LE ATTIVITÀ DEI PATT
5.8. Gli usi temporanei e la loro specificità
In conclusione di questo capitolo occorre prendere in considerazione gli “usi temporanei”. Questa materia incrocia spesso il più ampio dibattito sui beni co- muni urbani e sulla regolazione giuridica delle relative attività di rigenerazione, cura e gestione. A ben vedere, infatti, il discorso sulle sperimentazioni di riuso temporaneo – introdotto in Italia sulla scia delle esperienze occorse in altri Paesi e sulla spinta di campagne di sensibilizzazione promosse in ambiti accademici e associativi – è precedente alla diffusione dei Regolamenti comunali sui beni comuni urbani. Entrambe le materie, con le loro interazioni, concorrono a deli- neare un quadro in costante evoluzione, animato dalla graduale produzione di regolazioni giuridiche innovative e da numerose sperimentazioni amministrative.
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Attorno al riuso temporaneo si sono formate negli ultimi anni moltissime esperienze e progettualità che testimoniamo la vivacità del settore. Nel con- testo italiano, in ambito istituzionale possiamo segnalare due esperienze. Da un lato si ha l’Osservatorio Riuso, promosso dalla Direzione Generale Arte
e Architettura Contemporanee e Periferie Urbane del MiBACT17. Dall’altro
lato l’iniziativa “Temporary Use”, assunta dall’Agenzia del Demanio con
riguardo a beni di proprietà statale assoggettati al regime demaniale18. Essa
promuove il riuso temporaneo in un’ottica piuttosto tradizionale e lontana dal diritto dei beni comuni urbani: infatti, restano fermi i riferimenti alla concorrenza e alla valorizzazione meramente monetaria dei beni, tanto che i progetti di riutilizzo vengono ritenuti anzitutto «vetrine promozionali che possono mettere a fuoco le potenzialità, a volte non evidenti, di beni di grande valore e attrarre investitori dal mercato privato».
Sempre in Italia occorre menzionare una serie di percorsi di natura più associativa e sociale. In primo luogo è bene ricordare la campagna “Ri-
utilizziamo l’Italia”19, promossa negli scorsi anni da WWF-Italia e capace
di produrre due rapporti annuali di grande importanza. Altrettanto si-
gnificativo risulta “Tempo Riuso”20, un progetto di ricerca-azione lanciato
una decina di anni fa da un gruppo di ricercatori milanese. Le finalità del progetto mostrano quanto ampio possa essere lo spettro di azione del riuso temporaneo: «le finalità economiche, sociali e urbanistiche che il progetto TEMPO RIUSO intende perseguire sono la rigenerazione urbana in ter- mini di riqualificazione del patrimonio edilizio, la sottrazione dello stesso
17 Il sito dell’Osservatorio, dotato di una utile sezione specificamente dedicata alla legislazione, è consultabile all’indirizzo http://www.osservatorioriuso.it/ (ultimo accesso il 25.09.2018).
18 http://www.agenziademanio.it/opencms/it/progetti/temporaryuse/index.html (ultimo accesso il 25.11.2018).
19 https://www.wwf.it/il_pianeta/impatti_ambientali/suolo/riutilizziamo_litalia/ (ultimo accesso il 25.11.2018).
ad atti di vandalismo e deperimento, la sussidiarietà con il terzo settore, il contenimento del consumo di suolo, il sostegno degli spazi autogestiti e dei servizi autopromossi dalle comunità locali». Un’ultima iniziativa da
segnalare è quella di “Spazi Indecisi”21, che oggi si attesta come una delle
migliori esperienze italiane in materia di usi temporanei e rigenerazione di luoghi inutilizzati.
Naturalmente, anche il panorama europeo è costellato di progettualità che connettono la materia della rigenerazione urbana alle riflessioni e alle pratiche di riuso temporaneo. Tra tutte sembra sufficiente menzionare “TUTUR–Temporary Use as a Tool for Urban Regeneration”: questo progetto europeo, sostenuto dal programma Urbact e promosso anzitutto dalle città di Roma, Brema e Alba Iulia, ha inteso collocare le iniziative di riuso temporaneo nella cornice della sostenibilità, dell’inclusione sociale e
dell’amministrazione collaborativa22.
Alla luce di queste brevi considerazioni di premessa, gli usi temporanei potrebbero senz’altro rappresentare uno strumento per la cura dei beni comuni urbani. Occorrerebbe, tuttavia, chiarire gli scopi e la durata di un uso temporaneo, al fine di comprendere quando un progetto di riuso possa essere recepito in un patto di collaborazione e quando, invece, il patto non si dimostri lo strumento giuridico atto ad accogliere interventi di uso tempo- raneo. Tali precisazioni non compaiono in quei Regolamenti comunali che presentano riferimenti agli usi temporanei. Per esempio, gli articoli dedicati alla «promozione della creatività urbana» (qualche riferimento: art. 8 Rego- lamento di Bologna; art. 8 Regolamento di Cortona) sono caratterizzati da una previsione ricorrente: «il Comune promuove la creatività urbana anche attraverso la valorizzazione temporanea di spazi e immobili di proprietà comunale in attesa di una destinazione d’uso definitiva. I suddetti beni pos- sono essere destinati a usi temporanei valorizzandone la vocazione artistica, evitando in tal modo la creazione di vuoti urbani e luoghi di conflitto sociale». Dalla lettura della disposizione appena riportata emergono alcuni elementi che possono ritenersi identificativi in materia di usi temporanei: essi hanno uno stretto legame con l’ambito della «creatività» e con attività di matrice artistica e culturale; inoltre, e soprattutto, rilevano i presupposti e la ratio che sembrano legittimare la promozione di esperienze di uso temporaneo. In concreto, i beni che possono essere interessati da progetti temporanei di riuso sono per lo più quelli in proprietà comunale «in attesa di una de- stinazione d’uso definitiva». Si ha quindi a che fare con porzioni di tessuto urbano che dal punto di vista urbanistico possono definirsi, per l’appunto, “spazi indecisi”: sono tali gli spazi per cui l’amministrazione sta rimedi- tando la destinazione urbanistica attualmente formalizzata negli strumenti urbanistici, o per i quali sono in corso procedimenti per la modifica della destinazione d’uso. Nelle more dei processi decisionali che li riguardano,
21 http://www.spaziindecisi.it/ (ultimo accesso il 25.11.2018).
22 I frutti di TUTUR possono leggersi nel rapporto redatto a conclusione del progetto: http://tutur. eu/wp-content/uploads/2015/05/FINAL_REPORT_TUTUR_final.pdf (ultimo accesso il 25.11.2018).
questi spazi rischiano di trasformarsi in luoghi dell’abbandono e in veri e propri vuoti urbani. La promozione di esperienze di riuso temporaneo, dunque, sembra reggersi principalmente su questa ragione di politica del diritto: contrastare, in attesa di decisioni urbanistiche di lungo termine o nelle more dei processi di attuazione delle stesse, le esternalità negative – de- perimento e pericolosità dell’edificato; problematiche igienico-sanitarie; rischio di concentrazione di attività illecite (per esempio il commercio di stupefacenti) – generate da uno spazio vuoto e in stato di abbandono. È opportuno, allora, prendere in considerazione alcuni riferimenti norma- tivi e alcune esperienze amministrative che in anni recenti si sono mosse nella direzione appena delineata.
5.8.1. Gli usi temporanei nelle leggi regionali
Dal punto di vista legislativo possiamo menzionare due fonti regionali che hanno avuto il merito di includere una prima disciplina degli usi temporanei nel più ampio quadro delle legislazioni in materia di governo del territorio: si tratta dell’articolo 8 della legge della Regione Veneto 6 giugno 2017, n. 14 e dell’ar- ticolo 16 della legge della Regione Emilia-Romagna 21 dicembre 2017, n. 24.
La legge veneta appare esplicitamente tributaria delle riflessioni teoriche in materia di beni comuni di cui abbiamo ampiamente dato conto in questo manuale. A tal proposito è significativo riportare quanto statuito dal comma 1 dell’articolo 1, che apre il testo legislativo esponendone i principi generali: «il suolo, risorsa limitata e non rinnovabile, è bene comune di fondamentale importanza per la qualità della vita delle generazioni attuali e future, per la salvaguardia della sa- lute, per l’equilibrio ambientale e per la tutela degli ecosistemi naturali, nonché per la produzione agricola finalizzata non solo all’alimentazione ma anche a una insostituibile funzione di salvaguardia del territorio».
Con l’articolo 8, rubricato «interventi di riuso temporaneo del patrimonio im- mobiliare esistente», questa legge dispone al primo comma che «al fine di evitare il consumo di suolo e favorire la riqualificazione, il recupero e il riuso dell’edifi- cato esistente, il comune può consentire l’uso temporaneo di volumi dismessi o inutilizzati ubicati in zona diversa da quella agricola, con esclusione di ogni uso ricettivo». Le finalità dei progetti di riuso sono riferite alle sfere della creatività e dell’innovazione, con particolare riguardo alle opportunità di occupazione e a settori quali l’artigianato e i negozi temporanei, la produzione culturale, il gioco e le cc.dd. nature urbane (orti sociali, giardinaggio urbano collettivo). In questo caso, dunque, presupposti e obiettivi che legittimano l’attivazione di usi temporanei risultano “a maglie larghe”, poiché non necessariamente connessi a prospettive di più complessivo ridisegno urbanistico: nondimeno, la disciplina veneta chiarisce che gli interventi di riuso possono essere attuati «per una sola volta
e per un periodo di tempo non superiore a tre anni, prorogabili di altri due»23.
23 Quanto agli strumenti operativi per consentire la realizzazione di riusi temporanei, la legisla- zione veneta sembra rifarsi al linguaggio e ai meccanismi “consueti” del diritto urbanistico negoziale:
Anche la legge varata in Emilia-Romagna ha l’ambizione di predisporre una disciplina organica: essa contiene infatti un intero capo dedicato alla «promozione del riuso e della rigenerazione urbana». In particolare, all’articolo 7 di questa legge è possibile leggere che «gli interventi di riuso e di rigenerazione urbana sono diretti a elevare gli standard di qualità ambientale e architettonica e si pon- gono l’obiettivo: di conseguire una significativa riduzione dei consumi idrici e di quelli energetici; di realizzare bonifiche di suoli inquinati e la riduzione delle aree impermeabili; di potenziare e qualificare la presenza del verde all’interno dei tessuti urbani; di promuovere una efficiente raccolta differenziata dei rifiuti; di sviluppare una mobilità sostenibile, incentrata sugli spostamenti pedonali, ciclabili e sull’accesso alle reti e nodi del trasporto pubblico».
In una simile e importante cornice sistematica si colloca l’articolo 16, che di- sciplina gli usi temporanei in maniera più generica rispetto a quanto visto nella legislazione veneta. Secondo il comma 1 dell’articolo, «allo scopo di attivare pro- cessi di recupero e valorizzazione di immobili e spazi urbani dismessi o in via di dismissione e favorire, nel contempo, lo sviluppo di iniziative economiche, sociali e culturali, il Comune può consentire l’utilizzazione temporanea di tali edifici, per usi diversi da quelli consentiti. L’uso temporaneo può riguardare sia immobili privati che edifici pubblici, per la realizzazione di iniziative di rilevante interesse pubblico e non comporta il mutamento della destinazione d’uso delle unità immobiliari interessate. Esso, in assenza di opere edilizie, è attuato senza titolo abilitativo». I commi 2 e 4 dell’articolo consentono di evidenziare il forte ruolo che il legislatore regionale ha inteso conferire ai comuni in materia di usi temporanei. Nulla viene previsto in merito ai limiti temporali cui sono assoggettati i progetti di riuso, e anzi, ai sensi del comma 2, «criteri e le modalità di utilizzo degli spazi di cui al comma 1 da parte del soggetto gestore sono specificati con apposita convenzio- ne. Il Comune individua il gestore di edifici pubblici attraverso apposito bando o avviso pubblico». Coerente con tale impostazione risulta il comma 4, secondo cui «il Consiglio comunale disciplina gli usi temporanei nel regolamento edilizio e approva una convenzione tipo che regola, tra l’altro, le cause di decadenza per
gravi motivi dall’assegnazione di immobili e spazi urbani […]»24.
5.8.2. Gli usi temporanei nelle esperienze amministrative comunali
Per quanto riguarda le esperienze amministrative in materia di usi temporanei, in questa sede è opportuno limitarsi a segnalare i casi di Napoli e di Milano.
Il capoluogo partenopeo è al centro dell’attenzione degli studi sui beni comuni urbani soprattutto per il ricorso a forme di uso civico e collettivo urbano, di cui
i progetti di riuso devono ricevere una “autorizzazione” comunale, che tuttavia può essere rilasciata solo sulla base di una “convenzione” previamente stipulata tra privati e amministrazione comunale (e approvata con deliberazione del Consiglio comunale).
24 Oltre alle indicazioni riportate nel testo, l’articolo 16 di tale legge regionale contiene poche previsioni concrete, specie in merito agli strumenti operativi. Il comma 3 si limita a precisare che il «nel caso di bandi rivolti ai soggetti riferibili al terzo settore per l’assegnazione di immobili e spazi di cui al comma 1, i soggetti gestori devono comunque essere individuati tra quelli iscritti agli specifici registri previsti dalla normativa vigente».
ci occuperemo nel capitolo 9 di questo manuale. Nondimeno, il 10 agosto 2017 la Giunta comunale napoletana ha adottato una importante delibera (la n. 458) che vede gli usi temporanei – ricondotti «alla promozione della riappropriazio- ne e del riuso degli spazi urbani da parte della collettività, anche nelle more dell’attivazione della trasformazione urbana prevista dalla vigente disciplina urbanistica, non potendo in alcun modo costituirne variante urbanistica» – come protagonisti di un programma di «valorizzazione dei beni in proprietà comunale a fini sociali». Nell’individuare alcune aree cittadine come sedi auspicate per la realizzazione di progetti pilota, la delibera napoletana ha anche fissato alcuni significativi indirizzi: la durata degli usi temporanei è di «non più di due anni rinnovabili e comunque fino al mandato del Sindaco o all’inizio del processo di trasformazione fisica dello spazio o immobile»; tra le utilità prese maggiormente in considerazione vi sono il gioco e lo sport, l’ambito della “creatività urbana”, la creazione di attrezzature sociali e spazi per l’accoglienza; gli interventi di riuso, «di norma limitati alla manutenzione ordinaria e straordinaria», devono essere reversibili e a basso costo, nonché condotti con metodi partecipativi; la parte- cipazione generata potrà dare luogo alla nascita di “comunità civiche urbane”, formazioni sociali «che saranno disciplinate da apposita delibera di Giunta».
Ciò detto di Napoli, la sperimentazione in corso di avviamento da parte del comune di Milano risulta parimenti importante in quanto essa può ritenersi per più aspetti “esemplare”, poiché collegata a un imponente processo di trasforma- zione e rigenerazione urbanistica. A Milano sono infatti ormai dismessi, o in via di
dismissione, sette grandi scali ferroviari25, i quali occupano sul territorio urbano
l’enorme superficie complessiva di circa 1.250.000 metri quadrati. A fronte di questi nuovi, immensi vuoti urbani, la Città di Milano e la Regione Lombardia avevano già avviato nel 2007 un percorso di confronto con il gruppo Ferrovie dello Stato (proprietario delle aree) per addivenire alla stipula di un accordo di programma ai sensi dell’art. 34 del Testo Unico degli Enti Locali, avente a oggetto progetti di strutturale riconfigurazione urbanistica delle aree un tempo adibite a funzioni connesse al servizio ferroviario. Dopo una fase di negoziati non andata a buon fine, nel 2016 si è aperta una nuova trattativa, ed è in questo contesto che la materia degli usi temporanei ha assunto un significativo protagonismo in seno alle strategie urbanistiche milanesi.
In particolare la delibera n. 44 del 14 novembre 2016, con cui il Consiglio comunale meneghino ha varato linee di indirizzo per la trasformazione urba- nistica delle suddette aree ferroviarie, ha incluso tra gli obiettivi dell’azione amministrativa quello (punto h) di «prevedere l’uso temporaneo degli spazi come strumento per restituire alla cittadinanza, già nell’immediato, aree non più dismesse e degradate, ma vive e accessibili permettendo altresì l’attuazione per fasi dei complessi programmi urbanistici e anticipando in tal modo una prima disponibilità collettiva delle aree, con particolare riferimento alla realizzazione immediata di aree verdi che possano essere rese fruibili, provvedendo a un’adeguata
sorveglianza e garantendo la sicurezza delle stesse; sul punto dovrà essere coinvolta con 25 Scalo Farini; scalo Greco-Breda; scalo Lambrate; scalo Romana; scalo Rogoredo; scalo Porta Genova; scalo San Cristoforo.
continuità la Commissione Consiliare competente»26. Dalla lettura della delibera n. 44
si evince, dunque, che la Città di Milano ha inteso ricondurre gli usi temporanei al novero degli strumenti utili ad anticipare, almeno parzialmente, imponenti processi di trasformazione urbanistica, quali sono gli interventi che interesseranno le aree degli scali ferroviari sopra menzionati.
Una conferma di tale impostazione giuridica e di policy è pervenuta dopo pochi mesi dall’adozione della delibera n. 44, con l’approvazione della mozione n. 144 del 15 giugno 2017. Con questo atto il Consiglio comunale ha impegnato la Giunta a fare proprie alcune indicazioni che, in materia di funzioni prioritarie e usi relativi agli scali ferroviari, avrebbero dovuto informare l’azione del comune di Milano in vista della conclusione di un nuovo Accordo di Programma ai sensi dell’articolo 34 del Testo Unico degli Enti Locali. Nella mozione la rilevanza degli usi temporanei è senz’altro primaria, tanto da ritenere (punto n) «indispensabile immaginare un percorso che favorisca gli usi temporanei e la riconquista da parte della città di una quota di spazi (aree ed edifici) immediatamente fruibili, compatibilmente con le condizioni ambientali dei suoli. L’anticipazione della realtà ha il potere di alleggerire il
periodo transitorio verso le soluzioni definitive, aprendo i recinti e mitigando i disagi che deriveranno dall’implementazione dei futuri processi di rigenerazione permanente»27.
La conclusione di un nuovo Accordo di Programma tra Comune di Milano, Regione Lombardia e gruppo Ferrovie dello Stato è effettivamente intervenuta il
23 giugno 201728. In seno al testo dell’Accordo il ruolo degli usi temporanei risalta:
alle «modalità per l’utilizzo temporaneo degli scali Ferroviari in pendenza dell’ap- provazione degli strumenti urbanistici attuativi» è dedicato l’articolo 16, in cui si risolve l’intera parte IV della convenzione. La concezione degli usi temporanei fatta propria nell’importante esperienza amministrativa milanese è attestata dal comma 2 di questo articolo, ai sensi del quale «[…] nelle more dell’approvazione degli strumenti attuativi che disciplineranno in via definitiva le trasformazioni ur- banistiche ed edilizie ammesse, per mezzo di specifiche convenzioni disciplinanti l’utilizzo temporaneo delle aree interessate dal presente Accordo di Programma, potranno essere ammesse anche in via temporanea le funzioni previste dalla nuova disciplina urbanistica delle aree, fermo restando il rispetto delle norme di tutela ambientale e delle altre normative vigenti». Infine, risulta assai significativa e coerente con quanto si è venuto descrivendo in questo capitolo la previsione del comma 3, secondo cui i progetti di riuso «[…] dovranno privilegiare utilizzi rivolti alle fasce di popolazione giovanile, nonché attività culturali, didattiche, ricreative, sportive e di socializzazione e di fruizione degli spazi aperti».
26 Il corsivo è presente nel testo originale della delibera.
27 I corsivi sono aggiunti per sottolineare la consapevolezza del Consiglio comunale circa il ruolo giuridico e urbanistico assegnato agli usi temporanei. Del resto, nel testo della mozione n. 144 il successivo punto q prevedere esplicitamente quanto segue: «la disciplina degli usi temporanei, ove possibile, potrà anticipare e sperimentare soluzioni, anche funzionali e innovative. Insieme ad attività più remunerative, potranno essere infatti ricavati spazi per lo sport, la didattica, lo svago, nonché spazi di creatività e lavoro per i giovani. Il coinvolgimento di giovani progettisti, nuovi imprenditori e delle comunità locali in tali iniziative potrà facilitare lo sviluppo di start-up, nonché rafforzare le reti di quartiere. […]».
5.8.3. Considerazioni di sintesi
La crescente attenzione nei riguardi delle potenzialità del riuso temporaneo è una notizia positiva: le innovazioni normative e le esperienze amministrative sopra presentate risultano senza dubbio apprezzabili. Nondimeno, per comple- tare l’analisi appare necessario individuare una differenza tra due impostazioni: da un lato sembrano collocarsi gli usi temporanei che si stanno analizzando, con l’importanza che essi vanno assumendo come strumento di rigenerazione urbana graduale e anticipata; dall’altro lato emerge la rilevanza giuridica dei beni comuni urbani, la quale allude a un ripensamento culturale più profondo e per certi versi “strategico”. Infatti, sebbene anche i patti di collaborazione abbiano una durata limitata nel tempo, la decisione di qualificare un bene come comune determina anche per il futuro la direzione delle scelte di gestione. La distinzione tra questi due approcci, per più aspetti complementari, è quindi chiara anche se piuttosto sottile: un esempio concreto è in grado di farla apprezzare compiutamente.
Si dia il caso di un edificio di proprietà pubblica, già sede di uffici e da anni in stato di abbandono, posto in un quartiere di risalente urbanizzazione che negli ultimi lustri risulta soggetto a forti trasformazioni socio-demografiche, riassumibili nei seguenti termini: invecchiamento della tradizionale popolazione residente; diminuzione della densità abitativa e della vivacità sociale; conseguente deprezzamento dei valori immobiliari; arrivo di nuove fasce di popolazione – in particolare universitari, giovani e stranieri – con innesto di nuove energie e inedite complessità nel vissuto del quartiere. Nell’esempio appena presentato, senz’altro “di scuola” poiché corrispondente a dinamiche che si registrano da anni in mol- tissimi centri urbani, è ben possibile che l’edificio in disuso divenga oggetto di