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PER APPROFONDIRE (5)

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 75-79)

L’OGGETTO DEI PATTI DI COLLABORAZIONE I beni comuni urbani tra uso pubblico e accesso

PER APPROFONDIRE (5)

La riforma del terzo settore

La riforma del terzo settore ha trovato concretizzazione nel d.lgs. n. 107/2017, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106». Il decreto delegato è stato a sua volta modificato con il d.lgs. 3 agosto 2018, n. 105, c.d. correttivo. L’intervento del legislatore ha rivendicato pretese di organicità e l’obiettivo di una revisione complessiva di una materia – quella relativa ai soggetti del c.d. terzo settore – davvero vasta e sfaccettata. Sul fatto che tali propositi siano stati effettivamente attuati il dibattito è ancora aperto, e non mancano voci critiche nei confronti delle scelte legislative degli ultimi anni.

Il codice è organizzato in dodici differenti titoli: I) disposizioni generali (articoli 1-3); II) degli enti del Terzo settore in generale (articoli 4-16); III) del volontariato e dell’attività di volontariato (articoli 17-19); IV) delle associazioni e delle fondazioni del Terzo settore (articoli 20-31); V) di particolari categorie di enti del Terzo settore (articoli 32-44); VI) del registro unico nazionale del Terzo settore (articoli 45-54); VII) dei rapporti con gli enti pubblici (articoli 55-57); VIII) della promozione e del sostegno degli enti del Terzo settore (articoli 58-76); IX) titoli di solidarietà degli enti del Terzo settore e altre forma di finanza sociale (articoli 77-78); X) regime fiscale degli enti del Terzo settore (articoli 79-89); XI) dei controlli e del coordinamento (articoli 90-97); XII) disposizioni transitorie e finali (articoli 98-104).

Dal momento che un testo normativo così strutturato non può essere presentato nei det- tagli in questa sede, occorre limitarsi ad approfondire gli aspetti della riforma del terzo settore che risultano di maggiore interesse per il diritto dei beni comuni urbani.

Profili soggettivi e registro unico nazionale degli Enti del Terzo Settore

Ai sensi dell’articolo 4 del codice, il novero delle formazioni sociali che possono operare in qualità di Enti del Terzo Settore (ETS) è molto vasto, tanto da ricomprendere poten- zialmente molte formazioni capaci di operare anche come cittadini attivi1. L’iscrizione

al registro unico nazionale del terzo settore sembra essere condizione per acquisire la qualità di ETS (ossia per far scattare l’applicabilità del relativo codice). Eppure, a oggi il registro nazionale non è ancora operativo: stando infatti all’articolo 53, comma 1 del codice, «entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, previa intesa in sede di Conferenza Stato-Regioni, definisce, con proprio decreto, la procedura per l’iscrizione nel Registro unico nazionale del Terzo settore, individuando i documenti da presentare ai fini dell’iscrizione e le mo- dalità di deposito degli atti di cui all’articolo 48, nonché le regole per la predisposizione, la tenuta, la conservazione e la gestione del Registro unico nazionale del Terzo settore finalizzate ad assicurare l’omogenea e piena conoscibilità su tutto il territorio nazionale degli elementi informativi del registro stesso […]». La mancata adozione del decreto mi-

1 Secondo l’articolo 4, comma 1 del codice, infatti, «sono enti del Terzo settore le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le imprese sociali, incluse le cooperative sociali, le reti associative, le società di mutuo soccorso, le associazioni, riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di carattere privato diversi dalle società costituiti per il perseguimento, senza scopo di lucro, di finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi, e iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore».

nisteriale attuativo pare dunque comportare una forte privazione di operatività per uno dei pilastri della riforma.

Rapporti tra ETS ed enti pubblici (servizi sociali)

Previsioni normative molto rilevanti sono contenute negli articoli 55, 56 e 57 del codice, che compongono il titolo VII «dei rapporti con gli enti pubblici». Di fatto, queste disposizioni attraggono nell’orbita delle attività di interesse generale di cui all’articolo 5 (e dunque nella logica complessiva del codice) un campo di attività molto vasto e problematico, qual è quello della programmazione, organizzazione ed erogazione dei servizi sociali da parte delle amministrazioni pubbliche. Una discussione più approfondita dei problemi connessi a tale normativa – i possibili abusi; la compatibilità tra affidamenti diretti e regole a tutela e promozione della concorrenza – è presente nell’approfondimento alla fine del capitolo 3 di questo manuale: a esso si rinvia anche con riguardo all’analisi del recentissimo parere n. 2052 del 20 agosto 2018, reso in materia dal Consiglio di Stato.

Venendo ai contenuti del titolo VII, l’articolo 55 prevede in via generale al comma 1 che «in attuazione dei principi di sussidiarietà, cooperazione, efficacia, efficienza ed economicità, omogeneità, copertura finanziaria e patrimoniale, responsabilità e unicità dell’ammini- strazione, autonomia organizzativa e regolamentare, le amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165/2001, nell’esercizio delle proprie funzioni di programmazione e organizzazione a livello territoriale degli interventi e dei servizi nei settori di attività di cui all’articolo 5, assicurano il coinvolgimento attivo degli enti del Terzo settore, attraverso forme di co-programmazione e co-progettazione e ac- creditamento, poste in essere nel rispetto dei principi della legge n. 241/1990, nonché delle norme che disciplinano specifici procedimenti e in particolare di quelle relative alla programmazione sociale di zona».

Dunque, il coinvolgimento degli ETS non riguarda solo l’individuazione di bisogni e la co-programmazione dei servizi sociali che ricadano tra le attività di interesse generale contemplate dalla riforma del terzo settore. I commi 3 e 4 dell’articolo 55, relativi alla co-progettazione, alludono alla possibilità che la realizzazione degli interventi avvenga tramite forme di partenariato tra pubbliche amministrazioni ed ETS alternative rispetto alle “ordinarie” procedure competitive di evidenza pubblica.

L’articolo 56 è volto a specificare questa disciplina, individuando uno strumento di parte- nariato tra le pubbliche amministrazioni e le «organizzazioni di volontariato e le associa- zioni di promozione sociale, iscritte da almeno sei mesi nel Registro unico nazionale del Terzo settore»: la disposizione fa riferimento a «convenzioni finalizzate allo svolgimento in favore di terzi di attività o servizi sociali di interesse generale, se più favorevoli rispetto al ricorso al mercato»; al comma 2 si precisa inoltre che tali accordi «possono prevedere esclusivamente il rimborso alle organizzazioni di volontariato e alle associazioni di pro- mozione sociale delle spese effettivamente sostenute e documentate».

Uso dei beni e forme di sostegno

Nell’ambito del titolo VIII, e in particolare nel capo III relativo ad «altre specifiche misure» di sostegno al terzo settore, risultano interessanti gli articoli 70 («strutture e autorizzazioni temporanee per manifestazioni pubbliche») e 71 («locali utilizzati»).

Il primo si occupa in due commi delle manifestazioni temporanee che gli ETS possono organizzare per promuovere le proprie attività. In particolare, si prevede che «1. Lo Stato, le Regioni e Province autonome e gli Enti locali possono prevedere forme e modi per l’utilizzazione non onerosa di beni mobili e immobili per manifestazioni e iniziative temporanee degli enti del Terzo settore, nel rispetto dei principi di trasparenza, pluralismo e uguaglianza. 2. Gli enti del Terzo settore, in occasione di particolari eventi o manifesta- zioni, possono, soltanto per il periodo di svolgimento delle predette manifestazioni e per i locali o gli spazi cui si riferiscono, somministrare alimenti e bevande, previa segnalazione

certificata di inizio attività e comunicazione ai sensi dell’articolo 6 del Regolamento (CE) n. 852/2004, in deroga al possesso dei requisiti di cui all’articolo 71 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59». In occasione di specifiche manifestazioni temporanee, gli ETS possono quindi essere agevolati tramite l’uso non oneroso di beni in proprietà pubblica e con facilitazioni ai fini della somministrazione di alimenti e bevande.

Il secondo articolo, più complesso, è rilevante poiché contiene previsioni riguardanti gli strumenti negoziali prospettati (contratto di comodato e concessione, in luogo del patto di collaborazione) e i possibili usi dei beni. Secondo il comma 2, infatti, «lo Stato, le Re- gioni e Province autonome e gli Enti locali possono concedere in comodato beni mobili e immobili di loro proprietà, non utilizzati per fini istituzionali, agli enti del Terzo settore, a eccezione delle imprese sociali, per lo svolgimento delle loro attività istituzionali. La cessione in comodato ha una durata massima di trent’anni, nel corso dei quali l’ente con- cessionario ha l’onere di effettuare sull’immobile, a proprie cura e spese, gli interventi di manutenzione e gli altri interventi necessari a mantenere la funzionalità dell’immobile». Il comma 3, invece, individua per gli ETS una specifica forma di concessione a canone agevolato di beni culturali immobili di proprietà pubblica: la concessione viene effettuata in vista di processi di «riqualificazione e riconversione»; inoltre, essa «è finalizzata alla re- alizzazione di un progetto di gestione del bene che ne assicuri la corretta conservazione, nonché l’apertura alla pubblica fruizione e la migliore valorizzazione».

Aspetti di natura fiscale

È ancora opportuno menzionare l’articolo 79 del d.lgs. n. 107, che apre il titolo X dedi- cato al «regime fiscale degli enti del Terzo settore». Questo articolo presenta una vasta disciplina che risulta speciale rispetto al Testo Unico delle Imposte sui Redditi (d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917), oggi applicabile agli ETS in quanto compatibile con le previsioni del Codice del terzo settore. Vengono in particolare dettati criteri per distinguere, ai fini dell’imposizione fiscale sui redditi, le attività non commerciali da quelle invece dotate di commercialità. A questo proposito è sufficiente riportare due disposizioni di piglio generale. Secondo il comma 2 dell’articolo 79, «le attività di interesse generale di cui all’articolo 5, ivi incluse quelle accreditate o contrattualizzate o convenzionate con le amministra- zioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del d.lgs. n. 165/2001, l’Unione europea, amministrazioni pubbliche straniere o altri organismi pubblici di diritto internazionale, si considerano di natura non commerciale quando sono svolte a titolo gratuito o dietro versamento di corrispettivi che non superano i costi effettivi, tenuto anche conto degli apporti economici degli enti di cui sopra e salvo eventuali importi di partecipazione alla spesa previsti dall’ordinamento». Una previsione così estensiva è controbilanciata dalla clausola presente nel comma 5 del medesimo articolo, ai sensi della quale «indipendente- mente dalle previsioni statutarie gli enti del Terzo settore assumono fiscalmente la qualifica di enti commerciali qualora i proventi delle attività di cui all’articolo 5, svolte in forma d’impresa non in conformità ai criteri indicati nei commi 2 e 3 del presente articolo, non- ché le attività di cui all’articolo 6, fatta eccezione per le attività di sponsorizzazione svolte nel rispetto dei criteri di cui al decreto previsto all’articolo 6, superano, nel medesimo periodo d’imposta, le entrate derivanti da attività non commerciali».

Sempre in materia di regime fiscale, un’ultima disposizione della riforma del terzo settore da segnalare è quella dell’articolo 81. Rubricato «social bonus», esso prevede al comma 1 che «è istituito un credito d’imposta pari al 65 per cento delle erogazioni liberali in denaro effettuate da persone fisiche e del 50 per cento se effettuate da enti o società in favore degli enti del Terzo settore, che hanno presentato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali un progetto per sostenere il recupero degli immobili pubblici inutilizzati e dei beni mobili e immobili confiscati alla criminalità organizzata assegnati ai suddetti enti del Terzo settore e da questi utilizzati esclusivamente per lo svolgimento di attività

di cui all’art. 5 con modalità non commerciali […]». L’introduzione di un simile credito di imposta appare una innovazione interessante, che probabilmente non andrebbe limitata ai soli progetti di rigenerazione elaborati da ETS. In ogni caso, a quanto consta l’articolo 81 non è ancora effettivo: non risulta infatti emanato il decreto ministeriale incaricato dal comma 7 di individuare «le modalità di attuazione delle agevolazioni previste dal presente articolo, comprese le procedure per l’approvazione dei progetti di recupero finanziabili».

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 75-79)

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