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I beni confiscati alle mafie come beni comuni urban

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 39-42)

L’OGGETTO DEI PATTI DI COLLABORAZIONE I beni comuni urbani tra uso pubblico e accesso

1.4. I beni confiscati alle mafie come beni comuni urban

Nell’insieme dei beni urbani potenzialmente identificabili come comuni è da annoverare anche una categoria di beni assai peculiare: i beni confiscati alle mafie e alle organizzazioni criminali. Molti Regolamenti comunali contengono a questo proposito disposizioni che consentono di applicare le previsioni rego- lamentari anche ai beni confiscati: è dunque frequente leggere che «il Comune può destinare agli interventi di cura e rigenerazione di cui al presente capo gli edifici confiscati alla criminalità organizzata a esso assegnati» (articolo 16, comma 5 dei Regolamenti di Bologna, Trento, Cortona; articolo 12 comma 11 del Re- golamento di Torino; articolo 18 comma 5 del Regolamento di Chieri; articolo 9 comma 10 del prototipo Labsus 2018).

Gli istituti del sequestro e della confisca di beni riconducibili ai sodalizi mafiosi e ai loro componenti furono introdotti nell’ordinamento italiano con la legge 13 settembre 1982, n. 646: si tratta della celebre legge Rognoni-La Torre, adottata sull’onda emotiva dell’omicidio del parlamentare Pio La Torre; a essa si deve an- che l’introduzione del reato di «associazioni di tipo mafioso anche straniere» di cui all’articolo 416-bis del codice penale. Presupposti, procedure e finalità della confisca vennero delineati con interventi normativi succedutisi tra la fine degli anni ’80 e la metà degli anni ’90 del secolo scorso: tra tutti occorre menzionare la legge 7 marzo 1996, n. 109, recante anzitutto «disposizioni in materia di gestione e destinazione di beni sequestrati o confiscati». Grazie a questa legge, approvata prendendo le mosse dalla proposta elaborata nella fase peggiore dello stragismo di Cosa Nostra dalla rete Libera-Associazioni Nomi e Numeri contro le mafie, fu consentito per la prima volta il riuso a fini sociali dei beni confiscati. In tal senso, a partire dal 1996 la confisca di beni alla criminalità organizzata cominciò a essere percepita non solo come doverosa sanzione, atta a colpire le mafie sul piano patrimoniale, ma anche quale occasione di riscatto, riproduzione su basi rinnovate di legami comunitari e inclusione sociale, opportunità di lavoro emancipato dal giogo mafioso.

Nella materia dei beni confiscati il quadro normativo statale di riferimento è composto dal d.l. 4 febbraio 2010, n. 4 (convertito con modificazioni con legge 31 marzo 2010, n. 50), recante «istituzione dell’Agenzia nazionale per l’ammi- nistrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità

organizzata»17, nonché dal d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, recante «Codice

delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione, nonché nuove disposizioni in materia di documentazione antimafia, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 13 agosto 2010, n. 136». La confisca è in particolare disciplinata dall’articolo 24 del Codice antimafia, il quale prevede al comma 1 che «il tribunale dispone la confisca dei beni sequestrati di cui la persona nei cui confronti è instaurato il procedimento non possa giustificare la legittima provenienza e di cui, anche per interposta persona fisica o giuridica, risulti essere titolare o avere la disponibilità a qualsiasi titolo in valore sproporzionato al proprio reddito, dichiarato ai fini delle imposte sul reddito, o alla propria attività economica, nonché dei beni che risultino essere frutto di attività illecite o ne costituiscano il reimpiego». Le previsioni in materia di «destinazione dei beni», e dunque di riuso sociale, sono invece contenute nell’articolo 48, comma 3 del Codice.

La complessiva disciplina della confisca e della destinazione dei beni ricon- ducibili ai componenti di organizzazioni mafiose consente dunque di assegnare e/o trasferire i beni stessi ai comuni e agli enti territoriali in cui questi siano siti. Le previsioni in materia di riuso sociale sono state talora interpretate con l’obiettivo di avvicinare il regime giuridico dei beni confiscati a quello dei beni comuni urbani. A questo riguardo, occorre dare atto della specificità del Rego- lamento sui beni comuni urbani di cui si è dotato il comune di Reggio Calabria. Il Regolamento della città dello Stretto contiene infatti un intero capo V (articoli 20-28) dedicato alle «regole specifiche per i beni confiscati alla ‘ndrangheta». Il tentativo effettuato con questi articoli è quello di integrare – ove compatibile, data la differenza gerarchica tra una fonte statale avente forza di legge e una fonte comunale regolamentare – la disciplina anche procedurale del Codice antimafia con il linguaggio e le previsioni del Regolamento in materia di beni comuni.

Numerosi articoli si limitano a tradurre al livello regolamentare una discipli- na – si pensi alla durata della concessione e al divieto di subconcessione; alle regole in materia di revoca; ai controlli e al potere sanzionatorio – che sostanzialmente si rinviene nel Codice antimafia. Altre previsioni meritano una menzione più specifica. Così, l’articolo 22 del Regolamento reggino statuisce che la «conven- zione» tra il comune e il concessionario di un bene confiscato sia l’accordo di collaborazione (ossia il patto) previsto dal Regolamento medesimo: esso «assume sempre forma e contenuti di contratto», e proprio i contenuti risultano quelli previsti dal Regolamento comunale salve le integrazioni necessarie per tenere conto della specificità del bene oggetto dell’accordo. L’articolo 23 si sofferma invece sui peculiari obblighi gravanti sul concessionario/parte dell’accordo, in ragione della qualità del bene oggetto del patto. Tra di essi desta però perplessità la let- tera d), che impone al concessionario di «stipulare in favore dell’Ente apposita polizza assicurativa […] [anche] per i rischi che possano gravare sull’immobile, anche derivanti da incendio, atti vandalici […]». Una simile previsione sembra scaricare oneri eccessivi sul concessionario, verosimilmente anche in termini di costi assicurativi: ciò in considerazione dei frequenti rischi di attentati e di atti

17 Il sito dell’Agenzia è consultabile all’indirizzo http://www.benisequestraticonfiscati.it/ (ultimo accesso il 4.11.2018).

vandalici cui si espone chi sceglie di domandare l’uso a fini sociali di un bene confiscato a organizzazioni mafiose.

Quanto si è visto consente di formulare due conclusioni: da un lato, la con- vergenza tra riuso a fini sociali dei beni confiscati alle mafie e diritto dei beni comuni urbani sembra un fenomeno opportuno e anzi desiderabile in virtù della profonda affinità tra queste forme di uso dei beni; dall’altro lato, l’analogia pro- spettata non può essere completa, sia perché i beni confiscati sono spesso destinati a un riuso in primo luogo produttivo, sia poiché sarebbe ingenuo ignorare le peculiarità che caratterizzano le procedure volte al riuso dei beni confiscati. Ciò chiarito appare opportuno segnalare che il d.l. 4 ottobre 2018, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 1 dicembre 2018, n. 132 (recante «disposizioni ur- genti in materia di protezione internazionale e immigrazione, sicurezza pubblica, nonché misure per la funzionalità del Ministero dell’interno e l’organizzazione e il funzionamento dell’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata») contiene, tra le altre, previsioni modificative della disciplina sulla destinazione dei beni confiscati di cui all’articolo 48 del Codice antimafia. Le innovazioni normative vanno nella direzione di rendere più agevole l’alienazione dei beni confiscati, qualora «non sia possibile effettuare la destinazione o il trasferimento per le finalità di pubbli- co interesse» contemplate dalla disciplina antimafia. Nonostante le cautele che caratterizzano le procedure di vendita, le scelte del legislatore sono state criti- cate: è stato rilevato che, più che la facilitazione di processi di vendita, sarebbe prioritario l’impegno a rimuovere gli ostacoli che tuttora limitano le potenzialità del riuso sociale e produttivo dei beni confiscati.

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 39-42)

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