NELL’INTERPRETAZIONE DELL’ART. 2051 C.C.
1. Premessa.
Le vicende tormentate che sin dall’entrata in vigore del codice del ’42 hanno accompagnato – e, per certi versi, continuano tutt’oggi ad accompagnare – la fattispecie di responsabilità per danni da cose in custodia e che riguardano il suo inquadramento nel sistema generale degli illeciti, la sua natura, nonché la perimetrazione dei suoi elementi costituitivi, sembrano essere preconizzate già dalla Relazione al codice del 1942. Ivi1 il Ministro Guardasigilli, dopo aver constatato la particolare disciplina della responsabilità “inerente alla relazione del soggetto con [le] cose”, dichiarava di non voler palesare alcuna presa di posizione circa la “giustificazione” – id est, la natura ed il fondamento – che l’art. 2051 c.c. può avere, “per scegliere quella che sembra meglio persuasiva”. Ci si limitava solo a rilevare che “non può ritenersi operante il principio della pura causalità”, sulla base della considerazione per cui “anche quella dottrina, che, nel caso di danno di cose o animali, riteneva di potere parlare di responsabilità obiettiva, ammetteva come prova liberatoria il caso fortuito, il fatto di un terzo del quale si debba rispondere e la colpa dello stesso danneggiato.”
Le parole della Relazione appena evidenziate introducono icasticamente questa parte della ricerca relativa al momento interpretativo ed applicativo ad opera della giurisprudenza, in quanto ne anticipano le possibili linee direttrici, ma anche le difficoltà incontrate e le incongruenze manifestate.
Vedremo, infatti, che il dato applicativo ha paradigmaticamente mostrato come possano essere invocate diverse giustificazioni e qualificazioni per la responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., le quali poi, con un tipico effetto domino, si riverberano su tutti gli elementi della fattispecie.
La negazione dell’operatività della pura causalità, affiancata al riconoscimento che anche la dottrina della responsabilità oggettiva operava sulla prova liberatoria, non può dirsi un
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chiaro criterio ermeneutico (ancorato ad una obiettivata voluntas legis e) idoneo ad escludere la configurabilità della responsabilità oggettiva nella norma in esame. Del resto, ragionando a contrario, nulla avrebbe impedito al Guardasigilli di dichiarare espressamente che l’art. 2051 c.c. rappresentava un’ipotesi di illecito per colpa (anche solo presunta), al pari della previsione generale di cui all’art. 2043 c.c.; eppure, nessun riferimento in questo senso è contenuto nella Relazione.
L’analisi del fenomeno giurisprudenziale, peraltro, sembrerebbe confermare la suggestione secondo cui il diritto della responsabilità civile ha una “natura sostanzialmente giudiziale”2.
Si provvederà all’inquadramento delle tesi sposate dalla giurisprudenza sulla fattispecie di danni da cose in custodia, anticipandosene sin d’ora notevoli divergenze ed oscillazioni3
. Si è scelto di concentrare l’analisi sulle pronunce della Suprema Corte di legittimità4
, che comunque rappresentano lo status quo di tutto il formante giurisprudenziale, palesando gli approdi su quali poi le stesse correnti dei giudici di merito, prima o dopo, si sono adeguate. Inoltre, la ricerca ha riguardato, in maniera approfondita e sistematica, le pronunce dei giudici di legittimità degli ultimi 35 anni, per un duplice motivo: da un lato, restringere l’ambito temporale ha consentito di meglio approfondire i dati a disposizione, riservando un tempo notevole della ricerca; dall’altro, fino agli anni Settanta del secolo scorso, cioè per i primi decenni di vigenza del codice, le nuove istanze che la società manifestava, idonee ad una lettura rinnovata della fattispecie e delle quali inizialmente solo la dottrina era cassa di risonanza, non avevano fatto breccia nel formante giurisprudenziale. Di conseguenza, quest’ultimo non è stato inizialmente interessato da una temperie ermeneutica tale da dar luogo al percorso tortuoso ma anche ricco di spunti utili ed interessanti di ricerca – e quindi affascinante e faticoso nella sua ricostruzione al contempo – come quello preso in esame.
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S. RODOTÀ., Il problema della responsabilità civile, cit., p. 30. L’a., tuttavia, riteneva che la giurisprudenza non si fosse dimostrata sensibile alle nuove esigenze, in ciò cogliendo “la ragione profonda della scarsa attenzione dei civilisti per i problemi della responsabilità. Non fu soltanto la suggestione di certi modelli, dalla grande autorità tradizionale o reputati tecnicamente perfetti, a far da ostacolo: quella, se mai, fu la conseguenza o l’inconsapevole giustificazione di un preciso limite culturale.”
3 A proposito delle oscillazioni della giurisprudenza sui danni da cose in custodia, in G.G. GRECO, D.M.
PASANISI, B. RONCHI, I danni da cose in custodia, cit., p. 18 viene sottolineato come “quello della natura giuridica rappresenta sicuramente uno degli aspetti più dibattuti della responsabilità ex art. 2051 c.c.”. Le divergenze di giurisprudenza e parte considerevole della dottrina si manifestano in frequenti oscillazioni tra interpretazione in termini soggettivi ed oggettivi (quest’ultima caratterizzata da una pluralità di posizioni variegate).
4 E quindi di non considerare la massa alluvionale del dato pretorio relativo alle Corti di merito, la cui mole
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Per ragioni di completezza, in ogni caso, si darà atto delle prime – e inizialmente univoche – concezioni giudiziali sul punto.
I dati giurisprudenziali raccolti sono stati organizzati per essere approfonditi secondo una prospettiva che guarda dapprima alle considerazioni sul caso fortuito, quale elemento che l’analisi della normativa vigente ha mostrato essere il fulcro intorno al quale ruota l’intera considerazione della fattispecie. Le concezioni sul fortuito, infatti, si ripercuotono sugli altri elementi costitutivi della fattispecie, consentendo poi anche una maggiore comprensione delle posizioni sulla natura generale della responsabilità da cose, nonché sul suo fondamento.
Tutti i casi esaminati in questa parte riguardano esclusivamente situazioni in cui era coinvolto un “custode privato”. Autonoma rilevanza verrà riservata alle ipotesi di invocata responsabilità ex art. 2051 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione, che saranno approfondite nel capitolo successivo, ritenendole funzionali a rappresentare una sorta di banco di prova dei risultati raggiunti e delle tesi proposte. Il prosieguo dell’analisi consentirà di comprendere il perché di una simile differenziazione: il formante giurisprudenziale, più o meno consapevolmente e/o implicitamente, ha mostrato nel tempo una sorta di (formalmente ingiustificato) “trattamento speciale” per la P.A. rispetto ai privati sulla portata della disciplina ritenuta applicabile.
I casi riguardanti l’invocata responsabilità da cose in custodia nei confronti di privati, in ogni caso, sono statisticamente di gran lunga inferiori rispetto a quelli che vedono coinvolto il custode pubblico; inoltre, il cammino pretorio sul punto si è mostrato meno incerto e si è sviluppato attraverso “fasi ermeneutiche” meno complesse e contraddittorie.
2. Il caso fortuito.
2.1. Nozione oggettiva: incidenza sul nesso causale ed irrilevanza del comportamento del custode.
Secondo la giurisprudenza ormai prevalente della Corte di legittimità, il caso fortuito – elemento della fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. che, ove accertato, consente la liberazione del custode da responsabilità – è un fattore estraneo alla sfera di condotta del custode stesso ed idoneo ad interrompere il nesso causale tra la cosa e l’evento dannoso.
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Esso “non attiene al comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno”5; “inserendosi nel processo causale al di fuori di ogni possibile controllo umano,
rende inevitabile il verificarsi dell’evento, ponendosi come l’unica causa efficiente di esso”6.
Conseguentemente, in tema di ripartizione dell’onere della prova, all’attore spetterà di provare l’esistenza del rapporto eziologico tra le cosa e l’evento lesivo; sarà il convenuto, per liberarsi, a dover fornire la prova dell’esistenza del fortuito, quale fattore causale esclusivo del danno ed estraneo alla cosa7.
Il presente orientamento considera il caso fortuito alla stregua di un elemento strutturale oggettivo, coerentemente con la stessa tesi, parimenti oggettiva, sulla natura della responsabilità da cose in custodia. Come la fattispecie di cui all’art. 2051 si fonda “non già su un comportamento o un’attività del custode, ma su una relazione intercorrente tra questi e la cosa dannosa”8
, così anche il fortuito non attiene ad un contegno del custode, ma al profilo meramente obiettivo dei fatti, nella catena evenemenziale dei quali solo ciò che rompe il nesso di collegamento eziologico tra cosa e danno può costituire prova liberatoria.
2.2. Nozione soggettiva: assenza di colpa.
Di diverso avviso è l’indirizzo pretorio che, traendo linfa dall’adesione – più o meno velata – alla tesi della responsabilità da cose come forma di colpa presunta, inquadra il caso fortuito alla stregua dell’assenza di colpa.
Secondo tale orientamento, il caso fortuito non consisterebbe in un fattore esterno, o comunque estraneo alla sfera di custodia, interruttivo del nesso di causalità, ma nella dimostrazione, da parte del custode (in applicazione del principio di “vicinanza della prova”), di aver posto in essere, in maniera diligente e adeguata alla natura della cosa, tutte le attività di controllo, di vigilanza e di manutenzione gravanti su di lui in virtù di norme specifiche e del principio generale del neminem laedere. Qualora il custode dovesse
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Cass. civ., sez. III, 20 maggio 1998, n. 5031 in Giust. civ. Mass., 1998, p. 1080; in Danno e resp., 1999, n. 2,
p. 209 e ss..
6 Cass. civ., sez. III, 08 gennaio 1981, n. 170, in Giust. civ. Mass., 1981, 1. 7
Cfr. Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2003, n. 15656, in Danno e resp., 2004, p. 615; conformi Cass. civ., sez. III 04 febbraio 2004, n. 2062; Cass, civ, sez. III, 16 gennaio 2009, n. 993; Cass. civ., sez. III, 20 luglio 2002, n. 10641, delle quali il testo integrale è rinvenibile in Banca Dati De Jure.
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riuscire a dimostrare le suddette circostanze, il sinistro verificatosi non potrà essere ascritto a sua colpa ed egli potrà andare esente da responsabilità9.
Invero, parallelamente al progressivo abbandono della tesi sulla presunzione di colpa da parte della giurisprudenza, i giudici non si riferiscono più apertamente al fortuito come ipotesi di mancanza di colpa; più esattamente, essi preferiscono richiamare il concetto di “possibilità o meno di custodia”, la quale però comunque è intesa in termini soggettivi, cioè più come dovere di custodire che come relazione (di diritto e di fatto) con la cosa. Così, se la situazione di pericolo deriva dalle caratteristiche intrinseche della cosa, sarà difficilmente configurabile la prova liberatoria del fortuito, che potrebbe però comunque sussistere in alcune particolari circostanze10; viceversa, nell’ipotesi in cui l'evento dannoso si sia verificato a causa di alterazioni dello stato della cosa repentine ed imprevedibili, tali che il custode non abbia potuto tempestivamente attivarsi per “rimuover[le], nonostante l'attività di controllo e la diligenza impiegata al fine di garantire la tempestività dell'intervento”, potrà allora dirsi integrato il caso fortuito11
.
Occorrono un paio di precisazioni circa l’indirizzo appena richiamato, che si è sviluppato recentemente e che negli ultimi anni si sta accreditando sempre di più, trovando consensi via via più estesi presso i giudici della Suprema Corte.
Innanzitutto, esso si riferisce per lo più ad ipotesi di coinvolgimento di un “custode pubblico” (o al più di un custode privato di un bene pubblico)12
in situazioni di danno: esse sono astrattamente riconducibili all’art. 2051 c.c. e, come meglio si vedrà infra, fanno sorgere i maggiori dubbi e contrasti interpretativi sulla fattispecie de qua.
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Cfr. Cass. civ., sez. III, 02 febbraio 2007, n. 2308, in Dir. Giust. online, 2007. Detta prova non era stata fornita, nel caso di specie, dal concessionario autostradale, che è stato ritenuto responsabile per i danni causati da un cane che si trovava sulla carreggiata senza che se ne conoscessero i motivi e l’origine della presenza.
10 Secondo Cass. civ., sez. III, 03 aprile 2009, n. 8157, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, p. 584, “ai fini del giudizio
sulla prevedibilità o meno della repentina alterazione della cosa, occorre aver riguardo, per quanto concerne i pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa, al tipo di pericolosità che ha provocato l'evento di danno e che, ove si tratti di una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto e agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato.”
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Cass. civ., sez. III, 24 febbraio 2011, n. 4495, in Giust. civ. Mass., 2011, 2, p. 293. Nella fattispecie la S.C. ha cassato la sentenza di secondo grado che, in applicazione dell'art. 2043 c.c. piuttosto che dell'art. 2051 c.c., aveva ritenuto il fondo stradale ghiacciato un evento imprevedibile ed infrequente in una giornata invernale soleggiata.
12 Comuni, Regioni, altri enti locali più in generale, enti gestori di autostrade ecc. L’orientamento sul fortuito
come prova di non colpevolezza ha reso necessario il riferimento ai casi coinvolgenti il custode pubblico, rispetto al quale si era anticipata l’intenzione di dedicare un apposito spazio di analisi: ciò in quanto è ormai tendenzialmente escluso questo tipo d’inquadramento nei riguardi dei custodi privati (o comunque non di beni pubblici). Si iniziano già a intravedere quei segni di disciplina differenziata cui poc’anzi si accennava.
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In secondo luogo, assume una certa rilevanza in questo contesto la nozione di pericolosità della cosa. Essa non dovrebbe essere inquadrabile quale elemento strutturale della fattispecie; tuttavia, nell’indirizzo in esame, è invocata dai giudici per la determinazione della possibilità per il custode di evitare il fatto dannoso. È stato però anche fatto presente13 che la nozione di pericolosità, pur dichiaratamente presa in considerazione dai giudici, è stata utilizzata come presupposto giustificativo di dichiarazioni di principio tra loro divergenti, rinvenendosi piuttosto il punto nodale delle decisioni nella effettiva idoneità del comportamento del danneggiato a porsi come fattore determinante nella produzione del danno.
Dalle sentenze esaminate14, sotto questo ulteriore profilo, emerge l’utilizzazione della pericolosità nelle sentenze come strumento idoneo ad incidere sui fatti rilevanti della norma: così, il fortuito è inquadrato in una nuova prospettiva ed è considerato come fattore operante non (più) obiettivamente sul fatto dannoso, ma sulla possibilità per il custode di evitarlo o meno15.
La rilevanza nella struttura della fattispecie dell’elemento del fortuito si sposta dal profilo oggettivo dell’evento a quello soggettivo del comportamento del custode.
2.3. Imprevedibilità e inevitabilità; il problema dell’adeguatezza rispetto al fortuito oggettivo.
Peraltro, anche il primo orientamento poc’anzi considerato (che interpreta il fortuito in chiave oggettiva) corre il rischio di un inopinato mutamento di prospettiva allorquando, in un numero notevole di sentenze, vengono individuate le caratteristiche del caso fortuito stesso nell’imprevedibilità ed inevitabilità.
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V. amplius par. 3 di questo Capitolo.
14 Cfr., ex multis, Cass. civ., sez. III, 13 luglio 2005, n. 14749, in Giust. civ. Mass., 2005, p. 7-8; Cass. civ., sez.
III, 18 luglio 2011, n. 15720, in Resp. civ. e prev., 2012, 2, p. 519 con nota di E. Balucani; Cass. civ., sez. III, 03 aprile 2009, n. 8157, in Giust. civ. Mass., 2009, 4, p. 584: quest’ultima enuncia emblematicamente il seguente principio di diritto: “la disciplina di cui all’art. 2051 c.c. è applicabile, in relazione alle strade aperte al pubblico transito, in riferimento alle situazioni di pericolo connesse alla struttura o alle pertinenze della strada, essendo peraltro configurabile il caso fortuito in relazione a quelle provocate dagli stessi utenti ovvero da una repentina e non specificamente prevedibile alterazione dello stato della cosa che, nonostante l’attività di controllo e la diligenza impiegata allo scopo di garantire un intervento tempestivo, non possa essere rimossa o segnalata, per difetto del tempo strettamente necessario a provvedere. Ai fini del giudizio sulla prevedibilità o meno della repentina alterazione della cosa occorre aver riguardo, per quanto concerne in particolare i pericoli derivanti da situazioni strutturali e dalle caratteristiche della cosa medesima, al tipo di pericolosità che ha provocato l’evento di danno che, ove si tratti di una strada, può atteggiarsi diversamente, in relazione ai caratteri specifici di ciascun tratto ed agli eventi analoghi che lo abbiano in precedenza interessato.”.
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