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PER APPROFONDIRE (7)

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 101-107)

LE PROCEDURE PER IL GOVERNO CONDIVISO

PER APPROFONDIRE (7)

La differente co-progettazione in materia di servizi sociali affidati a enti del terzo settore

Il vocabolo «co-progettazione», così tanto valorizzato con riguardo ai procedimenti che conducono alla stipula dei patti di collaborazione aventi a oggetto beni comuni urbani, appare in un altro settore importante dell’ordinamento italiano: quello relativo a pro- grammazione, organizzazione e affidamento, da parte delle pubbliche amministrazioni, dei servizi sociali e alla persona.

A questo proposito il primo riferimento normativo da prendere in considerazione è la legge 8 novembre 2000, n. 328, recante «legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali». L’articolo 5 rubricato «ruolo del terzo settore» al comma 1 recita che «per favorire l’attuazione del principio di sussidiarietà, gli enti locali, le regioni e lo Stato, nell’ambito delle risorse disponibili in base ai piani di cui agli articoli 18 e 19, promuovono azioni per il sostegno e la qualificazione dei soggetti operanti nel terzo settore anche attraverso politiche formative e interventi per l’accesso agevolato al credito e ai fondi dell’Unione europea».

La legge n. 328/2000 può essere compresa a fondo se correttamente ricondotta al contesto in cui fu adottata. Essa, infatti, risulta assai rappresentativa di un periodo storico – la fine degli anni ’90 del secolo scorso – fortemente influenzato da precise convinzioni politico- economiche. Alla fiduciosa apertura di settori sempre più estesi della vita associata ai meccanismi concorrenziali e di mercato si accostava, in quegli anni, la retorica secondo cui – in un quadro di controlli solidi e verticali da parte dei decisori pubblici – sarebbe stato possibile compensare con l’attivazione “dal basso” di cittadini ed enti no-profit il progressivo ritiro del settore pubblico dal welfare, specie a livello locale. I fautori di questa visione, quindi, ambivano a costruire una dinamica istituzionale in cui mercato e concor- renza avrebbero avuto centralità, senza che ciò impedisse di ricavare nicchie di solidarietà consistenti, per esempio, nel preferire l’esternalizzazione di specifiche prestazioni sociali, come i servizi alla persona, a categorie di enti con caratteristiche peculiari (organizzazioni non lucrative, associazioni, cooperative sociali). A ben vedere, era proprio questa l’esclusiva dimensione di senso largamente prevalente che il principio di sussidiarietà orizzontale aveva assunto, prima dell’emersione dei dibattiti sui beni comuni urbani.

Sulla scorta dell’articolo 5 della legge n. 328, veniva emanato il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (D.P.C.M.) del 30 marzo 2001, recante «atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona». Con questo decreto nell’ordinamento italiano veniva introdotta – con l’articolo 7, rubricato «istruttorie pub- bliche per la coprogettazione con i soggetti del terzo settore» – una previsione secondo cui «al fine di affrontare specifiche problematiche sociali, valorizzando e coinvolgendo attivamente i soggetti del terzo settore, i comuni possono indire istruttorie pubbliche per la coprogettazione di interventi innovativi e sperimentali su cui i soggetti del terzo settore esprimono disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi. Le regioni possono adottare indirizzi per definire le modalità di indizione e funzionamento delle istruttorie pubbliche nonché per la individuazione delle forme di sostegno». Dunque, a partire dal D.P.C.M. del 30 marzo 2001 sono stati autorizzati, nel vasto settore dei servizi alla persona, ma con la limitazione (piuttosto vaga) agli «interventi innovativi e sperimentali», meccanismi di co-progettazione condotti da enti pubblici e soggetti del terzo settore, con questi ultimi portati a esprimere una non meglio precisata «disponibilità a collaborare con il comune per la realizzazione degli obiettivi» di volta in volta individuati. Occorre evidenziare che una simile impostazione di politica del diritto si è collocata a metà strada tra la dismissione dell’impegno diretto del settore pubblico nel welfare, la

promozione di concorrenza e logiche di mercato e la riserva a specifici soggetti di alcuni settori socio-economici. Ne è risultata una ambivalenza di fondo, che, in casi patologici, ha potuto perfino sfociare in meccanismi clientelari e fenomeni collusivi e/o corruttivi. Per tali ragioni, anche sulla scorta di inchieste giudiziarie che avevano destato grande indignazione nel Paese, l’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) ha adottato la deli- bera n. 32 del 20 gennaio 2016, recante «linee guida per l’affidamento di servizi a enti del terzo settore e alle cooperative sociali»1.

Questa delibera, emanata con il preciso obiettivo di scongiurare fenomeni patologici nell’affidamento di servizi sociali a enti del terzo settore, formula (p. 5) una assunzione di politica del diritto abbastanza esplicita: «la disfunzione dei meccanismi concorrenziali, infatti, favorisce comportamenti distorsivi, quali la presentazione di offerte particolar- mente favorevoli sotto il profilo economico, ma inaffidabili sotto il profilo qualitativo, la formazione di accordi collusivi finalizzati a compartimentare il mercato di riferimento, la creazione di rendite di posizione volte a impedire l’accesso di nuovi operatori e/o la fidelizzazione forzata dell’amministrazione nei confronti di un determinato fornitore». Secondo l’ANAC, dunque, la migliore strada per ridurre al minimo il rischio di episodi di corruzione nel settore dei servizi sociali è la trasparente promozione di meccanismi concorrenziali e l’apertura dei servizi medesimi al mercato. Una simile impostazione investe, naturalmente, il ruolo degli enti del terzo settore e anche le previsioni sopra menzionate in materia di programmazione e co-progettazione dei servizi. Così (p. 6), «al fine di consentire la concorrenza nel mercato, le amministrazioni devono adeguatamente strutturare la fase della programmazione e quella della progettazione e co-progettazione per evitare la spartizione del mercato da parte delle imprese che partecipano al tavolo di co-progettazione, consentita dallo sfruttamento della propria posizione e di eventuali asimmetrie informative. A tal fine la potestà decisionale deve essere sempre conservata in capo all’amministrazione, anche quando le fasi della programmazione e della proget- tazione degli interventi sociali si svolgano in compartecipazione con il privato sociale». La delibera si occupa da vicino anche dello strumento della co-progettazione, rilevando per esempio (p. 10) che «al fine di garantire la correttezza e la legalità dell’azione ammi- nistrativa, le amministrazioni, nel favorire la massima partecipazione dei soggetti privati alle procedure di co-progettazione, devono mantenere in capo a sé stesse la titolarità delle scelte. In particolare, devono predeterminare gli obiettivi generali e specifici degli interventi, definire le aree di intervento, stabilire la durata del progetto e individuarne le caratteristiche essenziali, redigendo un progetto di massima che serve anche a orientare i concorrenti nella predisposizione della proposta progettuale».

All’impianto normativo introdotto nel biennio 2000/2001, e preso in considerazione dalla delibera n. 32 del 2016 dell’ANAC, sono oggi sopravvenute – senza comportare l’abrogazione delle disposizioni più risalenti – le previsioni del d.lgs. n. 107/2017. Come abbiamo visto nel capitolo precedente, il Codice del terzo settore dedica un titolo VII ai rapporti tra enti del terzo settore ed enti pubblici: se gli articoli 56 («convenzioni») e soprattutto 57 («servizio di trasporto sanitario di emergenza e urgenza») riguardano problemi assai spinosi già oggetto di interventi giurisprudenziali anche della Corte di Giustizia dell’Unione Europea – per approfondimenti in proposito rinviamo al saggio di Roberto Cavallo Perin presente in questo manuale –, occorre qui prendere in consi- derazione soprattutto l’articolo 55. Esso è infatti relativo al «coinvolgimento degli enti del Terzo settore» e reca una disciplina che è opportuno riportare integralmente: «1. In

1 La delibera ANAC n. 32 del 2016 è consultabile all’indirizzo https://www.anticorruzione.it/ portal/rest/jcr/repository/collaboration/Digital%20Assets/anacdocs/Attivita/Atti/determinazioni/2016/32/ del.32.2016.det.linee.guida.terzo.settore.pdf (ultimo accesso il 2.11.2018).

attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità e unicità dell’ammini- strazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e ac- creditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge 7 agosto 1990, n. 241, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti e in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona. 2. La co-programmazione è finalizzata all’individuazione, da parte della pubblica amministrazione procedente, dei bisogni da soddisfare, degli interventi a tal fine necessari, delle modalità di realizzazione degli stessi e delle risorse disponibili. 3. La co-progettazione è finalizzata alla definizione ed even- tualmente alla realizzazione di specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti, alla luce degli strumenti di programmazione di cui comma 2. 4. Ai fini di cui al comma 3, l’individuazione degli enti del Terzo settore con cui attivare il partenariato avviene anche mediante forme di accreditamento nel rispetto dei principi di trasparenza, imparzialità, partecipazione e parità di trattamento, previa definizione, da parte della pubblica amministrazione procedente, degli obiettivi generali e specifici dell’intervento, della durata e delle caratteristiche essenziali dello stesso nonché dei criteri e delle modalità per l’individuazione degli enti partner».

Il contenuto dell’articolo 55 è significativo sotto diversi profili: l’ambito oggettivo di ope- ratività della disciplina è molto esteso, riguardando «programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5» del medesimo Codice del terzo settore; in questa ampia cornice cade la limitazione della co-progettazione ai soli interventi innovativi e sperimentali, prevista nel D.P.C.M. del 2001, rilevando oggi «specifici progetti di servizio o di intervento finalizzati a soddisfare bisogni definiti»; ai sensi del comma 4 la co-progettazione non si traduce in una generica disponibilità a collaborare degli enti del terzo settore, ma, al contrario, in veri e propri partenariati relativi alla definizione e possibile realizzazione di interventi di servizio sociale. Il quadro normativo definito dall’articolo 55 del Codice del terzo settore rende ancor più evidenti, se possibile, le ambivalenze che avevano portato l’ANAC ad adottare la già vista delibera n. 32. Per questa ragione l’Autorità Anticorruzione ha chiesto al Consiglio di Stato un parere in merito al coordinamento tra le regole in materia di affidamento di servizi sociali agli enti del terzo settore e la disciplina del Codice dei contratti pubblici. Con il parere n. 2052 del 20 agosto 20182, il Consiglio di Stato ha effettuato una ricognizione

in merito all’attuale influenza delle fonti dell’Unione Europea e dei meccanismi concor- renziali. In particolare il parere è perentorio nel prendere le mosse dalla c.d. primauté (supremazia giuridica) del diritto europeo e «dalle finalità stesse della costruzione europea, tesa alla creazione, estensione, allargamento e approfondimento di un mercato unico (tale da essere, in prospettiva, mero “mercato interno” unionale), con la conseguente necessità di sottoporre alla disciplina pro-concorrenziale tendenzialmente ogni attività connotata da un rilievo economico, allo scopo di evitare la permanenza di “sacche” sottratte al confronto competitivo e, dunque, potenzialmente assoggettabili a discipline nazionali contrarie allo spirito uniformatore sotteso ai Trattati». Tratteggiare una simile cornice giuridica e istitu- zionale ha consentito al Consiglio di Stato di utilizzare l’alternativa tra onerosità e gratuità

2 Il parere n. 2052 del 2018 può leggersi all’indirizzo https://www.giustizia-amministrativa.it/ cdsintra/cdsintra/AmministrazionePortale/DocumentViewer/index.html?ddocname=5VMYVE5VI2 53VMINF3A3BR3XAM&q= (ultimo accesso il 2.11.2018).

per rileggere i rapporti tra codice dei contratti pubblici, promozione della concorrenza e regimi speciali di affidamento dei servizi sociali. In estrema sintesi, ogni attività di cui si possa predicare in via attuale o potenziale il carattere oneroso deve – come visto nel passaggio poc’anzi citato – essere assoggettata alla disciplina pro-concorrenziale. Di conse- guenza per il Consiglio di Stato solo gli interventi effettuati in maniera totalmente gratuita possono andare esenti dall’applicazione del Codice dei contratti pubblici. Il parere in commento precisa con chiarezza gli elementi di cui si ritiene composta la gratuità, nozione da considerarsi in ogni caso eccezionale e dunque da interpretarsi in maniera restrittiva e con riguardo a casi tassativi (non è un caso se le convenzioni di cui all’articolo 56 del Codice del terzo settore sono attivabili «se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato»). La gratuità risulta concretamente integrata solo nel caso in cui l’ente pubblico si limiti a effettuare trasferimenti esclusivamente volti a rimborsare le spese vive correnti di cui sia fornita documentazione. Inoltre, essa «assume due significati: sotto un primo profilo, la creazione di ricchezza tramite il lavoro del prestatore di servizi non remunerato dal profitto; sotto un secondo profilo il sostenimento eventuale di costi senza rimborso né remunerazione, a puro scopo di solidarietà sociale».

Una simile impostazione complessiva è puntualmente riferita anche all’articolo 55 del Codice del terzo settore. Secondo il Consiglio di Stato, dunque, la co-progettazione «rientra nel fuoco della normativa europea quale forma di appalto di servizi sociali con ancora maggiore evidenza rispetto all’accreditamento: la co-progettazione, infatti, quale procedura “finalizzata alla definizione ed eventualmente alla realizzazione di specifici progetti di

servizio o di intervento”, si sostanzia in un rapporto fra Amministrazione e specifici enti del terzo settore che presenta a monte un momento selettivo fra gli operatori interessati e tende a valle a disporre all’ente co-progettante l’affidamento del servizio sociale. Percorsi argomentativi del tutto simili debbono svolgersi con riferimento al partenariato, specie ove si ponga mente al fatto che il Codice dei contratti pubblici contempla specifiche procedure, quale in primis il partenariato per l’innovazione, che rispondono proprio alle esigenze di flessibilità e snellezza operativa cui, con ogni evidenza, è preposto l’istituto in discorso. Nei casi di co-progettazione e partenariato, pertanto, solo la comprovata ricorrenza dell’elemento della gratuità (con i caveat segnalati e di cui avanti) esclude la sussunzione della procedura entro la disciplina euro-unitaria».

Le indicazioni offerte nella delibera dell’ANAC e nel parere del Consiglio di Stato concorrono a definire una impostazione giuridica assai rigorosa, anche in materia di co-progettazione. Si tratta, in particolare, di un approccio che reputiamo troppo netto, e che in certi aspetti sembra addirittura inficiato da assunzioni – la preferibilità in via di principio di mercato e concorrenza – non adeguatamente argomentate.

Peraltro, occorre precisare con estrema chiarezza che la co-progettazione analizzata in questo approfondimento non sembra avere molto a che vedere con la co-progettazione che si svolge tra cittadini attivi e amministrazioni comunali con riguardo alla cura, gestio- ne e rigenerazione di un bene comune urbano. Nel primo caso, infatti, l’effetto ultimo dell’attività di co-progettazione è l’affidamento, in via esclusiva a un soggetto differente dalla pubblica amministrazione, di interventi riconducibili al novero dei servizi sociali e alla persona. In altri termini, l’attuale articolo 55 del Codice del terzo settore, così come le fonti che lo hanno preceduto, riguardano processi più ampi di trasformazione (dismissione ed esternalizzazione; integrazione tra pubblico e privato) del welfare a livello locale e municipale. Più in generale, nel caso in cui risorse pubbliche siano impiegate come corrispettivi di servizi appaltati a soggetti privati è generalmente opportuno che procedure di evidenza pubblica – magari caratterizzate da criteri qualitativi di matrice sociale e ambientale – garantiscano trasparenza nella selezione dell’affidatario ed evitino esborsi irragionevoli.

Ben diversa appare la co-progettazione relativa ai beni comuni urbani. In questa seconda ipotesi la negoziazione tra cittadini attivi e pubbliche amministrazioni non sfocia in un affidamento qualificabile come «appalto» ai sensi del diritto europeo in materia di con- tratti pubblici. Infatti le attività di cura, gestione e rigenerazione non possono surrogare (nemmeno parzialmente) le prestazioni che le amministrazioni comunali sono tenute a erogare nel quadro del welfare locale.

Capitolo 4

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 101-107)

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