• Non ci sono risultati.

La prevenzione e il governo dei rischi Le previsioni dei Regolament

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 191-194)

RISCHI, RESPONSABILITÀ, ASSICURAZIONE

7.2. La prevenzione e il governo dei rischi Le previsioni dei Regolament

È perfino banale evidenziare, all’inizio di questo capitolo, che la prevenzione e il governo dei rischi sono temi classici. Una delle funzioni fondamentali del diritto è proprio questa: governare in maniera ragionevole le incognite, gli aspetti di pericolo e i potenziali conflitti che ogni attività – anche quelle apparentemente più innocue come una passeggiata al parco con il proprio cane – e ogni forma di convivenza umana presentano.

A ben vedere, al giorno d’oggi è usuale porre l’accento sulla dimensione della prevenzione, ossia su quei meccanismi di tutela anticipata che consentono di eliminare o di ridimensionare fattori di rischio specificamente individuati con riguardo a una certa attività: per esempio, l’uso di protezioni imbottite e di pa- vimentazioni di gomma può considerarsi una ragionevole prevenzione rispetto alle attività sportive che gli alunni svolgono in una palestra scolastica.

Tuttavia, la rilevanza attualmente assunta dagli oneri (e dai veri e propri ob- blighi giuridici) di prevenzione non deve far dimenticare una importante verità: nelle innumerevoli situazioni in cui si articola la nostra convivenza una comple- ta eliminazione degli elementi di pericolo e di rischio è non solo impossibile, ma anche non desiderabile. Costruire legami sociali, infatti, significa anzitutto accettare l’esistenza di spazi condivisi di vita. Se è corretto scongiurare il più possibile la creazione di rischi e di danni evitabili, è altrettanto vero che su tali spazi è tecnicamente impossibile per qualsiasi soggetto – perfino per le autorità pubbliche – avere un controllo tanto efficace da cancellare tutte le incognite che possono presentarsi. Non possiamo quindi ambire a una completa sterilizzazione di tutti i fattori di rischio che caratterizzano la nostra convivenza: ciò signifi- cherebbe nient’altro che tendere verso una sostanziale negazione degli spazi e delle occasioni di incontro e di confronto. È peraltro evidente che uno scenario come quello appena paventato non è auspicabile. Perché ciascuno possa gestire i pericoli che inevitabilmente si presentano è essenziale averne adeguata cono- scenza: si tratta dunque di accettare la prospettiva di fare esperienza di fattori di rischio, con l’obiettivo di sviluppare abilità sufficienti a governare in maniera il più possibile autonoma situazioni di vita anomale o complicate.

Fatta questa doverosa premessa, occorre entrare nel merito osservando che i Regolamenti comunali in materia di beni comuni urbani prendono in considera- zione la materia dei rischi e della loro prevenzione con due gruppi di previsioni ricorrenti.

Da un lato possono menzionarsi le disposizioni relative alla formazione rivolta ai cittadini attivi, che talora individuano tra le finalità principali di queste iniziative l’acquisizione di «conoscenze sul quadro normativo, sulla prevenzione dei rischi e sul corretto utilizzo dei dispositivi di protezione individuale» (si veda l’articolo 18, comma 4 lett. c) del Regolamento di Bologna; identica la formulazione degli articoli 18, comma 4 lett. c) del Regolamento fiorentino e 28, comma 4 lett. b) del Regolamento di Chieri). Sebbene non presente in tutti i Regolamenti, que- sto tipo di previsioni deve considerarsi senz’altro meritorio. Anche in assenza di indicazioni regolamentari esplicite, non è pertanto in dubbio la possibilità che le amministrazioni comunali, agendo in maniera promozionale nei confronti della cittadinanza, organizzino percorsi formativi finalizzati ad abilitare il più possibile la consapevole e diffusa espressione di autonomia civica.

Dall’altro lato, e soprattutto, rilevano le previsioni che ogni Regolamento dedica alla prevenzione dei rischi. Ancora una volta, il Regolamento bolognese può qualificarsi come modello replicato in molte altre città, spesso senza alcu- na variazione del testo regolamentare. L’articolo 31 del Regolamento felsineo, espressamente dedicato alla «prevenzione dei rischi», contiene due commi iniziali piuttosto articolati: «1. Ai cittadini attivi devono essere fornite, sulla base delle valutazioni effettuate, informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti in cui operano per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani e sulle mi- sure di prevenzione e di emergenza adottate o da adottare. 2. I cittadini attivi sono tenuti a utilizzare correttamente i dispositivi di protezione individuale che, sulla base della valutazione dei rischi, il Comune ritiene adeguati e a rispettare le prescrizioni contenute nei documenti di valutazione dei rischi». È da segna-

lare anche il comma 3 di questo articolo, che impone l’individuazione di un supervisore chiamato a garantire il rispetto del comma 2 ogni volta – ossia quasi sempre – che gli interventi di rigenerazione, cura e gestione coinvolgano più cittadini contemporaneamente.

Previsioni identiche o analoghe a quelle bolognesi si rinvengono in molte altre città: è qui sufficiente menzionare l’articolo 21, commi 1-2-3 del Regolamento di Torino; l’articolo 30, commi 1-2-3 del Regolamento di Verona; l’articolo 41, commi 1-2-3 del Regolamento di Chieri; nell’articolo 31, commi 1-2-3 del Re- golamento di Trento.

Vi sono anche amministrazioni comunali che hanno varato Regolamenti più stringati in punto prevenzione dei rischi. È il caso dell’articolo 16, comma 1 del Regolamento di Livorno, che contiene una disciplina più sfumata e si limita a prevedere che «ai cittadini attivi sono fornite, sulla base delle verifiche effettuate, informazioni sui rischi specifici esistenti negli ambienti di proprietà comunale in cui operano per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani e quindi sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate o da adottare». Ben diver- so risulta, invece, l’articolo 21, comma 1 del Regolamento fiorentino: con una previsione tanto sintetica quanto gravosa per i cittadini attivi, si statuisce infatti che «l’espletamento delle attività di cui ai patti di collaborazione è svolto dalle cittadine e dai cittadini nel rispetto delle normative in materia di sicurezza e con assunzione di tutti i rischi connessi».

Alla luce di questa breve rassegna delle previsioni dei Regolamenti comunali in materia di prevenzione dei rischi possiamo desumere alcune prime indicazioni. Anzitutto, si può ribadire che i Regolamenti conferiscono una grande importanza alla formazione e alla diffusione delle conoscenze: iniziative formative sono cru- ciali non solo perché contribuiscono a creare una cultura dei beni comuni, ma anche e soprattutto perché consentono alla cittadinanza di acquisire strumenti concreti per il governo efficace di tali beni.

Sotto altro profilo, si può notare una certa ambivalenza per quanto riguarda gli aspetti più specifici della prevenzione dei rischi. Le sperimentazioni concretamen- te in corso in molti comuni italiani attestano una positiva attuazione di principi come la fiducia reciproca, la proporzionalità, l’informalità e l’autonomia civica, che orientano strutturalmente il diritto dei beni comuni urbani e che anche in questo ambito operano nel senso di non appesantire eccessivamente i rapporti giuridici tra cittadini attivi e amministrazioni comunali. Sennonché, come si è visto poc’anzi è piuttosto chiaro che le previsioni testuali contenute nei Regolamenti evocano per lo più un approccio rigido alla materia della prevenzione dei rischi. I riferimenti alle prescrizioni impartite dal comune e all’esistenza di documen- ti di valutazione dei rischi, così come l’obbligo dei cittadini di individuare un «supervisore» in tutto equiparabile alla figura del responsabile per la sicurezza e la prevenzione, risultano abbastanza problematici. Essi alludono infatti a una peculiare organizzazione gerarchica dei rapporti tra amministrazione comunale e cittadini attivi, che ricorda da vicino quella sussistente tra datore di lavoro e dipendenti (o tra committente e appaltatore) oggi regolata dal d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, recante «testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza» (c.d. Testo Unico per la sicurezza sul lavoro). I Regolamenti sembrano riconoscere

alle amministrazioni comunali un potere direttivo che si concretizza nella comu- nicazione di vere e proprie istruzioni ai soggetti che intendono prendersi cura dei beni comuni urbani. Del tutto coerente con questa modalità di relazione è la “delega” di funzioni e di responsabilità effettuata a carico dei cittadini attivi, obbligati a individuare una figura chiamata a controllare il rispetto delle suddette prescrizioni in materia di sicurezza.

Occorre domandarsi con molta attenzione se una simile ricostruzione dei rapporti tra enti locali e cittadinanza in merito a sicurezza e prevenzione dei rischi, per quanto rinvenibile in numerosi Regolamenti, sia la più adeguata a cogliere e regolare le specificità delle dinamiche di rigenerazione, cura e gestione dei beni comuni urbani. Nei prossimi paragrafi discuteremo questi problemi e ne analizzeremo le implicazioni. Per il momento, anche alla luce delle conside- razioni che si sono anticipate e che svilupperemo in modo più approfondito in seguito, è sufficiente rilevare che sembra assai opportuna la scelta adottata dall’associazione Labsus, con riguardo alla materia dei rischi, in occasione della pubblicazione del prototipo Labsus 2018. L’articolo 18 di questo prototipo, infatti, è rubricato «formazione per prevenire i rischi»: si coglie quindi un approccio innovativo, che sostituisce le prescrizioni molto dettagliate presentate sopra con una esplicita connessione tra attività formative e sfera della prevenzione. In altri termini, nell’articolo in commento vengono meno i riferimenti a documentazioni di valutazione dei rischi, così come alle prescrizioni dell’amministrazione comu- nale e alla necessità di un cittadino attivo supervisore. Ai sensi del prototipo, l’aspetto importante è che i cittadini attivi, una volta adeguatamente formati, si impegnino «per parte loro a utilizzare correttamente i dispositivi di protezione individuale adeguati alle attività svolte nell’ambito dei patti, ad agire con pru- denza e diligenza e a mettere in atto tutte le misure necessarie a ridurre i rischi per la salute e la sicurezza».

La formulazione appena riportata è solo apparentemente troppo generica: in realtà come subito vedremo, essa appare in grado di cogliere la specificità della dialettica che sussiste tra cura dei beni comuni e governo dei rischi.

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 191-194)

Documenti correlati