche quello di garantire l’incolumità di docenti e allievi rispetto alle attività previste dal patto di collaborazione: anche da questo punto di vista rileva la sua parteci- pazione alle fasi di co-progettazione e di monitoraggio.

l’AVViSopUbbliCoAdottAtopeRleSCUole nell’AMbitodelpRogetto Co-City

Nonostante il Regolamento torinese non contenga alcun riferimento speci- fico, la sperimentazione del progetto Co-city ha investito molto sulle azioni di rigenerazione, cura e gestione che coinvolgono i plessi scolastici e sulle scuole come luogo di formazione e di promozione di una cultura dei beni comuni. A conferma di questa attenzione particolare, per lo sviluppo del progetto Co-City è stato emanato un avviso pubblico ad hoc per la pre- sentazione di proposte di collaborazione riguardanti le scuole dell’infanzia,

primarie e secondarie di I grado. Si tratta di strutture pubbliche, la maggior parte delle quali sottoposte al controllo dell’ufficio scolastico regionale del Ministero dell’Istruzione Università e Ricerca. Alcune scuole dell’infanzia sono invece gestite direttamente dalla Città. Gli ambiti di azione individuati nell’avviso pubblico sono: le «scuole aperte» con l’apertura al pubblico dei locali in orari extrascolastici; la «adozione della scuola», per mezzo di azioni continuative di cura e rigenerazione degli spazi (manutenzione ordinaria); la «adozione dello spazio pubblico» da parte delle scuole, per intraprendere attività di cura e progetti di animazione.

L’avviso pubblico sulle scuole ha ricevuto un’ottima accoglienza da parte della cittadinanza: le proposte condivise di Dirigenti scolastici, associazio- ni, gruppi di genitori sono state numerose per tutti gli ambiti di attività proposti, a conferma del fatto che gli edifici scolastici sono sentiti dalle comunità come beni comuni di cui prendersi cura in modo diffuso.

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 65-72)

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