LE ATTIVITÀ DEI PATT
5.4. La rigenerazione e l’assunzione diretta di interventi da parte dei cittadini att
Il terzo tipo di attività che, secondo i Regolamenti, i cittadini attivi possono effettuare è la rigenerazione. Questo termine ha una importanza pregnante, in quanto allude a una sorta di “rinascita” di un bene – e per estensione di un quar- tiere, di una comunità di riferimento – che si trova in una complicata condizione di partenza: stato di abbandono, deperimento, noncuranza, ecc.
A una tale centralità dal punto di vista giuridico e simbolico (sulla quale si tornerà a breve) nel diritto dei beni comuni urbani non corrisponde una defi- nizione univoca di rigenerazione. Muovendo dall’analisi di diversi Regolamenti possono anzi isolarsi addirittura tre differenti soluzioni definitorie.
Una prima definizione, che può considerarsi minimalista e piuttosto stringa- ta, si trova nell’articolo 2, comma 1 lett. h) del Regolamento di Torino, ai sensi del quale per rigenerazione si intende un «programma di fruizione collettiva, recupero dei beni comuni urbani, con caratteri di inclusività e integrazione».
Altri Regolamenti, come quello livornese, definiscono la rigenerazione in una maniera più articolata: l’articolo 2, comma 1 lett. h) si riferisce a «interventi di rivitalizzazione, recupero, trasformazione, innovazione e valorizzazione dei beni comuni urbani».
Esistono infine definizioni più ambiziose di quelle appena riportate, che si muovono nel solco del primo Regolamento bolognese del 2014 – articolo 2, comma 1 lett. h) – e che qualificano come rigenerazione gli «interventi di recu- pero, trasformazione e innovazione dei beni comuni, partecipi, tramite metodi di coprogettazione, di processi sociali, economici, tecnologici e ambientali, ampi e integrati, che complessivamente incidono sul miglioramento della qualità della vita nella città». A fronte di questa complessa formulazione occorre segnalare una circostanza significativa: il Regolamento di Verona, all’articolo 2, comma 1 lett. h), reca una definizione sostanzialmente identica a quella bolognese ma sceglie
di distanziarsi dal vocabolo “rigenerazione”, contemplando invece la nozione di «interventi di valorizzazione».
Nelle definizioni bolognese e veronese tanto l’uso di due termini piuttosto di- versi – quali “rigenerazione” e “valorizzazione” – quanto il riferimento a processi tecnologici e ambientali integrati segnalano una certa ambivalenza che caratterizza il discorso sulla rigenerazione di beni e spazi urbani. Infatti, la rigenerazione dei tessuti urbani e l’investimento nella ricostituzione di legami sociali sono sia attività sia obiettivi che caratterizzano il diritto dei beni comuni urbani. In questa ottica la rigenerazione può essere intesa come una nuova funzione amministrativa, propria di una rinnovata forma di «enabling state» (settore pubblico abilitante). Allo stesso tempo essa è inclusa nel più ampio discorso sulle città smart e “resilienti”: occorre però valutare con cautela questa impostazione, in quanto limitarsi a considerare la rigenerazione tra le espressioni delle città smart (ossia di un paradigma molto più generale e complesso) rischia di ridimensionare la centralità dei beni comuni nelle riflessioni teoriche e operative in merito alle trasformazioni urbane e ai mutamenti nei rapporti tra cittadinanza e settore pubblico.
A differenza che nella cura e nella gestione – che possono consistere in azioni di manutenzione – la rigenerazione di regola implica infatti interventi innovativi, più consistenti e legati a un progetto ben definito sul bene comune urbano oggetto del patto di collaborazione. Ciò rende evidente che il grado di complessità delle azioni di rigenerazione – e quindi dei patti che le programmano – può variare sensibilmente: dalla costruzione di piccoli arredi urbani facilmente asportabili in una piazza o in un giardino pubblico, sino alla vera e propria ristrutturazione di un edificio o di parte di esso.
Se quanto si è appena visto è vero, è agevole riconoscere che la rigenerazione apre un campo eterogeneo di problemi, che possono essere compiutamente apprezzati solo misurandosi di volta in volta con i concreti interventi condotti dai cittadini attivi. In tal senso, sulla base delle prime indicazioni promosse da Labsus, alcuni Regolamenti hanno recepito disposizioni secondo cui «la proposta di collaborazione che determini modifiche sostanziali allo stato dei luoghi o alla destinazione d’uso degli spazi pubblici è sottoposta al vaglio preliminare della Giunta» (articolo 11, comma 9 dei Regolamenti di Bologna e Trento; articolo 13, comma 8 del Regolamento di Verona; articolo 12, comma 9 del Regolamento di Chieri). La previsione è di portata generale ma assume senso con specifico riguardo agli interventi di rigenerazione: è infatti ragionevole attribuire alla Giunta comunale il compito di negoziare e definire i termini di un patto che andrà a incidere in maniera durevole sulla consistenza o funzionalità di un bene comune urbano che rimane di titolarità pubblica.
Tutti i Regolamenti contengono, poi, articoli dedicati a disciplinare nel detta- glio le attività di rigenerazione o, in ogni caso, i patti di collaborazione di elevata complessità che le prevedono. Su un piano generale è chiaro che gli interventi capaci di modificare più o meno sensibilmente un bene comune urbano devono essere condivisi dalle parti di un patto di collaborazione e quindi preceduti da una qualche forma di assenso da parte dell’ente locale proprietario del bene. Venendo agli aspetti più concreti, dobbiamo anzitutto ricordare che la pubblica amministrazione può decidere di svolgere essa stessa tali interventi: in questi
casi, il diretto impiego di risorse pubbliche per l’effettuazione e/o l’acquisto di lavori, servizi e forniture implica l’applicazione del decreto legislativo n. 50/2016 e della relativa disciplina in materia di contratti pubblici.
Ai fini dello studio che stiamo conducendo è però più interessante evidenziare che i Regolamenti comunali disciplinano questo possibile aspetto dell’esecuzione dei patti di collaborazione facendo scelte coerenti con i principi del diritto dei beni comuni urbani. Nonostante alcune eccezioni – come quella dell’art. 13 del Regolamento fiorentino, che si limita a statuire al primo comma che «il patto di collaborazione può avere a oggetto interventi di ri-generazione degli spazi pubblici, da realizzare anche grazie a un contributo economico delle cittadine e dei cittadini attivi» – molti Regolamenti abilitano espressamente i cittadini attivi ad agire in maniera diretta sui beni comuni, pur ponendo a monte una importante disposizione sul tipo di interventi realizzabili: sono infatti sempre vietati «attività o interventi che contrastino con la fruizione collettiva del bene» (la prescrizione è ricorrente, talora con varianti terminologiche: art. 12, comma 2 del Regolamento di Torino; art. 8, comma 3 del Regolamento di Verona; art. 12, comma 2 del Regolamento di Firenze; art. 9, comma 2 del Regolamento di Livorno; articoli 13, comma 3 e 14, comma 3 dei Regolamenti di Bologna,
Trento, Cortona e Pisa)5. Tale indicazione risulta meritoria in quanto vieta, di
fatto, ogni attività che possa pregiudicare l’uso pubblico e l’accessibilità dei beni comuni.
Più nello specifico, una previsione ricorrente, di certo mutuata dall’art. 15 del Regolamento bolognese del 2014, ammette formalmente questa eventualità con riguardo alla sola rigenerazione: «il patto di collaborazione può prevedere che i cittadini attivi assumano in via diretta l’esecuzione degli interventi di rige- nerazione» (in questi precisi termini anche l’art. 15 comma 3 dei regolamenti di Trento, Cortona e Pisa; nonché l’art. 16 comma 3 del Regolamento di Chieri). Altri Regolamenti contengono previsioni più estese e complesse. Per esempio, l’art. 9 comma 2 del Regolamento veronese prevede, per ogni intervento di «cura e valorizzazione», che «le proposte di collaborazione di cui al comma 1 indicheranno nel patto di sussidiarietà se sia attribuita in via diretta ai cittadini attivi o al Comune l’esecuzione degli interventi previsti». Ancora più espliciti e ampi risultano l’art. 12 comma 4 del Regolamento di Torino e l’art. 9 comma 4 del Regolamento di Livorno, recepiti quasi integralmente nell’art. 9 comma 4 del prototipo Labsus 2018: in questi casi i cittadini attivi possono assumere in via diretta «la realizzazione, la manutenzione, il restauro, la riqualificazione di beni mobili e immobili» (in questi termini il testo torinese).
5 Secondo l’art. 9 comma 2 del prototipo Labsus 2018, «i cittadini attivi non possono in alcun modo realizzare attività o interventi che contrastino con la fruizione collettiva dei beni oggetto dei patti di collaborazione di cui al comma 1, pena l’annullamento del patto di collaborazione da parte del Comune». Tale previsione risulta in linea con quanto previsto dai modelli di patto elaborati a Torino nell’ambito del progetto Co-City: sono qualificate come eventi che implicano l’avveramento di condizione risolutiva «condotte e modalità di svolgimento delle azioni concordate che costituisco- no forme di uso privativo e/o di irragionevole esclusione dalla fruizione collettiva del bene comune urbano». Per maggiori dettagli si rinvia al capitolo 8.
La realizzazione in via diretta di interventi da parte dei cittadini attivi assume, in concreto, due forme specifiche che occorre ora prendere in considerazione. Anzitutto quasi tutti i Regolamenti, con le previsioni sopra menzionate, si limitano a prevedere che i cittadini attivi affidino interventi e lavori più consistenti a terzi: di ciò si occupa il prossimo paragrafo. In secondo luogo, alcuni Regolamenti comunali risultano più avanzati, contemplando esplicitamente che «ove possibile, sono ammessi lavori in autocostruzione. In tal caso gli Uffici competenti devono verificare la qualità dei materiali e delle opere» (art. 12, comma 6 Regolamento di Torino, da cui è tratta la citazione; ma rileva anche l’art. 9, comma 4 del Re- golamento di Livorno): uno dei prossimi paragrafi sarà dedicato anche a questa peculiare attività (5.6).
In caso di realizzazione in via diretta di opere su un bene comune da parte dei cittadini attivi è necessario che gli interventi prospettati siano concordati e vagliati con l’amministrazione comunale: ciò è certamente ragionevole, in quanto l’ente locale è di regola proprietario del bene oggetto del patto di collaborazione ed è quindi corretto che, pur senza svilire l’autonomia civica della cittadinanza, sia d’accordo con l’esecuzione di un certo intervento. Inoltre si applicherà, na- turalmente, la disciplina edilizia. Per procedere con gli interventi concordati, i cittadini attivi dovranno per esempio dotarsi dei titoli abilitativi di volta in volta richiesti in considerazione della portata delle opere programmate. In ogni caso, in considerazione della complessità della materia edilizia sembra auspicabile che i comuni mettano a disposizione opuscoli e materiali informativi, redatti con un approccio casistico ed esemplificativo. I soggetti che intendono attivarsi nei confronti di un bene comune urbano potrebbero così conoscere, in maniera semplice e immediata, quali incombenze procedurali dovranno sostenere per poter compiutamente realizzare i propri progetti di rigenerazione.
Un’ultima precisazione di ordine terminologico è opportuna. Come si è visto, i Regolamenti prendono in esame le questioni appena presentate facendo rife- rimento a possibili attività – manutenzione, restauro, riqualificazione – oppure usando termini come “interventi” e “opere”, che sono di portata generica e risul- tano mutuati dalle normative edilizie. Ciononostante, per meglio comprendere tutti gli aspetti di disciplina che riguardano gli interventi direttamente realizzati dai cittadini attivi nei confronti di un bene comune appare preferibile il ricorso a categorie provenienti dal diritto privato e caratterizzate dalla maggiore precisione tecnica: come infatti si vedrà nel paragrafo 5.7, fare riferimento a “miglioramenti” e “addizioni” permette di risolvere più facilmente i problemi connessi al destino delle opere realizzate dai cittadini attivi.