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Forme di sostegno e sponsorizzazion

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 182-185)

LE FORME DEL GOVERNO CONDIVISO E LE FORME DI SOSTEGNO

6.8. Forme di sostegno e sponsorizzazion

6.8.1. La sponsorizzazione costituisce l’oggetto dell’omonimo contratto al quale i cittadini possono decidere di ricorrere per reperire risorse per finanziare lo svolgimento delle attività previste dal patto.

Nel nostro ordinamento non c’è una definizione normativa generale del con- tratto di sponsorizzazione, ma esso è disciplinato relativamente ad alcuni ambiti molto specifici, come la sponsorizzazione radiotelevisiva o quella dei beni culturali.

A ogni modo, questo contratto atipico è caratterizzato dal fatto che una parte, detta sponsee o sponsorizzato, in cambio di un corrispettivo in denaro si impegna nei confronti della controparte, detta sponsor, a consentire lo sfruttamento della propria immagine da parte di quest’ultima.

Ipotesi ricorrenti sono i contratti che interessano le divise sportive, per i quali le società operanti nel mondo dello sport assumono la qualità di sponsorizzato; oppure il discusso caso della sponsorizzazione dei lavori di restauro del Colosseo, che aveva visto come sponsor una nota impresa italiana del settore calzaturiero.

In via ipotetica, nell’ambito delle collaborazioni per la cura, la rigenerazione e la gestione condivisa dei beni comuni urbani lo sponsor potrebbe essere tanto un soggetto privato quanto un ente pubblico.

Un primo profilo problematico comune a tutte le forme di sponsorizzazione, privata e pubblica, è quello della loro compatibilità o meno rispetto ai principi del patto di collaborazione.

Una seconda questione da affrontare riguarda il caso in cui lo sponsor è un soggetto pubblico.

La sponsorizzazione è un contratto a titolo oneroso e a prestazioni corrispettive. Ciò significa che lo sponsor non eroga un contributo in denaro per scopi liberali, in modo disinteressato o per sostenere una causa sociale o morale, ma paga una somma di denaro al fine di avere un ritorno di immagine, che di solito ha un valore economico ben quantificabile. Normalmente, infatti, lo sponsor è un soggetto di tipo imprenditoriale. Del tutto diversa è la logica del patto di collaborazione per la cura, gestione condivisa e rigenerazione di beni comuni urbani, estranea a meccanismi basati sul profitto e in cui gli interessi delle parti nei riguardi dei beni comuni sono convergenti e cooperativi. Pertanto, la compatibilità tra i due istituti è quantomeno dubbia e questa incertezza si riflette nelle previsioni, anche molto diverse tra loro, dei Regolamenti sui beni comuni (che visioneremo tra un momento).

Peraltro, va segnalata una disposizione di legge che accosta tra loro i “contratti di sponsorizzazione” e gli “accordi di collaborazione” e che può indurre una certa confusione anche rispetto ai patti di collaborazione. L’art. 43 della l. 27 dicembre 1997, n. 449, relativo a «contratti di sponsorizzazione e accordi di collaborazione, convenzioni con soggetti pubblici o privati, contributi dell’utenza per i servizi pubblici non essenziali e misure di incentivazione della produttività», afferma che «al fine di favorire l’innovazione dell’organizzazione amministrativa e di realizzare maggiori economie, nonché una migliore qualità dei servizi prestati, le pubbliche amministrazioni possono stipulare contratti di sponsorizzazione e accordi di collaborazione con soggetti privati e associazioni, senza fini di lucro, costituite con atto notarile». La disposizione è richiamata anche dall’art. 119 del Testo Unico degli Enti Locali (d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267). Va evidenziato che i patti che hanno a oggetto beni comuni urbani hanno poco a che vedere con gli accordi di collaborazione della legge del 1997: questi ultimi sembrano piut- tosto generiche convenzioni negoziali tra pubbliche amministrazioni e privati, concluse per esternalizzare parte dello svolgimento di funzioni pubbliche e per far conseguire all’ente pubblico risparmi di spesa.

Il secondo profilo riguarda le sponsorizzazioni attive della pubblica amministra- zione, in cui essa riveste il ruolo di sponsor. In passato gli studiosi hanno manifestato

più d’un dubbio sul fatto che la pubblica amministrazione potesse stipulare tale contratto, perché in sostanza esso consiste in uno strumento di pubblicità tipicamente destinato all’attività d’impresa. Oggi i dubbi sono stati superati in virtù del ricono- scimento di una piena capacità di diritto privato della pubblica amministrazione, che le consente di stipulare anche contratti di sponsorizzazione. Tuttavia, nella prassi queste ipotesi si sono ridotte drasticamente a seguito del generale divieto di effettuare spese per sponsorizzazioni introdotto dall’art. 6, comma 9 del d.l. 31 maggio 2010, n. 78, convertito in l. 30 luglio 2010, n. 122. Peraltro, per effetto dell’articolo 21 bis del d.l. 24 aprile 2017, n 50 (convertito in l. 21 giugno 2017, n. 96) il divieto può essere superato solo dai comuni «che hanno rispettato nell’an- no precedente il saldo tra entrate finali e spese finali», in ossequio al principio di pareggio di bilancio di cui alla l. 24 dicembre 2012, n. 243.

La sponsorizzazione di cui sia parte un ente pubblico è oggi regolata anche dall’art. 19 del Codice dei contratti pubblici, che, con alcune previsioni puntuali, riconduce questa figura negoziale al novero dei contratti esclusi dall’applicazione della disciplina ordinaria su appalti ed evidenza pubblica e soggetti solo al rispetto dei principi di economicità, efficacia, imparzialità, parità di trattamento, traspa- renza, proporzionalità, pubblicità, tutela dell’ambiente ed efficienza energetica (art. 4, d.lgs. n. 50/2016).

6.8.2. Non si trovano indicazioni esplicite in materia di sponsorizzazioni nei Re- golamenti sui beni comuni, i quali sul punto seguono sostanzialmente il modello di Regolamento approvato nel 2014 a Bologna. In tal senso, è frequente trovare nei testi regolamentari un articolo dedicato alle «forme di riconoscimento per le azioni realizzate»: secondo queste previsioni ricorrenti, «il patto di collaborazio- ne, al fine di fornire visibilità alle azioni realizzate dalle cittadine e dai cittadini attivi nell’interesse generale, può prevedere e disciplinare forme di pubblicità quali, per esempio, l’installazione di targhe informative, menzioni speciali, spazi dedicati negli strumenti informativi. La visibilità concessa non può costituire in alcun modo una forma di corrispettivo delle azioni realizzate dalle cittadine e dai cittadini attivi, rappresentando una semplice manifestazione di riconoscimento pubblico dell’impegno dimostrato e uno strumento di stimolo alla diffusione delle pratiche di cura, gestione condivisa e ri-generazione dei beni comuni» (artt. 1 e 2, Regolamento di Bologna).

Per quanto in modo indiretto, il tenore letterale di queste previsioni sembra deporre nel senso di escludere che nell’ambito del governo dei beni comuni i cittadini attivi possano stipulare con qualunque soggetto contratti di sponsorizza- zione volti al reperimento di risorse economiche per finanziare le attività oggetto dei patti di collaborazione.

L’art. 18 del Regolamento torinese contiene previsioni non distanti da quelle del Regolamento bolognese. Ma questa disposizione si chiude affermando pe- rentoriamente che «sono escluse forme di sponsorizzazione». Un simile divieto sembra impedire ai cittadini attivi di fare ricorso a qualsiasi tipo di sponsorizza- zione, da parte di soggetti pubblici o privati.

Il prototipo Labsus 2018 ha invece operato una scelta differente. Secondo questa proposta, al c.d. “ufficio per l’amministrazione condivisa” (unità organiz-

zativa trasversale individuata dall’articolo 6, e deputata a facilitare al massimo i procedimenti di amministrazione condivisa) è demandato il compito di supportare gli altri uffici «nell’individuazione di strumenti di sponsorizzazione e di raccolta fondi». Peraltro, ove siano consentite forme di sponsorizzazione nell’ambito dei patti di collaborazione, occorre porsi il problema delle qualità dello sponsor. Infatti, trattandosi verosimilmente di un soggetto imprenditoriale che finanzia le attività svolte sui beni comuni urbani per un ritorno d’immagine occorre verificare che lo sponsor non svolga attività incompatibili con i principi dei Regolamenti. In altre parole si dovrebbe trattare di un soggetto i cui comportamenti rispettino uno standard etico minimo.

Le ragioni di un divieto alle sponsorizzazioni appaiono comprensibili. In via di principio la natura del contratto di sponsorizzazione – che è oneroso, a prestazioni corrispettive e ispirato a finalità “di profitto” per lo sponsor (che “scommette” sugli effetti economici del ritorno di immagine positiva dedotto nel contratto) – appare difficilmente compatibile con la logica del patto di collaborazione. Nondimeno, sembra opportuno interrogarsi a fondo sulla tenuta concreta di un divieto così generale. Da un lato, evitare che il patto di collaborazione si riduca a essere un contratto oneroso a prestazioni corrispettive è un obiettivo condivisibile e anzi prioritario. Dall’altro lato, occorre porsi il problema della sostenibilità degli in- terventi di autonomia civica effettuati dai cittadini attivi, che potrebbe essere più agevolmente garantita facendo ricorso alle sponsorizzazioni, seppur con tutte le cautele circa le qualità dello sponsor.

Invero, il profilo critico relativo alla selezione di uno sponsor adeguato dal punto di vista etico, può essere superato affidando la selezione dello stesso all’amministrazione. In altre parole, si può immaginare che sia lo stesso Comune a ricercare e selezionare degli sponsor per i patti di collaborazione, magari per mezzo di bandi generali di sponsorizzazione dei progetti di partecipazione dei cittadini. Certo, questa via può costituire un’utile forma di finanziamento per i patti di collaborazione, anche se – a nostro parere – non elimina le interferenze causate dal contratto oneroso di sponsorizzazione rispetto ad attività che dovreb- bero rimanere libere da interessi “egoistici”.

Sono invece espressamente consentite altre forme di finanziamento, come il mecenatismo e il patrocinio di cui andiamo subito a trattare.

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 182-185)

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