DELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART 2051 C.C.
4. Il nesso di causalità tra la cosa e il danno.
Perché sorgano gli effetti risarcitori ai sensi dell’art. 2051 c.c., è necessario che la cosa sia
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R. SCOGNAMIGLIO, voce Responsabilità civile, cit., p. 644, ritiene che la terminologia “governo della cosa” esprima felicemente il concetto di custodia “quale potere effettivo e dinamico sulla cosa di chi la tiene per sé”, evitando di incorrere nei medesimi errori di chi cerchi una definizione più particolareggiata ed esaustiva, finendo però con il rappresentare soluzioni parziali e non adeguate ala generalità dei casi. L’a., infatti, afferma che “la terminologia [di custodia] non possiede uno specifico significato giuridico, e l’art. 2051 c.c. non fornisce alcun elemento in tal senso; mentre non può seriamente prospettarsi un dovere di sorveglianza della cosa nei confronti di tutti. Ed invero, secondo la tendenza dominante, la custodia va intesa, piuttosto, come un rapporto di fatto; che, nelle diverse concezioni, assume di volta in volta il contenuto ampio ed indifferenziato della posizione di controllo - il potere-dovere di sorvegliare la cosa perché non arrechi danno; o della potestà di direzione - ma rimane da stabilire quale sia il significato dell’attività direttiva della cosa; o dell’uso, espressione da un lato abbastanza significativa per il riferimento alla relazione di chi si avvale della cosa per i suoi fini, ma dall’altro un po’scolorita e generica (se la si estenda ad ogni forma di partecipazione all‘uso, o ancora la si commisuri all’idea del profitto, laddove può darsi che il custode non trae alcun lucro dalla cosa); o infine al criterio dell’assunzione e controllo del rischio, che di nuovo non trova alcun solido appoggio nel testo della legge.”
193 Cfr., in questo senso, c. SALVI, op. cit., p. 1228, secondo cui “la funzione della norma, di imputare la
responsabilità a chi si trovi nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, porta a escludere che custode sia necessariamente il proprietario in quanto tale, o chi sì trovi al momento del fatto dannoso in una relazione diretta la con la cosa, e per ciò solo o chi tragga da essa vantaggio; bensì il soggetto che di fatto ne controlli le modalità di uso e di conservazione, e abbia pertanto - come si usa dire - il governo della cosa”.
194 In tal senso, M. FRANZONI, L’Illecito, cit., p. 477, sottolinea che “l’art. 2051 c.c. non impone alcun obbligo
al custode. Lo vincola soltanto al risarcimento dei danni, qualora dalla cosa siano derivati pregiudizi a terzi; inoltre. Il dovere di controllare e di vigilare sulla cosa non comporta mai la nascita di una prestazione di fare. […]”.
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stata causa efficiente del danno prodotto: nella fattispecie considerata, tale elemento del fatto è espresso dal sintagma “danno cagionato”, evidentemente indicativo del nesso di causalità tra cosa e danno.
La questione del nesso di causalità è uno dei temi classici del diritto, tipica materia in cui si intersecano esperienze e conoscenze di diverse branche della cultura giuridica. In questo caso, l’apporto più notevole è senza dubbio quello della dottrina penalistica196
, che ha da sempre approfondito le questioni sottese alla causalità, dal momento che il collegamento eziologico tra fatto tipico offensivo e soggetto è uno dei presupposti indispensabili perché si integrino i presupposti del reato.
Analogamente, il diritto civile si è interessato della causalità proprio nella materia della responsabilità civile: il nesso causale tra fatto dannoso ed i vari criteri d’imputazione della responsabilità è elemento costitutivo del fatto-danno da cui poi sorgono gli effetti risarcitori in capo al soggetto qualificato come responsabile dall’ordinamento.
La peculiarità della causalità nel settore della responsabilità civile risiede nel fatto che, a seconda della fattispecie tipica considerata, essa si atteggia con qualche sfumatura differente rispetto alla sua configurazione generale. Quest’ultima, infatti, è ritagliata sull’ipotesi centrale del sistema della responsabilità civile: l’art. 2043 c.c. prevede il nesso eziologico tra un “fatto doloso o colposo”197
e il “danno ingiusto che si produce”.
Tradizionalmente, s’intende sussistente il nesso di causalità tra comportamento di un soggetto ed evento lesivo prodotto allorquando, per il principio di adeguatezza, il secondo può considerarsi “normale conseguenza” del primo in base allo “stato della scienza e della tecnica”198
.
Così inquadrata, la nozione di causalità è stata da sempre considerata quale frutto del contemperarsi reciproco di due principi-teorie. Il primo è quello della condicio sine qua
non, detto anche equivalenza delle concause, secondo il quale “costituisce causa ogni
singola condizione in difetto della quale l’evento non si sarebbe verificato”199
.
196
Tra i testi classici in materia, che a loro volta presentano una ricostruzione di tutte le teorie sulla causalità nel diritto penale, oltre a numerosi riferimenti bibliografici, si rimanda in particolare ad F. ANTOLISEI, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Padova, 1960 (ristampa dal 1934), nonché a G. FIANDACA, voce Causalità (rapporto di), in Dig. Disc. Pen., Torino, II, 1988, p. 119.
197
Volendo adoperare le opportune precisazioni secondo una corretta impostazione fenomenologica, il “fatto” di cui all’art. 2043 c.c. in realtà va correttamente qualificato ed individuato quale comportamento dell’uomo.
198
P. PERLINGIERI, Manuale di Diritto Civile, ESI, 2014, p. 895; A. TORRENTE, P. SCHLESINGER, Manuale di Diritto Privato, cit., p. 820.
199
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Il secondo è quello della causalità adeguata, che contempera il precedente richiedendo l’accertamento che l’evento lesivo prodotto sia “conseguenza ordinaria o normale della condotta”200
.
Nella responsabilità civile201, dunque, occorre stabilire una relazione probabilistica tra fatto e danno, per questo l’accertamento della causalità oscilla tra due criteri: da un lato, la ricerca del collegamento tra fatto e danno; dall’altro, i limiti da porre alla serie causale, tendenzialmente infinita 202. In concreto, mentre il primo criterio è espressione della teoria della condicio sine qua non e conduce ad un accertamento ex post, volto cioè a verificare, una volta prodottosi il danno, se questo possa essere considerato conseguenza del “fatto”203, il secondo criterio, ispirato al principio di adeguatezza, funge da “correttivo” di
idoneità causale, consentendo di accertare, con una valutazione ex ante204, se effettivamente, immaginando con un esperimento mentale di condurre l’indagine ancor prima del verificarsi dell’evento dannoso, quest’ultimo potesse essere cagionato dal “fatto” così come si è sviluppato205.
I principi che ispirano tale modus operandi dell’accertamento del nesso di causalità nell’ambito della responsabilità civile sono effettivamente diversi da quelli sottesi alla tutela penalistica. Nel diritto civile non operano esclusivamente i principi sanzionatori dell’autore dell’illecito; piuttosto, si affiancano a questi finalità riparatorie e inibitorie. Non essendo l’unica finalità della responsabilità civile quella di sanzionare l’autore del fatto
200
C. SALVI, op. cit., p. 1252; F.D. BUSNELLI, voce Illecito, cit., p. 16.
201
E diversamente dalle concezioni penalistiche: nel sistema penale, infatti, il giudizio di causalità deve essere fondato su un grado di credibilità razionale talmente elevato da essere “prossimo alla certezza” (come rammenta la nota sentenza Franzese della Cass. penale, Sez. Un., 10 luglio 2002, n. 30328, in Dir. Giust., 2002, 35, 21, per non rischiare di condannare ingiustamente una persona. Inoltre, nel campo della responsabilità penale “il problema si incentra nel collegamento tra condotta umana ed evento, mentre l’ulteriore rapporto tra il fatto (reato) e le conseguenze dannose viene considerato come un rapporto di mera accidentalità, per le cui conseguenze si rinvia alle leggi civili”: così F.D. BUSNELLI, voce Illecito, cit., p. 16).
202 In tal senso ibidem, secondo cui il secondo criterio non sarebbe altro che una “seconda fase”, la quale si
sostanzia “nella ricerca del collegamento giuridico tra il fatto e le conseguenze dannose, e nella determinazione dei limiti da porre alla serie (tendenzialmente infinita) di tali conseguenze.”
203 Che sarà un comportamento dell’uomo perfettamente imputabile, ovvero la condotta di un soggetto
incapace d’intendere e di volere, ovvero un fatto prodotto da un oggetto animato (animale) o ancora da una cosa inanimata, in base alla fattispecie tipica di responsabilità che rileva.
204 M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 96, osserva cha tale accertamento successivo è fondamentale, “poiché
non sembra corretto seguire il principio della condicio sine qua non senza limite alcuno.”
205
G. BELLI, La responsabilità oggettiva, in La responsabilità civile, 2011, 5, p. 375, si riferisce al concetto di “normalità statistica” per l’accertamento del nesso di causalità tra la cosa e l’evento, con riferimento all’art. 2051 c.c.; si tratta di un’espressione che condensa l’idea del contemperarsi reciproco delle due teorie suddette. Così l’a. esemplifica la sua idea: “essendo prevedibile che chi scende da una scala scarsamente illuminata e con alcuni gradini dissestati possa cadere, c’è rapporto di causalità tra la scala dissestata e la caduta effettivamente avvenuta.”
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dannoso, anche la disciplina della causalità risente di tale ispirazione. Anzi, in questo ambito è preminente la funzione riparatoria206, con un’evidente posizione di favor per il danneggiato.
Come precedentemente osservato, l’accertamento del nesso causale presenterà particolari sfumature e peculiarità con riferimento alle singole ipotesi di responsabilità civile.
Nell’ipotesi normativa oggetto del presente studio, l’accertamento del nesso eziologico è condizionato alla verifica della “partecipazione della cosa” nella produzione del danno da risarcire: occorre chiedersi se la res “possa ritenersi causalmente idonea a fondare la responsabilità del custode per i danni da essa derivati, oppure se […] abbia costituito il semplice mezzo del quale si è servita un’autonoma azione pregiudizievole, di per sé capace di produrre il danno.”207
Opererà, anche in questo caso, un contemperamento tra le regole della condicio (accertamento ex post208) e quelle dell’adeguatezza causale (valutazione ex ante)209.
L’onere della prova della riconducibilità causale dell’evento di danno alla cosa incombe sul danneggiato. Detto onere potrà intendersi assolto anche qualora si sia potuto ricorrere a presunzioni per accertare la sussistenza del nesso causale tra res ed evento. Anzi, il ricorso ad esse nella fattispecie ex art. 2051 c.c. si rivela particolarmente utile ed appropriato, dal momento che non può essere accertata una “condotta della cosa” idonea a produrre il danno; sarà l’intero contesto di fatto a dover essere valutato ed alcune peculiari circostanze
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Sempre M. FRANZONI, op. ult. cit., p. 96, osserva a tal proposito: “mediante il risarcimento del danno, in conseguenza di ciò, la posizione centrale nel sistema è assunta dalla vittima è non dal responsabile: ed è nell’interesse della vittima garantire che l’evento di danno sia causalmente imputabile a qualcuno, così da consentirle di ottenere il risarcimento. […] Seppure discutibili, queste decisioni riflettono il favor per la vittima.”
207
Cfr. ivi, p. 97. L’a. osserva come un corretto accertamento dell’operare delle regole causali consente anche di risolvere il problema della pericolosità della cosa. Se infatti manca in un caso concreto la prova del nesso di causalità, la cosa declassa a mera occasione del danno, sicché la pericolosità non è requisito ineludibile della fattispecie. Semmai, qualora “le cose siano state obiettivamente pericolose, questa loro particolare qualità costituisce una modalità del fatto desumibile dal rapporto causale, non già un elemento essenziale dell’illecito per danno da cose in custodia.”
208
Invero, qualche autore, se non si intende male, non esplicita in questi termini le regole di accertamento causale, pur dimostrando, nei fatti, di aderire alle tesi c.d. “temperate”. G.G. GRECO, Responsabilità da cose in custodia della struttura alberghiera, cit., p. 575 , ad esempio, si riferisce alla necessità della sola valutazione ex post sulle modalità di verificazione dell’evento dannoso, mostrando formalmente di aderire esclusivamente alla teoria della condicio.
209
M. PASTORE, Responsabilità del custode e uso improprio, commento a Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24804, p. 495, osserva come neanche la giurisprudenza, “in tema di accertamento del nesso causale, […] abbia raggiunto un orientamento ben definito, preferendo il più delle volte ricorrere ad una valutazione di sintesi.” Ed osserva l’a. che, in prospettiva eziologica, riemerge “il criterio della pericolosità che […] fornisce un indice presuntivo per l’accertamento dell’autonoma idoneità causale del fattore esterno.” Si affronteranno funditus gli indirizzi interpretativi della Giurisprudenza successivamente (cfr. Cap. IV e, per la peculiare ipotesi del custode pubblico, Cap. V, Sez. II, par. 2).
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consentiranno all’interprete di affermare che l’evento lesivo, così come verificatosi, è stato probabilmente cagionato dalla cosa stessa, che – come detto – non deve essere necessariamente pericolosa210.
Non si ricade nei fatti giuridicamente rilevanti dell’art. 2051 c.c. neanche se la cosa si è posta quale strumento dell’azione dell’uomo211, venendo in rilievo in tal caso altre e diverse fattispecie di responsabilità, prima fra tutte quella ex art. 2043 c.c., che richiede anche la prova della colpevolezza – da intendersi alternativamente quale contegno colposo o doloso – della condotta umana.
Se si accoglie la tesi sopra prospettata del “danno in re ipsa”212
al mero ricorrere dell’evento, allora in questa fattispecie tipica “la prova del rapporto di causalità esprime un giudizio di sintesi che si confonde con quello di responsabilità, e può essere formulato solo al termine di una valutazione sulle circostanze provate dal danneggiato”213
.
Il nesso eziologico che il danneggiato deve provare consiste nella dimostrazione della sussistenza di una causalità generica tra la cosa e il danno; la responsabilità che ne discende automaticamente viene allora ricondotta al custode della cosa, individuato secondo i criteri precedentemente individuati.
La prova del nesso di causalità nell’art. 2051 si basa “sulla dimostrazione che l’evento dannoso si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta od assunta dalla cosa considerata nella sua globalità e non nelle singole parti specificamente pericolose”214
. In definitiva, la suddetta prova è da intendersi definitivamente raggiunta se il custode-danneggiante non prova il caso fortuito215, quale elemento impeditivo del sorgere della fattispecie risarcitoria su cui ci si soffermerà immediatamente.
210
In questo caso la pericolosità gioca sì un ruolo di rilievo: non già come requisito necessario della cosa, bensì come qualità che, quanto più caratterizza la res, tanto più consente di presumerne l’idoneità a produrre danno. Nella medesima direzione, si veda G.G. GRECO, D.M. PASANISI, B. RONCHI, op. cit., p. 72: “anche nel caso in cui le cose siano state oggettivamente pericolose, a causa del loro connaturato dinamismo, questa loro peculiarità, costituisce solo una modalità del fatto desumibile dal rapporto causale, non un elemento essenziale della fattispecie di cui all’ art. 2051 c.c.”.
211
Cfr. M. COMPORTI, Fatti illeciti, cit., p. 308, secondo cui il nesso di causalità “deve intercorrere tra la cosa ed il danno, nel senso, cioè, che deve essere dimostrato che è stata proprio la cosa, di per sé, ad avere causato il danno, e non anche la cosa a porsi quale strumento dell’azione dell’uomo.”
212
Cfr. supra, par. 1.3.
213
Così M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 488.
214 Così Cass. civ., Sez. III, 22 luglio 1987, n. 6407, in Giust. civ. Mass., 1987, 7. Nella medesima sentenza, si
aggiunge che non è necessario “provare anche l’esclusione, nel concreto determinismo dell’evento, di impulsi causali autonomi ed estranei alla sfera di controllo propria del custode, e, quindi, per lui inevitabili”.
215 Il danneggiato, quindi, è gravato dal solo onere probatorio di dimostrare che la cosa rappresentò una
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