L’OGGETTO DEI PATTI DI COLLABORAZIONE I beni comuni urbani tra uso pubblico e accesso
PER APPROFONDIRE (4)
2.7. I soggetti terzi rispetto al patto
Occorre ora prendere in considerazione, tra i soggetti del diritto dei beni comuni urbani, coloro i quali sono terzi rispetto alle parti di un patto di collaborazione. Tali soggetti possono essere: fruitori occasionali; abitanti del quartiere in cui è sito il bene comune oggetto del patto; fruitori e utenti abituali, che però non hanno interesse a impegnarsi a tal punto da aderire a un patto di collaborazio- ne assumendo la qualità di cittadini attivi. La ricostruzione della loro posizione giuridica è molto importante in quanto ha a che fare con il peculiare statuto giuridico dei beni comuni.
Come ormai sappiamo, l’identificazione di un bene urbano come bene comu- ne implica che a diventare cruciali, nell’organizzazione giuridica del godimento delle utilità generabili dal bene, siano i momenti dell’uso pubblico e dell’acces- so. L’uso pubblico, in particolare, può concretizzarsi in relazioni di differente intensità tra i soggetti e il bene comune: dalla mera fruizione occasionale sino a forme di coinvolgimento maggiore e continuativo, che possono anche sfociare nell’adesione al gruppo (formale o informale) dei cittadini attivi. La fruizione di un bene comune è dunque aperta e collettiva, e le prerogative di accesso ne garantiscono l’effettività. Specularmente, l’esercizio di forme di esclusione può avvenire solo in maniera ragionevole e alla luce di criteri chiari: per esempio la fruizione di un bene comune potrebbe essere limitata per tutelarne la qualità e la sicurezza; oppure per evitare che un uso eccessivo del bene comune ne metta a repentaglio l’integrità.
Tali elementi, nel definire lo statuto giuridico dei beni comuni, non possono che influenzare strutturalmente la posizione dei soggetti terzi rispetto alle fasi di formazione, conclusione, esecuzione ed eventuale scioglimento di un patto di collaborazione. Più nello specifico, il patto risulta essere un accordo che, sebbene concluso da parti ben individuabili (di regola, la pubblica amministrazione e uno o più cittadini attivi), costituisce e organizza rapporti giuridici che riguardano l’uso
di un bene comune, e che dunque risultano inclusivi e aperti anche a soggetti diversi dagli stipulanti. Insomma, il patto di collaborazione ha evidenti ricadute positive anche nei confronti di coloro i quali non ne sono parte: questi soggetti possono aderire al patto, diventando cittadini attivi e assumendo gli impegni previsti dall’accordo negoziale; in ogni caso, essi vantano nei confronti delle parti prerogative di uso pubblico e di accesso al bene comune oggetto del patto.
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I terzi rispetto a un patto di collaborazione, dunque, sono soggetti la cui posizione giuridica è peculiare sotto due profili connessi: nei confronti del bene comune urbano oggetto del patto, essi vantano prerogative di uso pubblico e di accesso che possono essere limitate solo in via eccezionale; nei riguardi del rapporto giuridico costituito tra le parti che abbiano concluso un patto, essi non possono mai considerarsi del tutto estranei.
Questi chiarimenti sono importanti poiché consentono di evidenziare gli aspetti caratteristici del patto di collaborazione, un accordo che organizza interessi che non sono esclusivamente riconducibili alle parti che costituisco- no il rapporto e che convergono in direzione della cura, dell’uso pubblico e dell’accesso rispetto a un bene comune urbano. In altri termini, soprattutto nel caso in cui si propenda per una qualificazione in senso contrattuale della natura giuridica del patto, nei patti di collaborazione aventi a oggetti beni comuni può ravvisarsi una attività negoziale peculiare rispetto alla regola generale disposta, per il contratto, dall’articolo 1372 c.c.: «il contratto ha forza di legge tra le parti. […] Il contratto non produce effetto rispetto ai terzi che nei casi previsti dalla legge».
I soggetti “terzi” non sono mai davvero del tutto “estranei” rispetto al patto di collaborazione, potendo interagire in diversi modi (dalla fruizione occasionale all’adesione al patto con assunzione della qualità di cittadini attivi) con il programma negoziale definito da amministrazione pubblica e cittadini attivi. A sua volta il patto non può certo ritenersi una figura negoziale tradizionale. Il funzionamento di un patto di collaborazione fuoriesce, infatti, dal campo di operatività della c.d. relatività degli effetti del contratto, a mente della quale quest’ultimo ha efficacia di legge solo tra le parti.
D’altra parte, il fatto che questo principio non sia affatto un dogma senza eccezioni è attestato anche dalla disciplina generale del contratto recata dal codice civile. Basti pensare, in proposito, alla figura del “contratto a favore di terzi”: secondo l’articolo 1411 c.c. «è valida la stipulazione a favore di un terzo, qualora lo stipulante vi abbia interesse. Salvo patto contrario, il terzo acquista il diritto contro il promittente per effetto della stipulazione […]». Un chiaro esempio di questa tipologia contrattuale è l’assicurazione in favore del terzo, vicenda negoziale in cui le posizioni di contraente e di assicurato sono scisse. L’articolo appena riportato esprime un principio di fondo molto importante: l’attività negoziale può investire con le proprie
ricadute positive soggetti terzi, i quali di regola acquistano, per il solo effetto di una stipulazione, situazioni giuridiche di vantaggio scaturite dall’esercizio di autonomia contrattuale di altri soggetti.
A prima vista sembrerebbe plausibile avvicinare i patti di collaborazione allo schema giuridico del contratto a favore di terzo: tuttavia, una rifles- sione più attenta fa propendere per l’esclusione di una simile analogia per due ragioni. Da un lato, ai sensi dell’articolo 1411 e ss. c.c., il terzo avvantaggiato dal contratto concluso tra le parti deve essere determinato o almeno determinabile, e questo requisito è difficilmente rispettabile nel caso dei beni comuni aperti all’uso pubblico. Dall’altro lato deve evidenziarsi che i soggetti terzi rispetto a un patto di collaborazione non acquistano prerogative giuridiche di accesso, uso e fruizione per effetto del patto, ma possono considerarsene titolari sin dal momento dell’identificazione del bene come bene comune. Proprio per tale ragione queste prerogative non possono essere lese dagli accordi tra le parti del patto.
I soggetti terzi rivestono la qualità di co-interessati alla migliore esecuzione possibile di un patto di collaborazione. Essi, dunque, possono assumere un ruolo di positivo “controllo sociale” in merito al buon andamento del patto con modalità svariate. È per esempio possibile che i terzi portino segnalazioni e istanze all’attenzione della pubblica amministrazione con- traente. Ancora, sembra corretto riconoscere ai co-interessati il potere di agire in giudizio nei confronti della pubblica amministrazione e/o dei cittadini attivi. I terzi potrebbero poi contestare la scelta effettuata tra più proposte di collaborazione che, in fase di valutazione preliminare o di co- progettazione, non sia stato possibile integrare. Resta inteso, in ogni caso, che dette controversie potranno riguardare non solo e non tanto situazioni qualificabili come turbative di vicinato (il tipico esempio del terzo residente nel quartiere che lamenta schiamazzi serali provenienti dal bene comune), ma anche e soprattutto il fatto che i terzi si attivino per contestare – in
primis tramite il comitato di conciliazione o la giuria dei beni comuni (ove istituita: si veda a questo proposito il capitolo 6, paragrafo 2) – eventuali usi irragionevoli o escludenti di un bene comune urbano.