DELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART 2051 C.C.
5. Il limite del caso fortuito.
5.3. Fatto del terzo, fatto e concorso del danneggiato, causa ignota.
Il caso fortuito, quale evento interruttivo del nesso di causalità tra res e danno, non deve ovviamente concretizzarsi esclusivamente in un fatto naturale, ma può essere costituito da un fatto del terzo. Con tale espressione si intende qualsiasi comportamento posto in essere da un soggetto diverso, tanto dal danneggiato quanto dal custode, che si connoti per l’idoneità, alla luce delle regole causali, a produrre il danno. Qualora sia accertato che il fatto sia stato posto in essere da un terzo, ma quest’ultimo rimanga ignoto, il caso fortuito potrà dirsi comunque verificato.
Anche il fatto dello stesso danneggiato può concretare un’ipotesi di caso fortuito, qualora si riveli idoneo ad interrompere il nesso causale tra cosa ed evento dannoso. L’interruzione del nesso causale è dovuta, in questo caso, alla colposità della condotta del danneggiato. Naturalmente, accogliendo un’impostazione oggettivistica del fortuito, andrà considerata la rilevanza causale del comportamento del danneggiato; non si darà rilievo alcuno ad
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esigenze para-sanzionatorie nei confronti di quest’ultimo, qualora non abbia posto in essere un atto effettivamente idoneo a costituire la causa efficiente del danno260.
Anche l’ipotesi in cui il comportamento colposo del danneggiato abbia solo contribuito alla produzione del danno, senza tuttavia configurarne la causa esclusiva, diviene rilevante, in virtù dell’art. 1227 c.c.: non si tratta di una vera ipotesi di caso fortuito, quanto piuttosto di una precisa scelta legislativa di diminuire la portata del risarcimento, dovuta alla necessità di dare rilievo agli interessi del custode, ritenuti anch’essi meritevoli di tutela al verificarsi della fattispecie descritta dalla disposizione citata.
Essa prevede, al primo comma, che “se il fatto colposo del creditore ha concorso a cagionare il danno, il risarcimento è diminuito secondo la gravità della colpa e l'entità delle conseguenze che ne sono derivate.” Il verbo “cagionare”, utilizzato dal codice, rimanda immediatamente ai criteri della causalità di cui si è già detto analizzando gli elementi costitutivi della responsabilità in esame. Tale argomento letterale consente di ritenere che non ci sia un principio sanzionatorio sotteso alla norma in analisi, altrimenti si sarebbe dato maggiore risalto al grado di colpa del danneggiato. Piuttosto, si tratta di un’ipotesi in cui, sulla base di esigenze di giustizia equitativa, si ritiene di venire incontro agli interessi del custode, la cui res a lui vicina e da lui “governata” non è stato il solo fattore causalmente idoneo a produrre il danno.
Ad influire sulla quantificazione del risarcimento non sarà dunque la colpa del danneggiato, bensì il fatto da lui posto in essere, considerato nella sua materialità261.
Potrebbe ritenersi che la norma richieda una “valutazione comparata dei rispettivi apporti del responsabile e del danneggiato” nella produzione del danno, “perché si possa giungere ad una equilibrata considerazione (e ripartizione262 tra le parti del danno)”263.
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Scrive C. SEVERI, op. cit., pp. 1473-1474: “in questi casi il custode viene esonerato da responsabilità quando venga ravvisato il caso fortuito nel comportamento colposo della vittima, ossia quando la cosa svolga solo il ruolo di occasione dell’evento tanto da essere svilita a mero tramite del danno in effetti provocato da una causa ad essa estranea, che ben può essere integrata dallo stesso comportamento del danneggiato: in tale caso si verifica il cosiddetto fortuito incidentale, idoneo ad interrompere il collegamento causale tra la cosa ed il danno.”
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Cfr. M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 110, che osserva: “in sostanza, la ratio della prima parte dell’art. 1227, comma 1, c.c. non è quella di una norma nella quale la colpa, in quanto determina la responsabilità, influisce anche sulla entità del risarcimento, ma quella di una norma che pone a carico del danneggiato il danno al quale egli stesso ha concorso a cagionare. Sicché il criterio di imputazione, retto dalla colpa, perde il significato proprio di elemento dell’illecito, per assumere quello di requisito materiale ed oggettivo dell’azione, da affiancare al rapporto di causalità.”
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P. LAGHEZZA, Concorso di cause tra solidarietà e frazionamento, commento a Trib. Civ. di Bari, 12 dicembre 2013, in Danno e resp., 2014, 8-9, 855, affronta il tema nella interessante prospettiva del c.d. “apporzionamento causale”, quale metodo ricostruttivo della verificazione di un evento che “riconquista prepotentemente la scena nell’ipotesi in cui parte del danno sia riconducibile ad una causa (umana o non
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Questa ricostruzione è ormai consolidata ed ha preso il sopravvento rispetto a quella contraria, fondata sul principio di così detta autoresponsabilità, secondo cui era necessario quasi “sanzionare” il danneggiato, al di là dell’effettivo contributo causale che essa avesse fornito nella produzione dell’evento dannoso, sol perché la sua condotta era macchiata da colpa264.
Concludendo l’analisi normativa del caso fortuito, merita una breve considerazione la nozione di causa ignota, anche per alcune suggestioni che sembrano confermare la tesi sopra esposta sulla nozione del fortuito oggettivo depurato dai requisiti di imprevedibilità ed inevitabilità, ma connotato dall’estraneità. L’art. 2051 c.c. non contiene alcun espresso riferimento alla causa ignota; tuttavia la Relazione al codice specifica (al n. 794) che essa non configura un’ipotesi di fortuito, non essendone piena dimostrazione e mancando, pertanto, dei requisiti necessari ai fini dell’efficacia liberatoria.
Essa è una circostanza ben diversa dalla mancanza della prova del rapporto di causalità, che comporterebbe il mancato perfezionamento del fatto originatore degli effetti risarcitori. Una volta che il danneggiato dimostri la sussistenza del nesso causale tra res ed evento, al custode della cosa non resta che provare il caso fortuito. Poiché però questo è un elemento positivamente individuato, estraneo alla cosa e al custode ed autonomamente nella
umana) imputabile al danneggiato. La Corte dovrà, in questo caso, accertare la sequenza causale in cui siano confluite più concause imputabili ai diversi soggetti (fra i quali vi è anche la stessa vittima), dovrà quindi distinguerne i diversi apporti causali e valutarne la rispettiva incidenza sul danno aggregato; quest’ultimo verrà, infine, scomposto in due componenti, quello riconducibile a responsabilità della vittima e quello riconducibile a responsabilità degli altri danneggianti, a loro volta legati al vincolo della solidarietà. La somma algebrica delle due componenti risultanti dall’operazione di frazionamento causale, costituirà infine il quantum del danno risarcibile.”
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Così A. BENEDETTI, La responsabilità da cose in custodia tra prova liberatoria e condotta del danneggiato, commento a Cass. civ., Sez. III, 22 settembre 2009, n. 20415, in Danno e resp,. 2010, 5, 464.
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A tal proposito, A. LEONARDI, Responsabilità della Pubblica Amministrazione per insidia stradale: dall’insidia e trabocchetto alla c.d. prevenzione bilaterale passando per la responsabilità oggettiva, in Resp. civ. e prev., 2014, 4, p. 1135, osserva che “si è ormai ragionevolmente acquisita, almeno da parte della giurisprudenza di legittimità, la convinzione che il concorso di colpa del danneggiato non possa essere inquadrato nell’ambito del principio di autoresponsabilità, così come invece postulato dalla dottrina tradizionale, per imporre ai potenziali danneggiati doveri di attenzione e diligenza e per indurli a contribuire, insieme con gli eventuali responsabili, alla prevenzione dei danni che potrebbero colpirli, ma vada diversamente collocato nell’ambito del principio di causalità, per cui al danneggiante non può farsi carico di quella parte di danno che non è a lui causalmente imputabile e, per converso, non può essere considerato danno risarcibile quello che ciascuno procura a se stesso.” L’autrice, successivamente, afferma come il vecchio principio di autoresponsabilità non sia comunque del tutto tramontato: di esso si serve buona parte della giurisprudenza di merito, quasi per finalità “compensative” rispetto al regime di allegazione probatoria più favorevole per il danneggiato, soprattutto qualora si consideri l’art. 2051 c.c. come ipotesi di responsabilità oggettiva. Invoca il principio di autoresponsabilità, ma si riferisce comunque ad un “contributo [del danneggiato] nella verificazione del danno”, G.G. GRECO, op. cit., p. 586. Si ritiene che l’a. si riferisca ai criteri di causalità, dal momento che invoca la nozione oggettiva del fortuito.
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produzione dell’evento, non può dirsi provato se non si fornisca la prova di una causa specifica che abbia prodotto il danno. Secondo taluno, che la causa rimanga ignota equivale a dire che non è stata data prova del fortuito265.
Forse, la causa ignota non può essere considerata fortuito perché in tal caso mancherebbe la prova della completa estraneità rispetto alla cosa in custodia, al di là della sussistenza dei requisiti della imprevedibilità, inevitabilità ed eccezionalità. A conferma di tale assunto, si osservi che, diversamente dalla causa ignota, il fatto del terzo rimasto ignoto libera il custode266: vi è in questo caso la certezza circa l’indipendenza e l’estraneità del fattore causale eccezionale ed autonomo nella produzione del danno rispetto alla cosa in custodia267.
5.4. Proposta definitoria di sintesi sulla base dei caratteri di autonomia, indipendenza ed