E DANNI DERIVANTI DA COSE
1. L’illecito civile nel diritto romano sistema generale di responsabilità extracontrattuale e nozione di danno.
Per il diritto romano1, la nozione di illecito non è dissimile da quella attualmente desumibile nel nostro ordinamento. I Romani consideravano illecito qualsiasi atto o fatto al quale l’ordine giuridico ricollegasse una conseguenza diretta a ripararne ovvero a reprimerne gli effetti2. Suoi elementi costitutivi, pertanto, erano, da un lato, un comportamento che violasse un precetto giuridico, dall’altro, la lesione di un interesse tutelato dal diritto3, patrimoniale o meno: se il comportamento dell’agente fosse stato causa della lesione prodotta4, si sarebbe conseguentemente determinata la necessità di riparare il
damnum o l’iniuria5 prodotti.
A partire dal periodo classico, l’accentramento dello Stato e la prevalenza del potere pubblico su quello privato determinarono una forte tendenza ad assorbire gli illeciti nell’area del diritto penale. Tuttavia, dal momento che un buon numero di fattispecie di illecito erano previste per tutelare i privati, si verificò una sovrapposizione ed un
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Si è consapevoli dell’ampiezza e della fumosità del concetto di diritto romano. Non si tratta di un sistema giuridico storicamente ben definito in un preciso arco temporale; anzi, gli stravolgimenti e le diversissime forme di governo e di struttura politico-istituzionale che hanno caratterizzato la storia di questo popolo a partire dalla fondazione di Roma e fino alla caduta dell’Impero d’Occidente (date convenzionalmente individuate rispettivamente nel 753 a.C. e 476 d.C.), rendono questo periodo ultramillenario difficilmente unificabile sotto qualsiasi profilo. Tuttavia, vi sono alcuni tratti peculiari della cultura giuridica tipicamente romana che si sono mantenuti nel tempo, resistendo ai cambiamenti ed assurgendo ad elementi strutturali tipicamente identificativi. Ad essi ci si riferirà d’ora in poi allorquando si parlerà genericamente di diritto romano.
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Vedi G. CRIFÒ, voce Illecito (diritto romano), in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 154.
3 Cfr. Ulp., D., 39, 2, 26. 4
G. CRIFÒ, voce Illecito (diritto romano), cit., p. 154, osserva in proposito che per qualificare illecito un atto occorrono: la violazione di una norma che si concreta in un comportamento contrario al diritto; la lesione di un interesse tutelato dal diritto, patrimoniale o meno; un nesso causale tra il comportamento di chi agisce e la lesione prodotta.
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Sul concetto di iniuria torneremo a breve, approfondendolo; si tratta di un elemento i cui confini definitori risultano determinanti per la concezione dell’illecito – ed in particolare per quello aquiliano – nel diritto romano.
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ampliamento del novero degli interessi dei privati tutelati dall’ordinamento6
: per un verso aumentarono le situazioni di concessione di azione penale privata, per altro, “in reazione a molte azioni penali, cominci[ò] ad affiorare l’idea di una funzione riparatoria del danno patrimoniale subito dall’offeso.”7
Pertanto, l’illecito di diritto romano va classificato tenendo conto sia della sanzione ad esso collegata, sia della natura dell’interesse leso8.
Si distingueva, dunque, l’illecito in penale e non penale.
Quello penale, in particolare, poteva essere pubblico o privato: nel primo caso, l’illecito si configurava quale crimen, offendeva l’intera comunità ed era soggetto a persecuzione pubblica; nel secondo caso, veniva in rilievo il così detto delictum9, disciplinato dal ius
civile e punito su iniziativa della parte lesa, che poteva così ottenere una persecuzione
privata che sfociava nell’irrogazione di una poena. Quest’ultima presentava una duplice funzione: “afflittiva per il colpevole e di riparazione del torto subito per la parte lesa.”10 I casi classici di illeciti privati puniti con azione penale si rinvengono nella nota elencazione gaiana: rapina, furtum, iniuria, damnum iniuria datum. Tuttavia, l’impulso del pretore diede vita ad altre fattispecie11 in cui l’obbligato quasi ex delicto teneri12.
La presente indagine richiede di focalizzare l’attenzione proprio sui delitti privati – e quindi sulle relative azioni –, dal momento che la loro disciplina costituisce l’antenato diretto dei sistemi moderni di responsabilità così detta extracontrattuale, nel cui alveo si colloca la fattispecie di responsabilità da cose, oggetto principale di questa ricerca.
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Cfr. G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, Giappichelli, 1998, p. 463.
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Ibidem. Nella medesima prospettiva, scrive B. ALBANESE, voce Illecito (Storia) in Enc. Dir., XI, Milano, 1970, p. 54: “è inutile precisare ulteriormente qui, per ora, quel che, del resto, avrebbe senso precisare solo in relazione ad uno specifico ordinamento. Un solo punto deve essere subito sottolineato, sebbene già chiaramente implicito in quel che s’è detto. E cioè, che il risarcimento del danno può benissimo, in linea di massima, essere assunto da un ordinamento giuridico come una pena. L’essenziale è che l’ordinamento assuma il risarcimento in funzione di afflizione, di pena cioè; e ciò emergerà dai caratteri della disciplina concreta dell’illecito. Quanto ora detto potrà risultare meglio dalla verifica storica che ci offrirà qui di seguito il diritto romano. In ogni caso, è utile fin d’ora insistere sulla circostanza che, in sé e per sé, risarcimento e pena non sono concetti che si escludono reciprocamente.”
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Cfr. G. CRIFÒ, voce Illecito, cit., p. 155.
9 Ivi, p. 160, si fa notare come, nel corso del tempo, i Romani siano poi giunti ad una equivalenza dei due
termini, con perdita del loro rigore.
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Ibidem. L’a., osserva altresì in proposito: “dal primitivo potere di vindicta, attraverso l’uso della composizione pecuniaria volontaria […] e l’eliminazione delle pene corporali, si giunse alla nascita, dall’illecito stesso, di una obbligazione diretta ad ottenere la riparazione del torto subito (poena). Ai quattro antichi delitti dell’ius civile (furto, rapina, damnum iniuria datum, iniuria), si aggiunsero poi le altre fattispecie configuranti illeciti sanzionati da azioni pretorie e che in parte rientrarono nell’elaborazione che delle fonti di obbligazione fu fatta dai compilatori giustinianei, nella figura dei quasi-delitti.”
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Raggruppate nelle res cotidianae come variae causarum figurae.
12 Cfr. G. PUGLIESE, Istituzioni di diritto romano, cit., p. 463. Non è privo di rilievo osservare che tali forme di
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Gli elementi identificativi delle azioni penali private erano i seguenti13: intrasmissibilità agli eredi della soggezione all’actio14
; nossalità, cioè possibilità per il dominus di abbandonare lo schiavo, o l’animale, o il filius familias, colpevole del delitto, alla reazione vendicativa della vittima, così sottraendosi al risarcimento del danno; cumulatività tra azione penale ed azione reipersecutoria, ovverosia diretta “alla reintegrazione patrimoniale del detrimento subito dall’offeso in conseguenza dell’atto illecito”15
.
Proprio tale pregiudizio subito dall’offeso è ciò che i Romani generalmente identificavano con il termine danno.
Questo elemento fondamentale nel sistema dell’illecito consisteva nella diminuzione patrimoniale che il danneggiato subiva in dipendenza del fatto altrui, in una stretta relazione di causa ed effetto16; esso è un concetto ben diverso da quello di mero valore della cosa danneggiata o della prestazione che non sia stata adempiuta. Né i Romani consideravano danno la privazione di un mero vantaggio economico, di un commodum o
lucrum17.
Danno non poteva essere un fatto dai contorni indefiniti, ma l’effettiva perdita sofferta dal titolare del diritto sul bene colpito18.
Tale definizione segnò il passaggio “dalla considerazione della situazione subiettiva a quella delle condizioni oggettive determinatesi dopo il verificarsi dell’atto”19
.
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Ivi, pp. 464 e 466, l’a. osserva come le stesse caratteristiche si rinvengono nelle azioni penali introdotte dal pretore per una serie di atti illeciti che non rientrano nella previsione del ius civile. Ma queste azioni, diversamente da quelle del ius civile, non erano perpetue: si estinguevano dopo un anno.
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Che però venne meno nel periodo giustinianeo, quanto alla possibilità di esperirla contro gli eredi del reo che si fossero arricchiti. Solo l’actio iniuriarum rimase strettamente personale.
15 G. PUGLIESE, op. cit., p. 465. 16
Vedi in tal senso L. BOVE, voce Danno (diritto romano) in Noviss. Dig. it., V, Torino, 1960, p. 143.
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Cfr. G. CRIFÒ, voce Illecito, cit., p. 154.
18 Vedi G. CRIFÒ, voce Danno (Storia) in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, p. 617. L’a., a ben vedere, precisa in
proposito che “il termine damnum assume nelle fonti giuridiche romane una gran quantità di specificazioni, è collegato a molti sinonimi e contrari e, come accade di molti termini relativi a concetti fondamentali del diritto, non sempre esprime perfettamente le varie possibilità concettuali. Né, purtroppo, tali possibilità, o almeno quelle di fondo, possono essere chiarite da una accertata etimologia di damnum, mancando in proposito la sicurezza: v’è chi giura, infatti, sulla derivazione di dare, di cui costituirebbe una forma participiale, v’è invece chi la nega in modo reciso, escludendo che damnum dare sia figura etimologica, e v’è chi propone a sua volta una radice da, legare che in effetti renderebbe ragione di espressioni alquanto antiche […] e che consentirebbe di affermare che damnum (così come noxia) in precedenza non aveva alcun collegamento con l’idea di danneggiamento, ma avrebbe significato piuttosto vincolo, obbligatorietà, da cui solo in un secondo tempo si sarebbe sviluppato il senso di perdita.”
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Così L. BOVE, voce Danno (diritto romano), cit., p. 143. La condizione del soggetto danneggiato veniva osservata dalla prospettiva del detrimento patrimoniale da questi effettivamente subito in conseguenza di un evento che non rientrasse nel corso ordinario delle cose (quest’ultima espressione è di S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, Barbera, 1908, 2 ediz., II, p. 156, che specifica ulteriormente il concetto in questi termini: secondo i Romani una persona subisce un danno quando ha una perdita patrimoniale che, secondo il corso ordinario delle cose, non avrebbe dovuto fare.
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Essendo risarcibile solo l’effettiva diminuzione patrimoniale, nell’alveo del danno risarcibile non potevano rientrare i così detti danni morali. “In conclusione, può dirsi che il danno – che obbliga al risarcimento – consiste in una diminuzione del patrimonio altrui per un fatto illecito sicché il risarcimento relativo deve essere valutato con riferimento a questa diminuzione, che il diritto prende in considerazione, e non esclusivamente considerando il valore venale della cosa danneggiata o della prestazione non eseguita, mentre il fondamento dell’obbligo di risarcire è nell’illiceità del comportamento del danneggiante.”20
In stretto rapporto di interdipendenza con il danno è il concetto di interesse per i Romani: infatti, è proprio l’id quod interest, comprensivo sia del danno emergente che del lucro cessante, che consente di determinare la misura del risarcimento21.
I concetti di illecito, danno, risarcimento e interesse si influenzano e si delimitano reciprocamente.
Un atto determinava la punibilità di chi lo avesse posto in essere se compiuto in violazione di un precetto giuridico. Ma la poena, per i delitti privati, non consisteva necessariamente in un’obbligazione risarcitoria: quest’ultima sorgeva solo allorquando si verificasse un danno – ovverosia una diminuzione patrimoniale effettiva – per l’individuazione del quale era necessario volgere lo sguardo all’interesse del soggetto leso.
In definitiva, se fondamento dell’obbligo di risarcire era un comportamento illecito, concretamente gli effetti costitutivi dell’obbligo risarcitorio si producevano solo in presenza del danno-diminuzione patrimoniale, che si determinava avendo riguardo all’interesse del danneggiato. In questo quadro riassuntivo emergono già chiaramente i prodromi di quelle linee direttrici che condurranno con l’evoluzione giuridica alle concezioni moderne in materia; ciò porta a concentrarci sulla lex Aquilia, nella quale, come si vedrà, era contenuto il termine damnum (nel III capo, in particolare), la cui accezione coincide con quella appena descritta.