E DANNI DERIVANTI DA COSE
2. La Lex Aquilia de damno.
2.2. Iniuria come qualificazione del danno ed elemento soggettivo (originario o sopravvenuto).
L’elemento dell’iniuria era previsto dal primo e dal terzo caput della Lex Aquilia quale necessario requisito dell’illecito. Essa doveva evidentemente indicare un elemento diverso dall’iniuria-contumelia, che era uno dei quattro grandi delicta del diritto privato romano, volto a punire l’insulto e l’oltraggio.
52 In merito, osserva C.A. CANNATA, Sul testo della Lex Aquilia, cit., p. 53-54: “il carattere penale dell’azione
- carattere che abbiamo visto essere certo fin dall’origine - assume così una coloritura tutta speciale: si ricorre qui alla pena non tanto allo scopo di punire il reo, quanto allo scopo di soddisfare il danneggiato; e se, per far ciò, si ricorre ad una struttura penale, lo si fa in quanto una struttura reipersecutoria non è reperibile.. Prosegue l’a. sottolineando come la penalità dell’actio non sia univoco scopo punitivo della legge: esso è strumentale allo scopo risarcitorio a favore di un proprietario che non può più ottenere soddisfazioni altrimenti. Si crea un diritto soggettivo di credito che rimpiazza il diritto di proprietà perduto. Lo schema del secondo capo è in tutto e per tutto analogo: qui abbiamo un creditore che ha perso il proprio credito, e la legge gli fornisce un credito suppletivo.”
53 B. ALBANESE, voce Illecito, cit., p. 85. L’a. aggiunge che “emergendo in primo piano sempre più la
funzione risarcitoria dell’actio legis Aquiliae, fino al limite, addirittura, della responsabilità quasi automatica per ogni immaginabile danneggiamento, tanto più doveva, via via, scomparire nello sfondo l’originario carattere di maleficium di un comportamento, che ben poteva essere, come sottolineano i giuristi, frutto soltanto di levissima culpa (per non dire, addirittura, di nessuna vera culpa).”
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Se elementi strutturali dell’illecito aquiliano erano il danno (quale diminuzione patrimoniale del danneggiato) e il comportamento illecito del danneggiante, l’iniuria non poteva che rappresentare la qualificazione di uno di essi.
Difatti, il titolo dei delitti ex Lege Aquilia era quello di damnum iniuria datum, ovverosia danno cagionato “con iniuria”. Cosa i Romani intendessero per iniuria, all’epoca dell’entrata in vigore del plebiscito aquiliano e nei tempi successivi, è questione alquanto complessa; ancor più spinoso è il tentativo di rispondere all’interrogativo se essa potesse o meno – originariamente o a seguito di interpretazione giurisprudenziale successiva – essere qualificata in termini soggettivistici, cioè come momento subiettivo del comportamento dannoso da riferirsi al danneggiante.
Ciò nondimeno, un tentativo di inquadramento si rivela particolarmente utile ai fini della presente ricerca: infatti, dalla risposta ai suddetti interrogativi potrebbe discendere un argomento utile a spiegare la tendenziale assenza nella Lex Aquilia di una previsione normativa avente ad oggetto la responsabilità da cose.
Secondo una buona parte degli studiosi, l’iniuria indicava l’ingiustizia obiettiva della condotta che causava il danno, quindi l’assenza di cause di giustificazione54
; essa sarebbe dunque da intendersi in termini oggettivistici, ovverosia come elemento che qualifica il comportamento nella sua obiettiva manifestazione, “prescindendosi da qualsiasi indagine circa l’atteggiamento soggettivo dell’autore”55
.
L’iniuria, insomma, indicava un comportamento attuato “non iure in quanto privo di giustificazione alcuna fondata sul ius”56; è evidente il richiamo al tradizionale concetto di antigiuridicità, modernamente intesa57.
L’assenza di considerazione dell’elemento soggettivo è da intendersi nel senso dell’esclusione di una qualsiasi forma di indagine sulla negligenza, o sulla prevedibilità dell’evento, o ancora su un’eventuale imperizia: ciò dovrebbe valere almeno per il periodo immediatamente successivo all’entrata in vigore della Lex Aquilia58
. L’iniuria, quale antigiuridicità del danneggiamento, si configurava, dunque, indipendentemente dall’elemento soggettivo della condotta.
54
Vedi, su tutti, G. PUGLIESE, op. cit., p. 470.
55
Ivi, p. 470.
56 S. LAZZARINI, voce Responsabilità extracontrattuale nel diritto romano, in Dig. (discipline privatistiche),
XVII, Torino, 1998, p. 293.
57
È a partire da Ugo Grozio (influenzato a sua volta dalle elaborazioni della Scolastica) che il concetto di iniuria si diffuse per indicare la lesione dell’interesse protetto, nell’accezione di damnum contra ius.
58
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Successivamente, l’interpretatio giurisprudenziale iniziò a dare rilievo al momento soggettivo, analizzando la riprovevolezza della condotta: “attraverso passaggi graduali ed articolati si giunge cioè alla consapevolezza che il danno può essere considerato iniuria
datum sia se è voluto sia se è imputabile ad una condotta che possa qualificarsi come
negligente, imperita o imprudente.”59
Il testo della Lex Aquilia, infatti, parlava solo di iniuria, non di culpa: tuttavia, questa nozione fu “introdotta”, quale requisito dell’illecito, a partire verosimilmente dall’età repubblicana60, “per stigmatizzare la condotta non giustificabile e, quindi, rimproverabile”61, del danneggiante.
Si trattò di un’operazione graduale, scaturita dall’esigenza di superare il carattere meramente obiettivo dell’iniuria. Il concetto di culpa andò ad individuare e definire “il profilo della illiceità propria dell’iniuria, determinandola in un ambito più limitato, della riprovevolezza soggettiva.”62
La prova di tale interpretazione evolutiva sarebbe già rinvenibile in Ulpiano63, il quale richiama la “doppia accezione” del requisito dell’iniuria laddove sostiene che essa rilevi “si culpa quis occideris”, ma al contempo osserva che “quod non iure factum est, hoc est
contra ius”.
L’iniuria aquiliana, dunque, “è rappresentata come un comportamento antigiuridico produttivo di danno, colorato soggettivamente dalla culpa”64.
Tale processo dovette presumibilmente concludersi già in età repubblicana65.
59
G. PUGLIESE, op. cit., p. 472.
60
Cfr. C.A. CANNATA, Sul testo della Lex Aquilia, cit., p. 41.
61 P. CERAMI, La responsabilità extracontrattuale dalla compilazione di Giustiniano ed Ugo Grozio, in in AA.
VV., La responsabilità civile da atto illecito nella prospettiva storico-comparatistica, op. cit., p. 112. Ricorda l’a. in proposito che secondo Q. Mucio Scevola culpa est quod, cum a diligente provideri poterit, non esset provi sum (in Paul D. 9, 2, 3, 1). Ed i giuristi classici valutavano questa possibilità di provideri in modo rigoroso. Per questo Ulpiano (D. 9, 2, 44 pr.) affermò che in lege Aquilia et levissima culpa venit.
62
C.A. CANNATA, Genesi e vicende della culpa aquiliana, in Labeo, 1971, p. 17. Rileva, tuttavia, G.I. LUZZATTO, op. cit., p. 615, che pur potendosi affermare l’introduzione, attraverso l’interpretazione giurisprudenziale della casistica della legge Aquilia, del criterio soggettivo di una responsabilità per colpa, questo rientrerebbe in “una valutazione considerata obiettivamente, e sempre con riferimento al caso concreto particolare. Qualsiasi generalizzazione, e qualsiasi nesso con le diverse gradazioni di responsabilità soggettiva, che trovano la loro espressione nella diligentia dei compilatori, pare assolutamente da escludere”.
63 D. 9, 2, 5, 1. 64
M.F. CURSI, op. cit., p. 32, che intende il termine culpa in senso generale, comprensivo anche del dolo, tanto che diventano fungibili le espressioni damnum iniuria datum e damnum culpa datum.
65 Di diverso avviso G. LONGO, voce Lex Aquilia de damno, cit., p. 799, secondo cui furono i compilatori a
80
La doppia portata definitoria del medesimo termine induce a ritenere che i due concetti – cioè di condotta antigiuridica e di colpevolezza – non fossero del tutto sganciati l’uno dall’altro nell’interpretatio prudentium. Tanto un comportamento posto in essere non iure implicava già di per sé la sussistenza di profili di colpevolezza, quanto l’elemento soggettivo della colpa racchiudeva “una sfumatura di antigiuridicità”66.
Ci si chiede, a questo punto, quale sia stata la spinta propulsiva per questa trasformazione ermeneutica dell’iniuria. Forse, un processo evolutivo simile si sarebbe potuto giustificare in vista di un allargamento delle istanze di tutela.
Interessante, a tal proposito, si rivela la tesi secondo cui, applicando letteralmente il requisito dell’iniuria (e ritenendola, quindi, mera contrarietà obiettiva al diritto), sarebbero rimaste sguarnite di tutela tutte quelle situazioni in cui la sussistenza di una causa di giustificazione avrebbe impedito – o quantomeno reso meno probabile – l’applicazione della norma aquiliana67.
In altri termini, qualora un comportamento colpevole – nel senso di imprudente, imperito, negligente, ovvero anche intenzionalmente orientato – avesse arrecato danno a taluno, la presenza di una eventuale causa di giustificazione avrebbe impedito di punire il danneggiante, perché faceva venir meno l’antigiuridicità obiettiva. I Romani però ritennero che, anche in queste situazioni, da un lato il danneggiato meritasse tutela, dall’altro il danneggiante meritasse una poena. Ciò li indusse ad attribuire rilievo alla riprovevolezza della condotta, facendo emergere la nozione di culpa.
Ecco spiegata la radice della subiettivizzazione dell’iniuria, che divenne così “point of
contact” – secondo una felice espressione del Beinart68 – con la nozione di culpa. Qualora un’ipotetica causa di giustificazione avesse fatto venir meno l’antigiuridicità, comunque la sussistenza dell’iniuria veniva “recuperata” grazie alla nozione ampia di culpa, nel cui alveo rientravano tanto il dolo quanto la negligenza e che superava l’oggettività del torto, grazie anche alle sue diverse gradazioni, facendo rimanere in piedi il delitto di damnum
iniuria datum.
66
M.F. CURSI, op. cit., p.18. Secondo l’autrice, “la vicenda della graduale emersione della dall’iniuria [ha] avvicinato, non solo storicamente ma anche dogmaticamente, le due nozioni. Ed è esatto […] il rilievo che l’agire culpa racchiuda in sé necessariamente una sfumatura di antigiuridicità, così come l’agire iniuria implica una condotta riprovevole.”
67
Se ne parla Ivi, pp. 4-5: l’esigenza di superare il carattere meramente obiettivo del torto – proprio dell’iniuria - si sarebbe sviluppata “in quelle ipotesi nelle quali la presenza di una causa di giustificazione avrebbe reso dubbia l’applicazione della norma aquiliana, avrebbe portato ad attribuire rilievo alla riprovevolezza della condotta e a far emergere la nozione di culpa.”
68 La tesi è rinvenibile in B. BEINART, The relationship of iniuria and culpa in the lex Aquilia, in Studi in onore
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Tuttavia, v’è anche chi sostiene che il requisito dell’iniuria indicasse sin dall’origine dell’operatività del delitto di damnum iniuria datum, quindi dall’entrata in vigore della Lex
Aquilia, tanto l’obiettiva antigiuridicità della condotta, quanto la colpevolezza del
danneggiante69. La coloritura in chiave soggettivistica non sarebbe, in pratica, frutto dell’evoluzione prodotta dall’interpretatio giurisprudenziale, ma sarebbe stata richiesta sin dall’inizio ai fini della sussistenza del delitto da parte del plebiscito aquiliano.
Secondo il Binding70, il termine iniuria non descriveva la mera antigiuridicità (Rechtswidrigkeit), ma indicava, già nel pensiero più antico, la volontà di offendere il proprietari della cosa danneggiata, manifestando così una valenza intrinsecamente soggettiva. Nella medesima direzione, il Segrè71 riteneva che sin dall’origine dell’applicazione della lex Aquilia fosse necessario individuare un momento soggettivo ai fini dell’imputabilità dell’agente, muovendosi al di là dei confini del mero nesso causale72
. Se così fosse, la dottrina maggioritaria non avrebbe rilevato il vero profilo del valore dell’iniuria aquiliana: essa sarebbe “al tempo stesso la modalità soggettiva di realizzazione del danno, nell’espressione damnum iniuria datum, sinonimica di damnum culpa datum; e il danno stesso, o per meglio dire il comportamento dannoso concepito nel suo momento effettuale: iniuriam hic damnum accipiemus culpa datum.”73
Tale duplice profilo si potrebbe anche palesare, per un verso, considerando la difficoltà in cui si incorrerebbe qualora si volesse determinare concettualmente il nesso causale sganciandolo da un momento soggettivo della condotta dell’agente; per altro verso, sulla base dell’analisi della casistica. I Romani, “con quell’aderenza al caso concreto che è tipica del loro modo di procedere”74, non potevano non tenere in considerazione il particolare
69 Secondo M.F. CURSI, op. cit., p. 85 , invece, “la lettura nel senso di antigiuridicità o assenza di cause di
giustificazione deriva dal confronto con le diverse nozioni che il termine iniuria avrebbe assunto in ambiti di applicazione che appaiono decisamente diversi da quello in questione. E proprio questa distanza induce a dubitare della legittimità di una simile operazione.” L’a. argomenta in questa direzione sulla base della “significativa testimonianza” del commento alla Lex Aquilia di Ulpiano: egli, affrontando proprio il problema dell’interpretazione del termine iniuria, sarebbe approdato alla conclusione della originaria coincidenza dell’iniuria aquiliana con la culpa, ovvero con il damnum culpa datum.
70
La tesi è sostenuta da K. BINDING, Die Normen und ihre Ubertretung, II, Leipzig, 1916, 2, p. 48.
71
Cfr. G. SEGRÈ, Le obbligazioni e le azioni ex delicto, Torino, 1925.
72 Le norme aquiliane, infatti, “oltre i requisiti obiettivi dell’alienità della cosa, della distruzione o
deterioramento arrecato alla cosa, [accennavano] anche alla necessità che il fatto [avvenisse] iniuria (Gai., 3, 210, 217), alludendo ad un momento suriettivo.” Così G. CRIFÒ, voce Illecito, cit., p. 162.
73 M.F. CURSI, op. cit., p. 94. L’a., per corroborare la propria tesi, osserva come Ulpiano non distingua i due
profili legati all’iniuria: il danneggiamento realizzato con culpa è iniuria sia perché commesso con un contegno psicologico colposo, sia perché quest’ultimo crea a sua volta un danno che è un’iniuria.
74 Così M. TALAMANCA, voce Colpa civile (storia) - diritto romano e intermedio, in Enc. Dir., VII, Milano,
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aspetto soggettivo della condotta dell’agente, che permetteva l’imputazione del danno appunto all’autore della condotta.
Sembrerebbe, dunque, che il duplice valore del lemma iniuria non debba essere assolutizzato, sganciando due profili – culpa e damnum, inteso quale comportamento dannoso – che sono distinguibili teoricamente, si completano reciprocamente “perché è impensabile un danno aquiliano che non sia realizzato colposamente e viceversa una culpa aquiliana che non si riferisca ad un danno.”75
Così stando le cose, ben più agevolmente si spiegherebbe l’assenza di qualsivoglia esplicita fattispecie di responsabilità oggettiva, cioè che colpiva il danneggiante non in colpa, nell’ambito del delitto aquiliano.
La tesi precedentemente descritta, che vede l’elemento della colpevolezza emergere solo in tempi successivi e grazie all’interpretatio dei prudentes, è ritenuta il frutto dell’influenza delle concettualizzazioni moderne da chi, invece, sostiene l’ultima opzione considerata, vale a dire l’originaria coloritura soggettivistica dell’iniuria. I presupposti dell’individuazione dell’iniuria come comportamento non iure non sarebbero desumibili dai testi e finirebbero con l’essere il portato di un’interpretazione condizionata da schemi successivi ed estranei alla cultura giuridica tipica dei Romani, sicché “l’interpretazione corrente dell’iniuria aquiliana in termini di antigiuridicità contrapposta alla colpevolezza [si configura], con ogni verisimiglianza, [come] il frutto della sovrapposizione di categorie dogmatiche moderne sulle fonti antiche.”76 Viepiù, l’accezione in termini esclusivamente oggettivistici del termine iniuria sarebbe addirittura il frutto di una “scelta” dei Commentatori. Avendo tale termine un’accezione “promiscua”, idonea a descrivere tanto i criteri di imputabilità soggettiva quanto l’antigiuridicità del comportamento, ne derivava non solo una certa complessità semantica, ma anche qualche rischio di equivoci. Per questo
Aquilia (già in Gai. 3, 211) rende molto improbabile che i romani volessero indicare con culpa l’imputabilità sulla base del nesso di causalità, il quale indubbiamente ricomprende anche il danneggiamento doloso.”
75
M.F. CURSI, op. cit., p. 143. L’a., che in una parte del lavoro argomenta sulla duplicità di valore del termine iniuria, dopo aver passato in rassegna le fonti che testimonierebbero tale tesi e sostenuto la modernità del concetto di antigiuridicità in termini oggettivi, finisce col ritenere (p. 272) che l’accezione soggettiva di iniuria - testimoniata dai giuristi classici - sia in realtà originaria, dal momento che non vi sarebbero “dati positivi per giustificare l’ipotesi di un primitivo valore oggettivo della nozione nella lex Aquilia.”
76
Ivi, p. 83. L’a. osserva oltre (p. 284) come le suddette ricostruzioni abbiano il pregio di ricondurre il discorso il più possibile alle categorie romane, “liberandolo dalle sovrapposizioni di modelli concettuali a questi estranei, emersi solo successivamente, nella tradizione continentale e in quella anglosassone.” Inoltre, il danno aquiliano è studiato e considerato non isolatamente, ma all’interno del complessivo sistema romano degli illeciti e del suo sviluppo storico. Tutto ciò conduce, mi sembra, non solo a ravvisare una complementarità tra iniuria e damnum iniuria datum, ma anche a riconoscere la loro comune dipendenza dalle logiche arcaiche della famiglia patriarcale.”
83
i giuristi successivi iniziarono ad utilizzare maggiormente i termini culpa77 e dolus78, tendendo ad evitare l’espressione iniuria.
Quest’ultima, col tempo, venne completamente eliminata dalle espressioni consuete, oppure usata in senso meramente obiettivo come qualificazione del damnum. Si sviluppò, così, la tendenza a considerare l’iniuria in senso oggettivo, ritenendola un mero attributo del damnum: tale habitus interpretativo fu però il prodromo per una graduale cancellazione dell’iniuria, poiché gradualmente divenne sufficiente, ai fini dell’accertamento della responsabilità aquiliana, sussistente il danno, verificare la colpevolezza della condotta che lo avesse cagionato attraverso le categorie della culpa e del dolus79.
Conseguentemente, essendo scomparsa dagli Umanisti in poi, l’iniuria, una volta recuperata dai giuristi successivi, primo tra tutti Grozio, non era più sovrapponibile alla
culpa, a dispetto dal suo originario significato80.
In definitiva, secondo l’ultima tesi descritta, l’identità tra iniuria e culpa era originaria nella Lex Aquilia ed era ben nota ai Romani fino agli Umanisti: antigiuridicità e riprovevolezza della condotta si condizionavano vicendevolmente, sussistendo l’una solo in presenza dell’altra e viceversa. Tale rapporto venne superato solo successivamente81
.
77
Per l’azione civile, meramente reipersecutoria.
78 Usato per lo più rispetto all’azione criminale. 79
M.F. CURSI, op. cit., p. 46, sottolinea come, per i giuristi romani, iniuria e culpa erano entrambe qualificazioni del comportamento dannoso: la condotta era antigiuridica in quanto colpevole e viceversa. I medievali e gli umanisti avrebbero perpetuato questo schema, portando l’interconnessione tra le due nozioni alle estreme conseguenze: il riferimento all’iniuria aquiliana poté quindi essere eliso - in quanto ambiguo - e sostituito dalle espressioni culpa e dolus, apparendo inconcepibile una condotta colpevole che non fosse allo stesso tempo antigiuridica. Quest’ultimo passaggio, però, fece sì che l’iniuria venisse gradualmente cancellata, a tutto vantaggio di una nozione di culpa che ormai qualificava da sola il comportamento dannoso.
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Aveva ormai conquistato una certa indipendenza concettuale, assumendo l’ampio significato di ingiustizia, nel senso di situazione lesiva di interessi.
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Addirittura, secondo una particolare specificazione della suddetta tesi, l’interpretazione estensiva della giurisprudenza in materia di illecito aquiliano fu volta non già ad introdurre l’elemento soggettivo - che è elemento originario dell’illecito aquiliano -, bensì ad estendere la rimproverabilità alla colpa, laddove in origine la Lex Aquilia prevedeva degli illeciti esclusivamente dolosi. Tale singolare tesi è sostenuta da M.F. CURSI, op. cit., p. 279-280, secondo cui “l’inserimento del termine iniuria nel testo della Lex Aquilia dovette rappresentare un elemento di indubbia novità. L’aver subordinato la tutela al dolo del danneggiante - inteso come volontà di danneggiar avendo la consapevolezza di offendere il dominus della res - costituì forse per la giurisprudenza lo spunto per ampliare la portata dell’elemento soggettivo. Sul finire dell’età repubblicana, al dolo si affiancò la culpa.” Da questo percorso evolutivo deriverebbe il progressivo affiancamento dell’iniuria alla culpa: non perché in origine la prima non indicasse un elemento soggettivo, ma perché tale elemento era inizialmente solo il dolo. Questa ipotesi consente di immaginare una vicenda più lineare della graduale identificazione dell’iniuria con la culpa.. Ma in definitiva, il criterio di responsabilità individuato dalla lex Aquilia è unitario, ed è il dolo.. Così, diventa più probabile l’ipotesi che i giuristi romani abbiano elaborato la nozione di culpa non inventando la responsabilità oggettiva, ma - in armonia con la loro funzione di interpretes - rielaborando le valenze soggettive dell’iniuria sino a ricondurvi, oltre al dolo, la culpa.” Contrariamente a tale opinione, però, C.A. CANNATA, Sul testo della Lex Aquilia e la sua portata
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In ogni caso, sia che l’elemento soggettivo rappresentasse il frutto di evoluzione giurisprudenziale, sia che fosse originario – ed in tale ultima ipotesi, a prescindere se originario fosse solo il dolo o anche la colpa –, il suo limite era costituito dal casus, da intendersi come assenza di comportamento volontario per l’ipotesi di crimina e delicta in cui occorreva il dolo82; pertanto, in queste ipotesi anche la culpa era considerata casus83. Qualora, invece, fosse stata sufficiente per l’imputabilità la mera culpa, quale condotta imprudente, imperita o negligente, il casus avrebbe dovuto essere caratterizzato da imprevedibilità in presenza di una condotta accorta ed avveduta.
Provando a trarre qualche (sia pur timida) conclusione circa la portata definitoria ed applicativa del requisito dell’iniuria sin qui esaminato, anche al fine di individuare utili elementi d’indagine per la prosecuzione della ricerca, sembrano percorribili due traiettorie ermeneutiche.
Secondo l’impostazione da ultimo analizzata, l’iniuria aveva una doppia accezione sin dall’entrata in vigore della Lex Aquilia: per un verso, essa individuava il nesso di causalità