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Valutazioni conclusive Il tema della giurisdizione

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 121-124)

DEL PATTO DI COLLABORAZIONE

4.8. Valutazioni conclusive Il tema della giurisdizione

In conclusione dell’analisi condotta può dirsi che rimane aperto il nodo sulla definizione della natura giuridica dei patti di collaborazione. Un tale esito appa- re forse scontato alla luce del fatto che manca una cornice legislativa entro cui collocare le attività di collaborazione per la cura dei beni comuni e che esse sono state disciplinate, pur da numerosi Regolamenti, solo a partire dal 2014, sicché si versa ancora in una fase di primissima applicazione dell’istituto del patto di collaborazione.

Possono tuttavia formularsi alcune osservazioni.

i) Circa la natura giuridica, va notato che il patto di collaborazione costituisce

una fattispecie ampia, che può ricomprendere ipotesi concrete di collaborazio- ne molto diverse tra loro. Fatta questa premessa si potrebbe ipotizzare che le

varie tesi proposte non si pongano necessariamente in rapporto di alternatività tra loro. Invece, può ritenersi che, a seconda del procedimento individuato dall’amministrazione e della regolamentazione del rapporto in concreto, il patto possa presentare le caratteristiche di una piuttosto che di un’altra delle fattispe- cie richiamate. A questo proposito in dottrina c’è chi ha parlato di un «assetto a geometria variabile», ossia di una individuazione della natura giuridica dello

strumento da effettuarsi caso per caso sulla base del suo concreto atteggiarsi18.

Si potrebbe ritenere che alla base dei patti di collaborazione non vi sia l’e- sercizio di un potere amministrativo in quanto non si tratta di limitare l’uso di un bene pubblico, ma di restituire un bene comune all’uso collettivo e generale dei cittadini che gli è proprio. Il patto si potrebbe quindi collocare nell’attività negoziale, non autoritativa, del tutto soggetta al diritto privato.

Questa impostazione si attaglia particolarmente ai patti aventi a oggetto immobili urbani inutilizzati. In questi casi, prima della stipulazione di un patto per la cura e rigenerazione l’uso generale del bene non è effettivo, perché il presupposto da cui si parte è che l’amministrazione, titolare e gestore del bene, non lo ha messo a disposizione della collettività. Il patto di collaborazione trova causa proprio nella restituzione del bene all’uso generale, disciplinando a tal fine le attività di cura, manutenzione, rigenerazione del bene da parte di cittadini attivi o associazioni in modo da garantire la massima accessibilità del bene per la collettività.

D’altra parte, invece, quando il patto di collaborazione ha a oggetto alcuni beni, soprattutto demaniali, già aperti alla fruizione del pubblico, come aiuole, parchi, piazze e strade, si potrebbe individuare l’esercizio del potere su un bene proprio: in questo senso l’amministrazione limita l’uso generale del bene pubbli- co normalmente praticato a favore dei cittadini attivi che se ne prendono cura. Va detto che di norma l’uso generale non viene propriamente limitato perché l’attività di cura e rigenerazione presenta caratteristiche di non esclusione e accessibilità. Tuttavia, si può presentare il caso in cui un bene soggetto all’uso generale nel senso più pieno del termine venga sottoposto ad alcune limitazioni che dovrebbero migliorarne la fruizione comune. Per esempio, è il caso, non infrequente nella sperimentazione Co-city, dei patti di collaborazione in cui i cittadini si assumono l’impegno di chiudere i cancelli di un parco pubblico nelle ore notturne: la chiusura al pubblico in alcune fasce orarie mira a evitare che il parco sia oggetto di atti di vandalismo e quindi a conservarlo in buono stato, ma di fatto realizza una limitazione dell’uso generale.

Inoltre, nell’iter che conduce alla stipulazione del patto di collaborazione l’amministrazione utilizza per lo più atti non autoritativi, ma nell’applicazio- ne concreta non può escludersi che adotti anche dei provvedimenti. A questo proposito torna utile l’esempio appena citato in cui vi sia la limitazione dell’uso generale di un bene, per cui viene ritenuto necessario l’uso del potere pubblico. Ma anche il caso in cui l’amministrazione si trovi a dover effettuare una scelta tra più proposte dei cittadini attivi sullo stesso bene. Quindi, può dirsi che una

18 Così P. MiChiARA, I patti di collaborazione e il regolamento per la cura e la rigenerazione dei beni comuni

determinata collaborazione può essere raggiunta e formalizzata attraverso l’uti- lizzo di atti non autoritativi e di provvedimenti.

ii) Si sono esposte le due ipotesi di inquadramento del patto di collaborazione

come contratto e come accordo amministrativo. Questi due strumenti presen- tano alcune differenze fondamentali, ma anche alcuni punti di convergenza. Entrambi sono atti adottati nell’ambito di un modello consensuale. Però, mentre il primo è l’atto privato per eccellenza, il secondo è, in base all’opinione larga- mente maggioritaria, un atto amministrativo. L’accordo quindi a differenza del contratto è adottato a seguito di un procedimento amministrativo preordinato alla negoziazione dell’atto e alla ricerca del consenso sullo stesso. Da ciò discen- de la differenza più importante: quando la pubblica amministrazione stipula un contratto, l’applicazione del diritto pubblico è tendenzialmente esclusa e la giurisdizione in caso di controversie appartiene di norma al giudice ordinario; invece nell’ambito dell’accordo secondo l’art. 11 della l. n. 241/1990 si applica il diritto privato in quanto compatibile, in particolare «i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti», ma certo non è esclusa l’interferenza del diritto pubblico; in ogni caso la legge assoggetta la fattispecie alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo (art. 133 Codice del processo amministrativo).

iii) S’è detto che il punto controverso più importante è la riconducibilità della

fattispecie al diritto pubblico oppure al diritto privato. Tale alternativa si pone perché una delle parti necessarie del patto è l’amministrazione comunale, la quale è anche la formale proprietaria del bene comune oggetto del governo condiviso. L’appartenenza all’uno piuttosto che all’altro ramo del diritto, come s’è detto, dovrebbe determinare l’applicazione di regole giuridiche diverse: (a) in fase di formazione del rapporto tra i cittadini attivi e l’amministrazione; (b) durante lo svolgimento del rapporto stesso; (c) nella fase (eventuale) patologica del rapporto, ossia in caso di ricorso al giudice.

Indipendentemente dalla natura giuridica individuata, su alcune questioni c’è un tendenziale consenso.

Anzitutto, la fase di formazione del rapporto presenta le caratteristiche di un procedimento amministrativo, pur se depurato di alcuni elementi autoritativi, finalizzato a una parità non solo formale tra le parti e basato sulla negoziazione del consenso. Peraltro, a questo proposito va rilevato che la stessa disciplina della l. n. 241/1990 garantisce un’ampia partecipazione del privato durante il procedimento. Anche per le caratteristiche della procedura di formazione, alcu- ni configurano espressamente i patti di collaborazione come accordi atipici, che sono l’espressione del principio generale che connota tutta l’attività consensuale a carattere amministrativo (art. 11, l. n. 241/1990).

D’altra parte, c’è accordo anche nel ritenere che lo svolgimento del rapporto tra cittadini attivi e amministrazione a seguito della stipulazione di un patto di collaborazione è disciplinato in modo preponderante dalle regole del diritto privato.

Infine, quindi, la questione che rimane irrisolta è quale sia la giurisdizione in caso di controversie relative al rapporto. Stando alle considerazioni esposte, si potrebbe ritenere che la giurisdizione possa variare a seconda della fase oggetto

della controversia, a seconda cioè di quale sia la situazione giuridica bisognosa di tutela giudiziale.

Se in via generale potrebbe affermarsi che le parti possano far valere i propri diritti avanti al giudice ordinario, in quanto lo svolgimento del rapporto è tenden- zialmente assoggettato alle regole del diritto dei contratti, quando invece la lesione di un diritto discende da un atto dell’amministrazione che possa essere considerato autoritativo e in applicazione di un potere pubblico, la tutela dovrebbe spettare alla cognizione del giudice amministrativo. Per tornare all’esempio già fatto, l’atto con cui il Dirigente competente sceglie una sola tra più proposte di governo condiviso presentate dai cittadini attivi per uno stesso bene comune è un atto sostanzialmente autoritativo, la cui cognizione dovrebbe spettare al giudice amministrativo.

Stando invece alla tesi per cui il patto di collaborazione costituisce un’ipotesi di accordo amministrativo disciplinato dall’art. 11 della l. n. 241/1990, in caso di controversie sulla formazione, conclusione ed esecuzione dell’accordo decide il giudice amministrativo con giurisdizione esclusiva, ossia estesa tanto agli interessi legittimi quanto ai diritti soggettivi.

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 121-124)

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