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Patti di collaborazione e concessione di beni 1 La concessione

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 110-114)

DEL PATTO DI COLLABORAZIONE

4.3. Patti di collaborazione e concessione di beni 1 La concessione

La concessione amministrativa costituisce il classico titolo giuridico con cui i privati vengono ammessi alla fruizione di beni pubblici demaniali o anche del patrimonio indisponibile. Per questo motivo, il patto di collaborazione avente a oggetto beni di proprietà degli enti locali viene generalmente accostato alla concessione e spesso confuso con quest’ultima, soprattutto dagli operatori che utilizzano questo strumento. A questo proposito, va rilevato che in una fase an- tecedente all’emanazione dei Regolamenti comunali citati, spesso gli interventi di sussidiarietà orizzontale dei cittadini sui beni pubblici venivano ricondotti all’affidamento in concessione del bene stesso: in assenza di una disciplina ad hoc le amministrazioni locali ricorrevano a questo istituto ben noto e già ampia- mente utilizzato.

3 F. giglioni, La rigenerazione dei beni urbani di fonte comunale in particolare confronto con la funzione

di gestione del territorio in F. di lASCio e F. giglioni (a cura di), La rigenerazione di beni e spazi urbani,

Bologna, 2017, p. 222.

4 A. giUSti, La rigenerazione urbana. Temi questioni e approcci nell’urbanistica di nuova generazione, Napoli, 2018, p. 158.

Infatti, molti comuni utilizzano da tempo le concessioni per favorire attività di interesse generale (sociale, culturale ecc.) svolte da associazioni ed enti senza scopo di lucro. Questo, per esempio, succede a Torino, dove l’affidamento di beni immobili di proprietà comunale a soggetti no profit è stato disciplinato da un apposito regolamento (n. 214 del 1995: Regolamento per la concessione dei beni immobili comunali a enti e associazioni).

La concessione amministrativa più che una fattispecie tipica costituisce una

«categoria giuridica con valore normativo» o di qualità giuridica5. Ciò significa

che quando una determinata fattispecie concreta viene ricondotta a questa categoria, le si applicherà un insieme di regole giuridiche che possono essere poste dal legislatore oppure risultare dalla definizione del rapporto operata dalle parti. Numerose fattispecie – anche con caratteristiche molto varie tra loro – vengono abitualmente ricondotte alla categoria della concessione ammi- nistrativa: dalla disposizione dei beni demaniali alla predisposizione di servizi o beni utili alla soddisfazione di esigenze fondamentali della collettività.

Non si può nascondere che a volte è stato fatto un uso distorto di questo strumento giuridico: sotto l’etichetta di “concessione di beni” alcuni enti locali hanno attribuito beni immobili a canoni irrisori per decenni agli stessi soggetti, mediante proroghe e rinnovi in assenza dei presupposti di legge.

Queste esperienze costituiscono un “cattivo uso” dello strumento concessorio e non devono portare a una stigmatizzazione della categoria normativa in sé, che costituisce ancora il principale mezzo per affidare un bene pubblico ai privati.

4.3.2. Caratteri essenziali della concessione

Tra i caratteri della concessione di beni, che qui assumono interesse, va segnalata la funzione di legittimare il privato all’appropriazione delle utilità economiche del bene pubblico mediante l’uso normalmente in esclusiva del medesimo. Secondo le concezioni più accrediatate l’interesse giuridicamente rilevante che sorregge l’emanazione dell’atto di concessione (ossia la causa tipica dell’atto) è un pubblico interesse specifico (sviluppo turistico, incremento dell’economia agraria o indu- striale, ecc.), che un particolare e differenziato utilizzo e sfruttamento del bene consente di perseguire, mentre l’accrescimento della sfera giuridica del privato, insito nell’uso in esclusiva del bene, è un elemento accessorio.

Quanto alla sua natura giuridica, la concessione è stata inizialmente considerata un atto amministrativo unilaterale, espressione di potere autoritativo e discre-

zionale6. Più di recente è stata configurata, invece, come un atto complesso (la

c.d. concessione-contratto), composto da un atto unilaterale dell’amministrazione (provvedimento) e da un atto di natura contrattuale negoziato con il privato. Con il provvedimento il bene pubblico viene sottratto all’uso generale e attribuito

5 G. peRiCU, Diritto amministrativo, vol. II, L. Mazzarolli, G. Pericu, A. Romano, F.A. Roversi Mo- naco, F.G. Scoca (a cura di), Bologna, 2005, p. 1378.

6 Per “discrezionalità amministrativa” si intende il margine di scelta lasciato in capo alla pubblica amministrazione dalle norme che ne predeterminano il comportamento. All’interno di questo “spazio bianco” spetta all’amministrazione individuare, tra quelle consentite, la migliore soluzione per curare l’interesse pubblico nel caso concreto.

in via esclusiva al privato concessionario. Il contratto, che è causalmente colle- gato con il provvedimento, ha di norma un contenuto patrimoniale e contiene la disciplina dei rapporti tra amministrazione e concessionario. La disciplina del rapporto è assoggettata all’autorità del giudice amministrativo per quanto attiene la vicenda pubblicistica, ossia la prima fase del provvedimento, mentre la cognizione sui diritti patrimoniali che sorgono dal contratto è devoluta al

giudice ordinario7.

La principale differenza tra il patto di collaborazione e la concessione am- ministrativa riguarda la modalità di gestione del bene realizzata attraverso lo strumento giuridico. La concessione realizza infatti un’attribuzione del bene pubblico in esclusiva al soggetto privato individuato come concessionario, con la contestuale sottrazione del bene stesso all’uso generale che gli è proprio. Invece, il patto di collaborazione mira a realizzare l’effetto opposto, mediante la restituzione di un bene, individuato come comune, all’uso generale della collettività. Per questa ragione, i cittadini attivi che stipulano il patto con l’amministrazione non ottengono un uso esclusivo del bene, ma anzi sono vincolati a utilizzarlo e gestirlo in modo da garantire l’uso generale attraverso la massima accessibilità al bene. Connessa a questa caratteristica, il patto di collaborazione presenta anche la particolarità di non essere improntato a uno sfruttamento economico del bene da parte del privato – come è normale per la concessione – ma si può dire che la causa del negozio ha natura solidale o comunque non patrimoniale.

4.3.3. La “concessione agevolata”

Una particolare forma di concessione di beni presenta affinità ancora maggiori con il patto di collaborazione: si tratta della concessione in uso e locazione di beni immobili appartenenti allo stato introdotta dal d.p.r. 13 settembre 2005 n. 296.

Di norma il concessionario paga all’amministrazione un canone in cambio dello sfruttamento in esclusiva del bene. Invece, questa speciale ipotesi consente di affidare in concessione (o locare) anche gratuitamente, o a canone ridotto rispetto a quello di mercato, gli immobili di proprietà dello Stato gestiti dall’A- genzia del Demanio destinati a uso diverso da quello abitativo, tra i quali gli istituti scolastici e le strutture sanitarie pubbliche o ospedaliere.

La concessione (o locazione) “agevolata” di immobili pubblici, peraltro, è limitata dallo stesso decreto quanto alle finalità e ai soggetti destinatari: questi elementi presentano una evidente affinità con il patto di collaborazione. La concessione o locazione deve essere sostenuta da «finalità di interesse pubblico o di particolare rilevanza sociale». I soggetti destinatari sono accomunati dall’as- senza di scopo di lucro e dal tendenziale perseguimento di finalità di interesse generale (fondazioni, organizzazioni di utilità sociale, enti religiosi, associazioni sportive dilettantistiche, la Croce Rossa, per citarne alcuni).

La ragione sottesa a questa ipotesi normativa può quindi rintracciarsi nell’a- gevolazione, forse addirittura nella promozione, dell’attività di interesse gene-

rale da parte di soggetti che oggi potrebbero essere qualificati come enti del terzo settore mediante concessione di immobili pubblici non o sotto utilizzati

a condizioni particolarmente favorevoli8.

A differenza che nel patto di collaborazione, ove l’amministrazione può fa- cilitare i cittadini attivi con forme di sostegno (si veda il capitolo 6), nella con- cessione agevolata restano a carico del concessionario tutti gli oneri di qualsiasi natura derivanti dall’immobile per il periodo di affidamento.

Nonostante l’uso gratuito del bene pubblico, presente pure nel patto di col- laborazione, anche questa particolare ipotesi di concessione agevolata differisce dalla fattispecie in esame sotto alcuni importanti profili. Nella disciplina sulle concessioni e locazioni agevolate il bene è attribuito in relazione all’attività svol- ta dai soggetti concessionari, mentre nei patti di collaborazione il bene viene “restituito” alla collettività perché questa se ne prenda cura secondo modalità pattuite con l’amministrazione. In altre parole, nei patti di collaborazione il fine pubblico è predeterminato e consiste nella presa in carico, nella cura e rigene- razione compiuta su un bene comune da parte dei cittadini. La diversa ragion d’essere delle previsioni si riflette nella differente disciplina. Come anticipato, nelle concessioni e locazioni agevolate gli oneri sono interamente a carico dei soggetti concessionari, mentre nei patti di collaborazione la disciplina degli oneri relativi al bene viene di volta in volta concordata con l’amministrazione, non essendo escluso che quest’ultima possa farsi carico di parte dei costi, peraltro anche mediante l’attribuzione di vantaggi economici come l’esenzione da alcuni tributi (sulle forme di sostegno ai patti di collaborazione si veda il capitolo 6). In definitiva, poi, nei patti di collaborazione si tende a valorizzare un modello orizzontale, paritario dei rapporti tra privati e amministrazione, basato su un esercizio consensuale, non autoritativo dell’attività amministrativa, in quanto i beni interessati vengono restituiti alla collettività che ne è titolare (o meglio, che ha un diritto d’uso). Invece, le concessioni, anche agevolate, riflettono un’impostazione autoritativa nell’esercizio del potere pubblico.

8 A questo proposito si veda: TAR Veneto, sez. I, 8.3.2018, n. 273. La pronuncia è intervenuta nella nota vicenda dell’isola veneziana di Poveglia, in cui l’associazione “Poveglia per tutti” ha im- pugnato il diniego di concessione a canone agevolato dell’Agenzia del Demanio. In particolare, il TAR ha individuato un difetto di motivazione del provvedimento nella misura in cui l’Agenzia non ha spiegato le ragioni che hanno impedito un affidamento temporaneo del bene all’associazione “Poveglia per tutti” nelle more dell’esperimento di una procedura per la concessione o l’alienazione del bene. Il Giudice amministrativo ha valorizzato “le finalità di indubbia rilevanza sociale e collet- tiva” perseguite dall’associazione, nonché l’intenzione della stessa a “rendere accessibile e fruibile alla collettività” l’isola lagunare per esprimere un favor verso un certo modo di uso del bene. Per un commento si veda: A. QUARtA, Beni comuni, uso collettivo e interessi generali. Un percorso giurisprudenziale,

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