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Segue Responsabilità da cose: attività del custode tra controllo e uso nel proprio interesse.

FIGURA DEL CUSTODE IN FRANCIA E GERMANIA

1. Responsabilità extracontrattuale e danni da cose nell’ordinamento francese.

1.5. Segue Responsabilità da cose: attività del custode tra controllo e uso nel proprio interesse.

La responsabilità per danno da cose in custodia è disciplinata dal primo comma dell’art. 1242 cod. civ., secondo il quale “si è responsabili non solo del danno dovuto ad un proprio fatto, ma ancora di quello causato da un fatto delle persone delle quali si deve rispondere, o delle cose che si hanno in custodia.” Si tratta della norma di apertura della disposizione richiamata, quindi anche di quello che si è inquadrato come sotto-sistema di responsabilità oggettiva, diverso da quello per colpa di cui alla fattispecie generale ex art. 1240 cod. civ.; essa individua una serie di ipotesi in cui si è tenuti a rispondere per danni derivanti da un “fatto non proprio”. Nella sua sinteticità, detta norma sembrerebbe prevedere ben due fattispecie, espresse in termini alquanto ampi, sì da far queste ipotesi come generali.

La loro genericità ha destato in taluno56 il dubbio che esse possano avere un’effettiva portata normativa, piuttosto che un valore meramente programmatico e di anticipazione di quanto nei commi successivi dello stesso articolo, nonché negli articoli successivi, il legislatore avrebbe previsto57. Così, il danno derivante da fatti di persone di cui si debba rispondere anticiperebbe i commi da 4 a 7 dell’art. 1242; laddove l’espressione sui danni da cose in custodia rimanderebbe all’incendio di cui ai commi 3 e 4 dello stesso articolo, al danno cagionato da animali (art. 1243) e da rovina di edifici (art. 1244).

Se non si aderisce a questa singolare tesi, allora il primo comma dell’art. 1242 cod. civ. ha natura direttamente prescrittiva e prevede ipotesi di responsabilità certamente operanti in maniera autonoma nel sistema, sebbene dotate di una portata generale, tale da abbracciare diversi casi concreti in esse sussumibili.

Vi saranno situazioni, allora, di danni cagionati da soggetti dei quali un altro abbia la responsabilità a vario titolo, formalmente non rientranti nelle ipotesi di responsabilità di genitori, maestri, committenti, insegnanti, artigiani, ma che, grazie alla disposizione in analisi, non restano prive di effetti giuridici risarcitori, quindi sguarnite di tutela per gli eventuali ed incolpevoli danneggiati.

Discorso analogo vale per quei danni derivanti “da cose” che nulla abbiano a che vedere con gli incendi, o con gli edifici in rovina, o ancora con gli animali.

Proprio sul danno da cose in custodia concentreremo la nostra attenzione.

La richiamata generalità si riflette sull’individuazione degli elementi costitutivi della fattispecie: il danno, genericamente indicato, rileva se commesso in violazione di un diritto

56 Dubbio, peraltro, non estraneo finanche agli stessi compilatori del Code Civil. 57

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del danneggiato o di una norma posta a sua protezione, coerentemente con l’operazione di selezione degli interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento. Manca qualsiasi riferimento alla colpa, o ad una generica (in)osservanza di doveri di diligenza. Elementi della fattispecie sono solo il danno derivante “da cose” e l’imputabilità di detto danno al custode delle stesse.

Non si riscontra neanche un riferimento ad una prova liberatoria; sicché, interpretando secondo criteri sistematici e teleologici la disposizione, l’unica possibilità per il custode di liberarsi consiste nella dimostrazione che il fatto, per ipotesi di caso fortuito o di forza maggiore, non possa essere direttamente e causalmente riconducibile alla cosa.

Inoltre, la stessa nozione di custodia è un concetto normativo “da riempire”: la determinazione dei suoi confini definitori è operazione di grande importanza ai fini della determinazione del soggetto responsabile, quindi dello stesso criterio di imputazione. Vediamo come la cultura giuridica francese ha interpretato la norma nel corso dei due secoli di vigenza del Code.

Dopo l’opera di Laurent58

– che fu il primo a mettere in dubbio il principio della responsabilità colposa – nonché grazie all’elaborazione da parte di Josserand e Saleilles59 della teoria del rischio60, oggi gli studiosi sembrano convergere nel considerare la responsabilità du fait des choses inanimées come regola indipendente, che dispensa la vittima dal provare la colpa del custode. Quest’ultimo può liberarsi solo provando il caso fortuito (o forza maggiore61), non la propria assenza di colpevolezza. Si tratta di una conclusione raggiunta dopo molte esitazioni e interpretazioni intermedie62 volte a stemperare la notevole portata di questo principio di responsabilità oggettiva.

Le dinamiche reali dei fatti giuridicamente rilevanti, nel tempo, hanno fatto constatare che non è sempre possibile riscontrare una colpa dell'agente laddove vi sia un evento di danno meritevole di tutela risarcitoria: ciò, tuttavia, non può far concludere per l’esclusione di una qualunque forma di responsabilità, sol perché si è accertato che non v’è colpa alcuna. Se così fosse, si determinerebbe un sacrificio ingiustificato di estese categorie di soggetti lesi.

58 Che aveva condensato il suo pensiero nell’opera Principes de droit civil, Bruxelles-Parigi, 1878, XX, p. 691. 59

Cfr. L. JOSSERAND, Cours de droit civil positif français, cit..

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Teoria che si è accreditata a tal punto da consentire al rischio di affiancare, senza soppiantarlo, il principio della colpa nel sistema della responsabilità civile.

61

Vedi, in proposito, P. TRIMARCHI, op. cit., p. 199, che rileva come in Francia al limite della responsabilità per il danno da cose si dia indifferentemente il nome di caso fortuito o di forza maggiore.

62 Sostiene una tesi intermedia P. ESMEIN, Traitè Planiol-Ripert, Parigi 1952, p. 883, che riferisce di un

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Si osserva, dunque, come fosse ormai “assolutamente necessario porre rimedio alle conseguenze del l'uniforme applicazione del principio nessuna responsabilità senza colpa, così sfavorevoli per le vittime dell'evento dannoso”63, proprio seguendo la via ermeneutica della considerazione dell’art. 1242 cod. civ. come regola generale di responsabilità oggettiva64.

Anche la giurisprudenza, sulla base delle medesime osservazioni, iniziò a considerare un’ipotesi specifica di responsabilità la prima parte dell'art. 1242. Le prime sentenze della Corte di cassazione in tal senso individuarono il fondamento della responsabilità nel “rischio prodotto”, secondo il quale colui che si serve di una cosa dannosa deve, per compensazione degli utili che ne ricava, prendere a suo carico i danni che detta cosa rischia di cagionare. In particolare, la sentenza della Cassazione Req. 30.03.1897, D. 1897.1.43 fu innovativa e determinante sotto due aspetti: per un verso, conferì una propria autonomia e specifica rilevanza all’art. 1384 (così all’epoca numerato), fino ad allora ritenuto semplicemente norma di rimando ai successivi artt. 1385 (danno cagionato da animali) e 1386 (danno da rovina di edifici); per un altro verso, lo ritenne applicabile tutte le volte in cui una cosa, posta sotto il controllo del convenuto, cagionasse danno ad altri65.

La prova liberatoria, tuttavia, era ritenuta dalla Corte consistente nell’assenza di colpa del custode. Si trattava comunque di un primo, importantissimo passo, che spianò la strada verso un’evoluzione normativa che poi raggiunse l’impostazione oggi maggiormente accreditata.

Sebbene la prima frase dell'art. 1384 (oggi art. 1242), per gli autori del Code, avesse una funzione di mero richiamo alle disposizioni successive (dei commi seguenti dello stesso articolo o degli articoli successivi), la giurisprudenza francese iniziò presto a considerarla una fattispecie normativa autonoma, servendosene per stabilire una presunzione generale di responsabilità per i custodi delle cose inanimate che avessero cagionato un danno66.

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G. ALPA, M. BESSONE, op. cit., p. 146.

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Ibidem, si collega la necessità di tale interpretazione all’assenza dell’intervento del legislatore speciale. In ciò si manifesta un’evidente differenza tra l’ordinamento francese e quello tedesco, facilitato nella costruzione e nell’accettazione di un sistema di responsabilità oggettiva da un’estesa legislazione speciale che derogava chiaramente al principio della colpa.

65 Coeva a questa pronuncia fu anche Cass. civ., 18 giugno 1896, S. 1897.1.17, sopra già analizzata, che si era

occupata dello scoppio di una caldaia di un rimorchiatore, enunciando la nuova tesi dell’autonomia dell’art. 1384, 1 comma, cod. civ. (corrispondente all’attuale art. 1242) come specifica ipotesi di responsabilità in deroga all’art. 1382. Il custode della cosa poteva essere condannato al risarcimento sulla base di un mero vizio occulto della cosa, senza che fosse dimostrata la sua colpa.

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Per R. SAVATIER, La responsabilità da delitto nel Diritto francese e nel progetto italo-francese di un codice delle Obbligazioni, in Ann. dir. comp., 1930, 1, pp. 274-275, “il progetto regolarizza questa interpretazione, facendo della responsabilità del custode di una cosa inanimata, l'oggetto di un art. 82. Benché la

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La ragione per la quale le pronunce giudiziali non parlarono immediatamente di responsabilità oggettiva, ma di presunzione di colpa, potrebbe individuarsi nella necessaria gradualità che sottende un cambiamento ermeneutico così incisivo e che si manifesta come tipica del cammino del diritto come scienza sociale pratica67.

In ogni caso, dopo il periodo intermedio di esitazione, i giudici giunsero a non consentire più al custode di liberarsi dalla responsabilità dimostrando la sua mancanza di colpa. Egli si sarebbe potuto liberare solo provando che all'origine del danno vi era il caso fortuito o la forza maggiore.

Tale forma di responsabilità, ben più stringente di quella basata sulla presunzione di colpa, “non poteva spiegarsi che con l'influenza sussistente della teoria del rischio prodotto. Si cominciava col dire al custode di una cosa dannosa che era presunto in colpa, ma se egli dimostrava l'inesattezza materiale di questa presunzione, si manteneva ugualmente la sua responsabilità, perché, avendo posto in uso una cosa dannosa, doveva averne assunti i rischi a suo carico.”68

Ad oggi, peraltro, l’interpretazione dell’art. 1242 (già art. 1384), comma 1, in termini di responsabilità oggettiva dipende non solo dal cammino evolutivo della giurisprudenza, suffragato da una parte di dottrina, ma anche da un ulteriore (e particolarmente valido) argomento: le legge 7 novembre 1922 aggiunse al primo periodo dell’art. 1384 cod. civ. (secondo la numerazione vigente a quel tempo) la disposizione relativa al danno derivante da incendio, secondo la quale il detentore delle cose (mobili o immobili) incendiate incorre in responsabilità se viene fornita prova della sua colpa. Ebbene, il fatto che il legislatore avesse sentito l’esigenza di specificare la necessità di provare la colpa per le ipotesi di danno da incendio costituisce un fortissimo argumentum a contrario idoneo a comprovare l’evidente differenza di regime per la fattispecie di apertura dell’articolo, di cui la colpa non costituisce, a questo punto, un requisito necessario69.

presunzione stabilita da questo testo sia in parte irrefrangibile, e dia luogo in conseguenza, all'idea di rischio prodotto, accanto all'idea di colpa, essa sembra prendere autorità anche parzialmente da questa.”

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Ovvero, detta ragione potrebbe anche essere dipesa da un’altra circostanza: l’entrata in vigore della legge del 9 aprile 1898 sugli infortuni del lavoro, che accolse espressamente la teoria del “rischio prodotto”; conseguentemente, la giurisprudenza, per differenziare la materia degli infortuni sul lavoro, regolata dalla suddetta teoria, non si sentì di estendere l’ambito di applicabilità anche alla fattispecie codicistica in esame e finì per parlare, con riguardo a quest’ultima, di presunzione di colpa. Cfr. G. ALPA, M. BESSONE, op. cit., p. 193.

68 R. SAVATIER, La responsabilità da delitto nel Diritto francese e nel progetto italo-francese di un codice

delle Obbligazioni, cit., p. 282.

69

Cfr. in proposito M. COMPORTI, Fatti illeciti, cit., p. 13, che si richiama per la tesi a P. MAZEAUD, A. TUNC, Traité théorique et pratique de la responsabilité civile délictuelle et contractuelle, II, V ed., p. 112. Ad abundantiam, l’a. richiama altresì l’art. 181 del codice delle obbligazioni e contratti libanese (del 1932),

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I problemi interpretativi della responsabilità da cose in custodia non si riducono certo all’esclusione della colpa come elemento costitutivo della fattispecie. Essi attengono anche all’individuazione dei contorni di ciò che debba considerarsi “fatto della cosa” rilevante ai fini della norma in esame, così come all’inquadramento del profilo del custode.

Quanto al primo ordine di questioni, ci si è chiesti innanzitutto quando un fatto possa dirsi “della cosa” piuttosto che “dell’uomo”: allo stato attuale, dopo qualche incertezza interpretativa in seno alla giurisprudenza, si intende generalmente idonea a far sorgere responsabilità “l’azione” della cosa inanimata (intervention active), sia essa azionata o meno dall’uomo, purché non sia l’uomo stesso ad agire servendosi della cosa e purché il fatto rappresenti l’origine eziologica del danno70

.

Era stato sollevato anche un dubbio sull’applicabilità della norma alle sole cose mobili: tale dubbio venne poi risolto negativamente da dottrina e giurisprudenza71. Lo stesso può dirsi della questione sulla rilevanza o meno della pericolosità delle cose72: tale requisito avrebbe notevolmente ed ingiustamente ridotto l’applicabilità della fattispecie a diverse situazioni meritevoli di tutela73.

Resta da inquadrare il requisito soggettivo del custode, vale a dire del così detto gardien, la cui responsabilità è “collegata al controllo e all’uso nel proprio interesse della cosa”74. Normalmente, custode è il proprietario della cosa. Questi, come s’è visto, non può liberarsi fornendo una prova di non colpevolezza, ma solo di caso fortuito o forza maggiore. Ma potrà anche dimostrare che la custodia si è trasferita ad altri75. Evidentemente, custode potrà essere anche chi non è proprietario della cosa76: ma non è all’uopo sufficiente il mero

frutto di opera codificatoria di giuristi francesi, che evidentemente riflette la situazione dell’esperienza giuridica francese di quel tempo, del tutto coerente con quanto sin qui osservato. La suddetta disposizione prevede che “Il custode di una cosa inanimata, mobile o immobile, è responsabile dei danni che essa causa, anche durante il tempo in cui essa non si trovi effettivamente sotto la sua condotta, il suo controllo e la sua direzione, come ad esempio, un’automobile in marcia, un aereo durante il volo o un ascensore durante il suo funzionamento. Questa responsabilità oggettiva non verrà meno se non quando il custode abbia provato il caso di forza maggiore o la colpa della vittima; non è invece sufficiente la prova di non aver commesso alcuna colpa.”

70

Vedi Cass. civ. 19 febbraio 1941, 1, 49, citata Ivi, p. 11, insieme ad altri riferimenti bibliografici.

71

Cfr. Cass. civ. 13 febbraio 1930, in Gaz. Pal., 1930.1.676.

72

Cfr. H. e L. MAZEAUD, A. TUNC, Traitè théorique et pratique e la responsabilitè civile délictuelle et contractuelle, cit., p. 234 ss.

73 Anche se, a questo punto, v’è chi sottolinea il rischio che, una volta ultimato con convinzione il cammino

verso la responsabilità oggettiva, la giurisprudenza estenda in maniera eccessiva l’area di applicabilità della norma. Il riferimento è a M. COMPORTI, Fatti illeciti, cit., p. 10 che vede in tale interpretazione estensiva eccessiva un effetto non previsto di un percorso interpretativo sicuramente corretto nelle intenzioni iniziali.

74

P. TRIMARCHI, op. cit., p. 240.

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Cfr. Ibidem.

76 Se infatti la cosa è trasferita a titolo di comodato, locazione o affitto, custodia e responsabilità si

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trasferimento della detenzione. La custodia non è riconducibile sempre e comunque ad una delle qualifiche soggettive che mettono in relazione l’uomo e la cosa. Custode non è necessariamente il proprietario o il titolare di un diritto reale sul bene. Allo stesso modo, se la cosa è oggetto di contratto che ne disciplina il godimento in capo ad altra persona, questa non sarà automaticamente custode. Comodatario, locatario, affittuario, potrebbero infatti non essere ritenuti custodi, se chi dà in comodato, locazione, affitto la res conserva il controllo su di essa77.

Né, per ciò solo, può allora ritenersi assimilabile al custode il possessore, come soggetto che ha una relazione di fatto con la cosa. La possession francese, come il possesso italiano, è caratterizzato da due elementi costitutivi: potere di fatto e animus. Può rimanere possessore chi mantiene l’animus possidendi, pur avendo trasferito la disponibilità materiale della cosa ad un altro soggetto (detentore): ma non è detto che il possessore sia custode.

La suddetta qualifica potrebbe essere ricoperta dal detentore; ma neanche questi, a ben vedere, è considerato custode se non ha un potere effettivo di controllo sulla cosa: si pensi al mero detentore (ad esempio all’autista che accompagni in macchina il proprietario della stessa).

V’è forse un elemento di fondo che rimane costante: la rilevanza del potere di governo di fatto sulla cosa come criterio di scelta, nell’ordinamento, del soggetto su cui far ricadere la qualifica di custode e quindi la responsabilità in ipotesi di danni prodotti dalle cose. Tale potere di governo non è specificatamente collegato ad un’azione o ad un comportamento, ma è la conseguenza immediata di una serie di attività che, sulla cosa o con la cosa, il custode può svolgere, ivi compresa quella di controllo. Per questo, come alla cosa è collegato l’interesse realizzabile di chi può governare la stessa, così a quello stesso soggetto viene imputato il costo del suddetto interesse.

Esemplificativamente, un conduttore non diventa per ciò solo custode, ma occorre avere riguardo al titolo: se viene concesso in locazione un singolo appartamento, egli risponderà per i danni prodotti da questo, ma sul locatore rimarrà la responsabilità dei danni prodotti dall’intero edificio.

colui che dà la cosa in locazione o in comodato conserva il controllo su di essa: così, per esempio, nell’ipotesi locazione di autoveicolo con autista; così, ancora, nell’ipotesi di comodato, ove il comodante sia presente all’uso della cosa o abbia impartito istruzioni e imposto limiti stretti all’uso di essa.”

77 Si pensi all’ipotesi di locazione di autoveicolo con autista; ovvero, all’ipotesi di comodato, ove il

comodante rimanga presente mentre il comodatario usa della cosa; ancora, sempre in tema di comodato, ove il comodante abbia impartito istruzioni o imposto limiti stretti all’uso della cosa.

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O ancora, il comodatario può non diventare custode, se il bene oggetto di comodato non è di suo uso esclusivo, per aver ad esempio il comodante imposto limiti al godimento del bene.

Stesso discorso potrebbe valere per il lavoratore dipendente che esegua esattamente le istruzioni del datore nell’utilizzo di una macchina a lui affidata ma di proprietà di quello. In definitiva, gardien non è il proprietario, né il possessore, né il detentore, ma è un soggetto che va individuato caso per caso, in ragione del titolo giuridico e della situazione di fatto dai quali emerga con evidenza il potere di controllare la cosa e di escludere dal governo della stessa altri soggetti.

E chi può controllare la cosa meglio del soggetto che su di essa possa svolgere una serie indeterminata di azioni, condensabili nell’insieme dell’attività, il cui “costo” gli viene imputato sotto forma di responsabilità. Il custode, allora, andrà individuato in “chi è il soggetto di quella situazione di appartenenza diversa dalla proprietà, da possesso o dalla detenzione [ma che è pur sempre potere di fatto, n.d.r.], cui si accompagna il potere di escludere gli altri soggetti e la responsabilità per i danni arrecati dalla cosa.”78

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