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Le forme di sostegno Le previsioni dei Regolament

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 173-180)

LE FORME DEL GOVERNO CONDIVISO E LE FORME DI SOSTEGNO

6.5. Le forme di sostegno Le previsioni dei Regolament

Come abbiamo anticipato, uno degli aspetti cruciali per il concreto funzio- namento delle collaborazioni e per l’effettiva promozione della cura dei beni comuni nei tessuti urbani è quello relativo alle forme di sostegno che i comuni possono attribuire ai cittadini attivi. Non è un caso, dunque, se i Regolamenti sui beni comuni contengono numerosi articoli dedicati a questo argomento e agli strumenti attivabili per facilitare e abilitare l’autonomia civica.

Le concrete azioni di sostegno della pubblica amministrazione in favore dei cittadini sono descritte nei patti di collaborazione. La puntualizzazione operata nell’ambito negoziale è però sorretta dalle previsioni generali di natura regola- mentare, che descrivono per grandi linee le forme di sostegno, le modalità di attribuzione e i principi che devono guidare il conferimento dei benefici.

Alcuni aspetti relativi al tema delle forme di sostegno pongono questioni deli- cate che andranno affrontate: le regole di attribuzione dei benefici da parte della pubblica amministrazione (art. 12 della l. n. 241/1990); i rapporti con i contratti di sponsorizzazione e con il baratto amministrativo.

D’altro canto, il reperimento di risorse per far fronte alle attività di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni comuni è un tema più ampio, che trascende le forme di sostegno erogate dall’amministrazione e coinvolge anche le relazioni tra i privati che possono risolversi in contratti di sponsorizzazione e rapporti di mecenatismo.

Guardando ai Regolamenti, possiamo rilevare una tendenziale uniformità delle disposizioni sulle forme di sostegno. Alcune sono previste in molti Regola- menti, come l’attribuzione di beni strumentali (beni di consumo e dispositivi di protezione individuale), la formazione e l’affiancamento da parte dei dipendenti comunali in alcune attività, l’esenzione dai tributi.

Invece, altre misure di agevolazione, come l’attribuzione di contributi in denaro, sono più discutibili e i Regolamenti presentano soluzioni diverse. Per esempio quello torinese li vieta espressamente, mentre il Regolamento di Bologna li consente sottoponendoli a severe procedure di controllo da parte dell’amministrazione.

Dal momento che l’attribuzione di forme di sostegno all’interno di un patto di collaborazione è solo eventuale, ci si può chiedere su quali basi esse vengano accordate dall’amministrazione e quali sono i principi che devono guidarne l’as- segnazione. I Regolamenti, sulla base di quanto previsto dal modello bolognese, affermano che le forme di sostegno sono modulate in relazione al valore aggiunto

che la collaborazione è potenzialmente in grado di generare5. Per chiarire la

previsione, occorre precisare come va intesa la nozione di valore aggiunto: essa può interpretarsi come l’effetto positivo del patto di collaborazione sul bene comune e sulla vita della collettività. Ovviamente si tratta di una valutazione a priori dei potenziali effetti della collaborazione. Su questo presupposto, sempre

5 In questo senso il Regolamento bolognese prevede nel contenuto del patto “le forme di sostegno messe a disposizione dal Comune, modulate in relazione al valore aggiunto che la collaborazione è potenzialmente in grado di generare” (art. 5, co. 2, lett. g).

secondo i Regolamenti, l’amministrazione dovrà decidere se agevolare l’attività di collaborazione con misure di sostegno e quali tra queste preferire.

Anche le misure di sostegno, così come l’intero contenuto del patto di collabo- razione, dovrebbero essere concordate tra l’amministrazione e i cittadini attivi. Infatti, sono proprio questi ultimi, di solito, a indicare quali agevolazioni sono utili o necessarie per consentire la realizzazione delle attività di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei beni anche nell’ottica di assicurarne la sostenibilità per tutta la durata del patto. L’amministrazione d’altra parte dovrà valutare quali oneri è in grado di assumere in considerazione degli scontati vincoli di bilancio.

6.5.1. Rimborso dei costi e contributi in denaro

Alcuni Regolamenti prevedono la possibilità di effettuare trasferimenti mo- netari diretti ai cittadini attivi, di solito come ipotesi residuale, da prendere in considerazione solo in assenza di alternative: «nel definire le forme di sostegno, l’amministrazione riconosce contributi di carattere finanziario solo e nella misura in cui le necessità cui gli stessi sono preordinati non siano affrontabili con sostegni in natura» (art. 24 del Regolamento di Bologna; previsioni simili sono presenti nei Regolamenti di Chieri, art. 34, e di Reggio Calabria, art. 35).

In questo caso i pagamenti pecuniari da parte dell’ente pubblico sono diretti a rimborsare spese già effettuate dai cittadini attivi per la realizzazione delle at- tività previste dal patto e di norma sono possibili solo a fronte di una puntuale rendicontazione dei costi sostenuti da parte dei cittadini attivi. I costi rimborsa- bili, peraltro, tendono a riguardare un vasto spettro di attività, dall’acquisto di materiali strumentali e beni di consumo fino alle spese per polizze assicurative.

Due sono i limiti al rimborso dei costi.

Anzitutto occorre riportare una disposizione di grande rilievo, presente so- stanzialmente in tutti i Regolamenti, che risulta coerente con le ragioni di politica del diritto che sorreggono la cura, gestione condivisa e rigenerazione dei beni comuni: «non possono essere corrisposti, in via diretta o indiretta, compensi di qualsiasi natura ai cittadini che svolgono attività di cura condivisa dei beni comuni, a fronte delle attività prestate, che vengono svolte personalmente, spontanea- mente e a titolo gratuito». È chiaro, in altri termini, che i cittadini attivi non sono lavoratori alle dipendenze delle amministrazioni comunali, sicché le erogazioni di denaro pubblico non possono mai costituire retribuzioni a favore degli stessi.

Un secondo limite, di natura quantitativa, è quello previsto per il rimborso delle spese sostenute per le attività professionali di cui i cittadini possono av- valersi per «l’organizzazione, la promozione e il coordinamento delle azioni di cura e di rigenerazione» (art. 24, co. 7° del Regolamento di Bologna): questi oneri possono essere rimborsati dall’amministrazione solo nella misura del 50%. Questa previsione è coerente con i principi delle collaborazioni civiche, in cui le attività di cura dovrebbero essere svolte in misura prevalente dagli stessi citta- dini attivi; in altre parole, il supporto di figure professionali dovrebbe costituire un’eccezione e per questo motivo l’amministrazione sceglie di rimborsare con i propri contributi solo una parte di queste spese.

Dal momento che le erogazioni in denaro possono porre problemi applicativi di non poco conto relativi alla loro gestione da parte dei cittadini attivi, alcuni

Regolamenti hanno recepito un orientamento assai restrittivo. A questo proposito, si vedano, per esempio, l’art. 16 del Regolamento di Torino e l’art. 10, co.4° del prototipo Labsus 2018. Queste disposizioni contengono una identica, perentoria previsione: «nell’ambito dei patti di collaborazione, l’Amministrazione non può destinare contributi in denaro a favore dei cittadini attivi». La scelta di un simile divieto senza eccezioni è comprensibile, ma sarà necessario verificarne gli effetti nella pratica. Talvolta, infatti, per i cittadini attivi potrebbe essere più semplice e immediato avere del denaro da spendere per dare corso alle attività di cura, gestione condivisa e rigenerazione, piuttosto che misurarsi con le procedure e i tempi legati all’attribuzione di vantaggi in natura (come il conferimento di beni strumentali o dispositivi di protezione individuale) da parte della pubblica amministrazione.

Altra cosa rispetto al rimborso di alcune spese è l’erogazione di contributi in denaro che i cittadini attivi possono utilizzare per far fronte ai costi dell’attività. La differenza non consiste solo nel momento dell’erogazione, che nel primo caso avviene dopo l’effettuazione delle spese e nel secondo caso prima, ma nell’impo- stazione complessiva della forma di sostegno.

Infatti, quando l’amministrazione effettua il rimborso delle spese esercita una scelta discrezionale in relazione ai costi da rimborsare e ne valuta la congruità rispetto allo svolgimento delle attività del patto di collaborazione. Invece, l’e- rogazione del contributo, che è una prassi molto utilizzata dagli enti locali per sostenere attività di interesse generale per lo più effettuate da associazioni senza fine di lucro, avviene prima dell’effettuazione della spesa da parte dei privati; i controlli dell’amministrazione avvengono, quindi, a posteriori mediante la richie- sta di rendicontazione dei beneficiari. È evidente che per quest’ultima forma di sostegno è necessaria la predeterminazione dei criteri di attribuzione, imposta dall’art. 12 della l. n. 241/1990 e il rispetto dei canoni di trasparenza, pubblicità e imparzialità (come vedremo al paragrafo 7 di questo capitolo). La sottoposizione a queste regole mira a garantire la corretta gestione del denaro pubblico erogato in assenza di titoli giustificativi, come invece accade nel rimborso delle spese.

Peraltro, dal momento che molti comuni si sono dotati di Regolamenti sulle procedure per l’assegnazione di contributi in denaro a favore di soggetti che svolgono attività meritevoli di incentivazione, nulla osta in via di principio a che i cittadini attivi parte dei patti di collaborazione possano concorrere per l’attribuzione di tali benefici, in aggiunta alle forme di sostegno già concordate nei patti stessi.

6.5.2. Uso gratuito di beni immobili

L’uso a titolo gratuito di beni immobili di proprietà del comune è previsto dai Regolamenti tra le forme di sostegno. A questo proposito però occorre fare una precisazione.

L’uso gratuito del bene comune urbano oggetto del patto e soggetto alle atti- vità di cura, rigenerazione e gestione condivisa dei cittadini attivi, non costituisce una forma di sostegno, ma rappresenta la componente essenziale del patto. Per questo, le disposizioni citate riguardano invece l’uso di beni ulteriori, di solito

di locali di proprietà comunale, il cui utilizzo è strumentale alla realizzazione delle attività del patto.

Per esempio, i cittadini attivi potrebbero utilizzare locali del comune per svol- gere riunioni organizzative relative alle attività del patto. In questo senso è molto esplicita la disposizione del Regolamento di Bologna intitolata «accesso agli spazi comunali»: «i cittadini attivi che ne facciano richiesta possono utilizzare tempo- raneamente spazi comunali per riunioni o attività di autofinanziamento. L’uso degli spazi di cui al precedente comma è parificato, quanto alla determinazione degli oneri previsti, alle attività istituzionali del Comune» (art. 21).

6.5.3. Accollo di spese per utenze e manutenzioni

L’accollo da parte della pubblica amministrazione delle spese per le forniture di luce, acqua ed energia relative al bene immobile oggetto del patto non è pre- visto da tutti i regolamenti.

Questa forma di sostegno, consentita per esempio dall’art. 16 del Regolamento torinese, è stata utilizzata nel corso della sperimentazione Co-city e costituisce una preziosa agevolazione allo svolgimento delle attività del patto. È chiaro, infatti, che le spese per le utenze sono tra quelle più gravose per lo svolgimento di attività a titolo gratuito e a finalità sociale, soprattutto quando si svolgono all’interno di edifici. D’altra parte, in molti casi l’amministrazione comunale è comunque tenuta a far fronte a tali spese per i propri immobili anche quando questi non sono oggetto di un patto di collaborazione.

Peraltro, a questo proposito va rilevato che alcuni anni fa il legislatore, spinto dalle difficili condizioni dei conti pubblici, ha introdotto nella disciplina della c.d. spending review una disposizione che provoca qualche dubbio sulla possibilità per le amministrazioni di pagare le utenze degli immobili oggetto dei patti di collaborazione. Ci si riferisce al divieto di erogare contributi alle persone giuri-

diche private che forniscono servizi, anche gratuiti, all’amministrazione stessa6.

In realtà, anzitutto la norma prevede un’eccezione piuttosto ampia, riferita all’erogazione di contributi a favore di alcuni soggetti che ben potrebbero essere parti di un patto di collaborazione e, in particolare, «le fondazioni istituite con lo scopo di promuovere lo sviluppo tecnologico e l’alta formazione tecnologica e gli enti e le associazioni operanti nel campo dei servizi socio-assistenziali e dei beni e attività culturali, dell’istruzione e della formazione, le associazioni di promozione sociale di cui alla legge 7 dicembre 2000, n. 383, gli enti di volontariato di cui alla legge 11 agosto 1991, n. 266, le organizzazioni non governative di cui alla legge 26 febbraio 1987, n. 49, le cooperative sociali di cui alla legge 8 novembre 1991, n. 381, le associazioni sportive dilettantistiche di cui all’articolo 90 della legge 27 dicembre 2002, n. 289, nonché le associazioni rappresentative, di co- ordinamento o di supporto degli enti territoriali e locali» (art. 4, co. 6 del d.l. 6

6 L’art. 4, co. 6 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 135: «[…] Gli enti di diritto privato di cui agli articoli da 13 a 42 del codice civile, che forniscono servizi a favore dell’amministrazione stessa, anche a titolo gratuito, non possono ricevere contributi a carico delle finanze pubbliche». Le esclusioni da questa regola sono riportate nel testo.

luglio 2012, convertito in legge 7 agosto 2012 n. 135). La disposizione, d’altra parte, non pone alcun divieto di erogare contributi a singoli cittadini.

In secondo luogo, come è stato riconosciuto anche dalla magistratura conta- bile, la preclusione riguarda le associazioni, fondazioni e società che forniscono servizi a favore delle amministrazioni pubbliche, non invece soggetti che svolgono attività in favore dei cittadini (Corte Conti, sez. Controllo Lombardia, n. 89 del 14.3.2013; Corte Conti, sez. Controllo Lombardia, n. 226 del 30.5.2013; Corte Conti, sez. Controllo Lombardia, n. 162 del 22.5.2018).

Come si è già detto, le attività svolte dai cittadini attivi nell’ambito dei patti di collaborazione non costituiscono attività proprie dell’amministrazione che vengono esternalizzate, né risultano attività a favore dell’amministrazione stessa. Al più si può affermare che, in alcuni casi, i soggetti coinvolti nei patti di collaborazione svolgono un “servizio” – sempre a titolo gratuito – a favore della collettività.

S’aggiunga che, sempre secondo la magistratura contabile, la finalità della norma è quella di evitare una elusione dell’obbligo di sottoporre a procedure di evidenza pubblica l’individuazione dei fornitori di beni e servizi a favore della pubblica amministrazione (Corte Conti, sez. Controllo Molise, n. 81 del 31.7.2013), categoria a cui senza dubbio non appartengono i cittadini attivi nell’ambito dei patti di collaborazione.

Ci sembra quindi di poter affermare che il divieto di erogazione di contributi alle persone giuridiche che forniscono servizi a favore delle amministrazioni, non preclude in via generale il pagamento delle utenze degli immobili oggetto

dei patti di collaborazione7.

Alcuni Regolamenti prevedono anche la possibilità di attribuire alle ammini- strazioni le spese per la manutenzione dell’immobile (art. 16 del Regolamento di Torino). Non è chiaro se in questo modo l’ente locale si accolli direttamente l’organizzazione e il coordinamento della manutenzione e quindi la effettui con le proprie risorse (come avviene nell’esperienza napoletana dell’ex Asilo Filangieri, per la quale rinviamo al capitolo 9.), oppure se la manutenzione sia gestita dai cittadini attivi con mero rimborso delle spese effettuato direttamente ai soggetti che svolgono la prestazione o ai fornitori dei materiali di consumo utili per i lavori. Entrambe le ipotesi aprono questioni che sono affrontate in relazione allo svolgimento dei lavori nell’ambito delle attività del patto (rinviamo sul punto al capitolo 5). Quel che è certo è che questa previsione consente alle amministrazioni comunali di farsi carico dei costi per le manutenzioni.

Questi interventi possono costituire voci di spesa anche molto consistenti, considerato, peraltro, che i beni comuni oggetto delle collaborazioni civiche possono essere immobili in disuso. Inoltre, le manutenzioni, soprattutto ordi- narie, costituiscono la tipica attività di cura del bene comune urbano oggetto del patto. Il fatto che esse siano pagate o effettuate dall’amministrazione, certo

7 Al di là dell’interpretazione dell’art. 4, co. 6 del d.l. n. 95/2012, cit., molti comuni si sono adoperati per un contenimento generale dei costi per il pagamento delle utenze, tra i quali anche quelli che in precedenza il comune si accollava a favore di soggetti che svolgono senza corrispettivo attività a beneficio della collettività (in questo senso anche la Città di Torino ha adottato la D.G.C. n. 4257 del 26.11.2012).

pone alcuni interrogativi sull’effettivo contributo dei cittadini attivi e sulla natura della partecipazione civica alle attività di cura dei beni comuni urbani; non va comunque dimenticato che le attività del patto possono anche riguardare azioni di rigenerazione e riqualificazione dei beni comuni che, pur effettuate in un bene comune, prescindono da attività materiali sugli immobili.

6.5.4. I beni strumentali

A partire da quanto visto poc’anzi è opportuno segnalare che molti Regola- menti recano previsioni relative alla messa a disposizione di beni strumentali e materiali di consumo per svolgere le attività del patto e dispositivi di protezione per consentire ai cittadini attivi di realizzare in sicurezza manutenzioni e piccoli lavori edilizi.

In altri termini, laddove il comune abbia in dotazione questi beni è possibile che i patti di collaborazione contengano clausole secondo cui – a sostegno degli interventi che riguardano un bene comune urbano – l’ente pubblico li consegna ai cittadini attivi in una forma analoga al comodato d’uso gratuito. In alternati- va, i beni possono essere acquistati dal Comune in base alle esigenze del patto.

Questi beni possono essere anche condivisi per l’uso relativo a più collaborazioni. Sul punto non si ravvisano difficoltà giuridiche di sorta, e per individuare la disciplina specifica di queste clausole negoziali si può effettivamente rinviare alla disciplina del contratto di comodato contenuta nel codice civile. Per i Regolamenti, infatti, è sufficiente disporre che «tali beni, salvo il normale deterioramento do- vuto all’uso, devono essere restituiti in buone condizioni al termine delle attività» (così, tra tanti, l’articolo 14 del Regolamento di Torino).

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A proposito dei beni strumentali e dei dispositivi di protezione individua- le non resta che segnalare una interessante sperimentazione, perseguita nell’ambito del progetto torinese Co-City. Trattasi di un progetto di “tool library”. In breve, nel capoluogo piemontese si è provveduto a comporre una vera e propria “biblioteca degli attrezzi”, ossia uno spazio liberamente accessibile – in ipotesi, quindi, non solo per i cittadini attivi coinvolti in patti di collaborazione – presso il quale sia possibile prendere in prestito (nonché conferire) attrezzi e beni strumentali. Obiettivi di questo progetto sono la generazione di economie di scala e il conseguimento di una gestione cooperativa e di un uso efficace di beni e dispositivi in dotazione dell’am- ministrazione comunale (con il superamento di procedure macchinose e burocratiche nell’accesso agli stessi).

6.5.5. Esenzione dai tributi

L’esenzione dai tributi costituisce un’importante forma di agevolazione, che ha fatto molto discutere perché ha suggerito un confronto tra i patti di collaborazione e un’altra fattispecie giuridica di recente creazione: il baratto amministrativo (sul quale ci soffermeremo al paragrafo 10 di questo capitolo).

I Regolamenti prevedono, normalmente a determinate condizioni, la possibilità di escludere, per le attività svolte specificamente nell’ambito dei patti collabora- zione, il pagamento dei tributi locali, ossia quelli nella disponibilità del Comune, come, per esempio, il canone per l’occupazione del suolo pubblico.

In particolare, il Regolamento di Torino, analogamente a molti altri, dispone l’esclusione dal canone per l’occupazione di spazi e aree pubbliche (C.O.S.A.P.) per tutte le attività svolte nell’ambito dei patti di collaborazione. L’art. 13 preve- de agevolazioni in materia di C.O.S.A.P. anche per le raccolte di fondi effettuate nell’ambito dei patti. Il Comune si riserva, poi, in via generale, di disporre esenzioni e agevolazioni per ulteriori tributi.

L’elemento oggettivo che contribuisce a distinguere nettamente queste forme di agevolazione dal baratto amministrativo è che, in quest’ultimo caso, l’esenzione riguarda i tributi personali degli stessi cittadini che sono parte del contratto di partenariato. Invece, le esenzioni concesse dalle amministrazioni all’interno di un patto di collaborazione riguardano esclusivamente l’attività posta in essere dai cittadini attivi nella rigenerazione, cura e gestione del bene comune urbano.

6.5.6. La formazione

Le attività di formazione che le amministrazioni predispongono riguardano due ambiti distinti.

Il primo costituisce una forma di sostegno vera e propria a favore dei cittadini attivi. Un bene urbano di cui sia riconosciuta la qualità comune, infatti, può esse- re interessato da progetti di cura, gestione condivisa e rigenerazione di notevole complessità. Inoltre, è ben possibile che ad attivarsi siano cittadini privi di cono- scenze particolari, che potrebbero, invece, risultare propedeutiche per effettuare al meglio gli interventi di cura concordati in un patto. In questi casi può essere utile che il Comune, di solito per il tramite dei propri dipendenti, svolga corsi e lezioni su temi rilevanti per affrontare le attività previste dai patti. In questo senso, il Regolamento di Bologna per esempio dispone che «l’Amministrazione mette a disposizione dei cittadini attivi le competenze dei propri dipendenti e fornitori, e favorisce l’incontro con le competenze presenti all’interno della comunità e liberamente offerte, per trasferire conoscenze e metodologie utili a operare cor- rettamente nella cura condivisa dei beni comuni. La formazione rivolta ai cittadini attivi è finalizzata, prioritariamente, all’acquisizione delle seguenti competenze: a)

Nel documento Manuale di diritto dei beni comuni urbani (pagine 173-180)

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