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Tesi contrapposte sulla custodia: preciso obbligo giuridico o relazione con la cosa?

DELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART 2051 C.C.

3. Il concetto di custodia.

3.1. Tesi contrapposte sulla custodia: preciso obbligo giuridico o relazione con la cosa?

Un sicuro elemento idoneo a qualificare il rapporto di custodia è il “potere di fatto” sulla cosa; esso tuttavia deve essere meglio precisato, al fine di verificare se ad esso si affianchi anche un qualche obbligo (nella dimensione assiologia del dovere).

Di certo, il riferimento alla custodia non è inteso nell’accezione tecnica di cui al contratto di deposito, in cui essa concreta un vero e proprio obbligo (il principale) del custode, nonché la stessa funzione assiologica e causale del negozio. L’obbligo di custodire, in quel caso, è positivamente determinato e deve essere ossequiato con la diligenza del buon padre di famiglia (art. 1768 c.c.)160.

Rimane tuttavia irrisolta la questione se anche nel caso della responsabilità ex art. 2051 c.c. debba trattarsi di un preciso obbligo giuridico o di una mera relazione con la cosa.

La definizioni e le teorie nel corso del tempo sono state numerose e forniscono tutte notevoli spunti di riflessione.

È stata definita custodia “qualsiasi relazione tra la cosa ed il soggetto, tale per cui si possa ritenere che a quest’ultimo incomba un dovere di controllo sulla stessa”161

; custode, inoltre,

159 Cfr. M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 465. 160

Ancora F.D. BUSNELLI, voce Illecito, cit., p. 25 sottolinea come il mancato riferimento delle norme in questione alla nozione tecnica di custodia, quale ricorre nella definizione legislativa del contratto di deposito, sia un assunto pacifico.

161

G. ALPA, La responsabilità civile, in Trattato di Diritto Civile, a cura di G. Alpa, Milano, 1999, p. 693. Ciò comporterebbe che il custode, nell'esercizio del dovere di vigilanza, “è tenuto ad accertarsi che il bene non si trovi in situazione tale, per il dinamismo ad esso connaturato o per lo sviluppo di un agente dannoso in esso insorto per il sopravvenire di accidentali congiunture, da arrecare danni a terzi, giacché, qualora tale

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è stato ritenuto “colui che esercita un qualunque potere sulle medesime [cioè sulle cose, n.d.r.], che comporti la loro custodia”162

.

Autorevole dottrina163 si riferisce sinteticamente al “potere di effettiva disponibilità e controllo della cosa”. Sempre nell’ottica del potere, ma valorizzando un “criterio realistico di effettività”, qualcun altro ritiene assimilabile alla custodia “qualunque situazione di diritto o di fatto, che determini comunque un potere effettivo di controllo sulla res”164. Amplificando la valorizzazione dell’elemento soggettivistico del potere-dovere in queste visioni, si è anche sostenuto essere responsabile chi incorra in “colpa nella custodia”, dal momento che “la responsabilità legale discende automaticamente dalla violazione di una precisa obbligazione legale, senza che si debba valutare la condotta della persona e paragonarla a quella di un uomo normalmente prudente”165.

È evidente, in questa impostazione – che focalizza l’attenzione sulla posizione soggettiva del custode e pone l’accento sulle situazioni giuridiche di potere-dovere – l’allineamento della custodia al comportamento dell’uomo: questi sarà più o meno colpevole se avrà omesso ovvero avrà esercitato adeguatamente la vigilanza e il controllo sulla cosa166. Si comprende, dunque, come il custode debba di adoperarsi positivamente per “evitare i danni” (potere-dovere).

Aderisce a questa tesi chi propende per la natura di responsabilità aggravata della fattispecie prevista dall’art. 2051 c.c.: secondo questa impostazione, “la nozione di controllo implica una valutazione del comportamento del custode, al quale la responsabilità ex art. 2051 c.c. sarà imputata quando lo stesso sia reputato negligente, essendo da lui esigibile un comportamento che avrebbe potuto impedire il danno”167

.

Secondo un’impostazione differente, è definito custode “colui che si trovi in un determinato rapporto di fatto con la cosa, sufficiente per ritenerlo responsabile dei danni da questa causati”168. In tal modo si pone in risalto non tanto un “complesso di facoltà

evenienza sia possibile e prevedibile, egli deve adottare cautele idonee per evitare la degenerazione della situazione da pericolosa a dannosa”.

162 A. DE CUPIS, Dei fatti illeciti, in Commentario al Codice Civile, a cura di Scialoja-Branca, Bologna, 1971, p.

88. Invero, tale definizione si palesa un po’ tautologica e senza un valore esplicativo di rilievo.

163

C.M. BIANCA, Diritto Civile, V, La responsabilità, cit., p. 716.

164 M. COMPORTI, Fatti illeciti: le responsabilità oggettive (artt. 2049 - 2053), cit., p. 308. 165

Così M. COZZI, op. cit., p. 90.

166

In tal senso G.G. GRECO, D.M. PASANISI, B. RONCHI, I danni da cose in custodia, cit., p. 112.

167 C. SEVERI, La condotta del custode nella fattispecie di responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., cit., p. 1479. 168

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attribuite ad un soggetto”, quanto un criterio fattuale che consente l’imputazione della responsabilità ad un soggetto169.

Si esalta così il puro e semplice concetto di relazione di fatto, la quale può essere teoricamente inquadrata come “un’attività esercitabile da un soggetto sulla cosa in virtù della detenzione qualificata, con esclusione, quindi, della detenzione della cosa per ragioni di ospitalità o di servizio”170

.

Anche chi non condensa la figura del custode nel detentore qualificato, ma ritiene comunque di dover valorizzare il dato oggettivo della custodia intesa in senso atecnico (senza cioè alcun riferimento al comportamento del custode), osserva più semplicemente come, non rilevando al fine dell’applicabilità dell’art. 2051 c.c. il comportamento di custodia171 in senso contrattuale volto ad impedire l’ingerenza di terzi sulla cosa, né il fatto che il custode tragga utilità dalla cosa custodita, “la responsabilità scaturisce in ragione della mera situazione del soggetto rispetto alla cosa”172

.

Vi è, inoltre, un’altra linea interpretativa sul concetto di custode, evidentemente collegata alla teoria del rischio, che condiziona l’intera impostazione del problema della responsabilità da cose. Chi notoriamente è stato pioniere del principio del rischio quale fondamento di questa fattispecie normativa, ha considerato custode responsabile di una cosa “colui che ne fa un uso conforme alla sua professione”173

, in quanto sempre attento nel controllare il rischio dalla stessa derivante174. Il rischio, secondo questa impostazione, è

169

Ivi, p. 477, afferma l’a.: “l’art. 2051 c.c. non impone alcun obbligo al custode. Lo vincola soltanto al risarcimento dei danni, qualora dalla cosa siano derivati pregiudizi a terzi; inoltre, il dovere di controllare e di vigilare sulla cosa non comporta mai la nascita di una prestazione di fare […]”.

170 Ivi., p. 478. L’a., volendo dimostrare la fallacia delle tesi contrarie, aggiunge che, “una volta stabilito

questo rapporto, ogni altra circostanza relativa all’utilizzo, al profitto conseguito dalla cosa, al controllo, alla vigilanza sulla cosa stessa diventa una conseguenza superflua e, seppure accertata in giudizio, non produce effetti ulteriori. Il soggetto, per il solo fatto di essere custode, deve essere dichiarato responsabile, anche a prescindere dall’esercizio effettivo del controllo e della predisposizione di misure preventive per evitare il danno.” Contrario a una simile impostazione è M. COMPORTI, Fatti illeciti, cit., p. 307, secondo il quale un richiamo ad un titolo contrattuale è di per sé contrario alla nozione di “potere di fatto”.

171

In ciò confortato da una giurisprudenza, la quale si esprime inequivocabilmente in questi termini. Su tutte, si veda Cass. Civ., sez. III, 10 maggio 2005, n. 9754, in Banca Dati De Jure, secondo cui “poiché la responsabilità per le cose in custodia […] si fonda non su un comportamento o una attività del custode, ma su una relazione (di custodia) intercorrente tra questi e la cosa dannosa e poiché il limite di tale responsabilità risiede nell’intervento di un fatto (il caso fortuito) che attiene non a un comportamento del responsabile, ma alle modalità di causazione del danno, si deve ritenere che rilevanza del fortuito attiene al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all’elemento esterno, anziché alla cosa che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.”

172 Così G. ALPA, M. BESSONE, op. cit., p. 401. 173

P. TRIMARCHI, op. cit., p. 259.

174

L’ampiezza di tale dovere di controllo, si noti, è delimitata dalla differenza tra rischi tipici e atipici. Solo i primi rientrano nel contenuto del dovere di controllo del custode, diversamente dai secondi. Per la difficoltà di accogliere questa tesi, dovuta ad una mancata nettezza del criterio discretivo tra tipicità e atipicità dei

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indissolubilmente legato al profitto. Risponde quale custode colui che controlla i rischi legati alla cosa, in quanto dalla stessa trae profitto. Si tratta di un’ipotesi ricostruttiva alquanto suggestiva; tuttavia, non si può fare a meno di osservare come, da un lato, mancano, nella littera legis, elementi che facciano propendere per questa tesi, dall’altro, l’idea del profitto, che dovrebbe corroborare la teoria del rischio, forse finisce col mortificarne la portata. Dalle cose, soprattutto se intese nell’accezione poc’anzi prospettata di “beni”, non sempre si trae un profitto tecnicamente inteso, ovverosia quale aumento del proprio patrimonio175. Se di rischio può parlarsi, forse esso va inteso, in senso molto più generale e senza troppe influenze da parte dell’economia, quale possibilità che una cosa, come solitamente soddisfa l’interesse di un soggetto (costituendo appunto per quest’ultimo un “bene”), così può, al ricorrere di determinate circostanze, provocare un danno, di cui pertanto andrà ritenuto responsabile il soggetto “più vicino” ad esso (il custode appunto), in quanto colui che ne traeva maggior “bene-ficio”, senza che questo si concretasse necessariamente in un profitto176.

Proseguendo oltre, secondo un’impostazione a cavallo tra quelle testé descritte, il termine custodia indica nient’altro che un potere dinamico ed effettivo che assume chi ha il così detto “governo esclusivo della cosa”177. Di conseguenza, il custode può controllare quest’ultima, escludere ogni altro da un determinato potere sulla stessa, nonché eliminare le situazioni di pericolo che siano insorte.

Sintetizzando i dati raccolti, la concezione della custodia appare come un pendolo in continua oscillazione178 tra due visioni contrapposte: da un lato, la valorizzazione del profilo soggettivistico dell’attività umana di controllo; dall’altro, l’oggettivo179

governo della cosa da parte di chi è con essa in una relazione di fatto, potendo dunque essere qualificato custode.

rischi, cfr. M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 468, con diversi riferimenti bibliografici, oltre che alla giurisprudenza.

175

Per aumento del patrimonio, secondo l’accezione contabile tipica del diritto commerciale, deve intendersi più esaustivamente il concetto di differenza positiva tra costi e ricavi.

176

Pur arrivando a conclusioni diverse, M. FRANZONI, ibidem, evidenzia egualmente la fallacia del criterio del profitto, non adeguato a risolvere il problema dell’individuazione del soggetto responsabile del danno prodotto dalle cose per almeno altri due motivi: da un lato, più soggetti possono conseguire profitto dall’uso della cosa; dall’altro, può verificarsi che chi usa la cosa non ne tragga alcun utile.

177

L’opinione risale a M. COZZI, op. cit., p. 278; successivamente, autorevolmente propende per questa tesi R. SCOGNAMIGLIO, voce Responsabilità civile, cit., p. 644.

178

Si veda, per questa immagine, G.G. GRECO, D.M. PASANISI, B. RONCHI, op. cit., p. 122.

179

Al di là di sottolineare il profilo di fruizione del vantaggio derivante dalla proprietà, o dal possesso, ovvero dalla detenzione qualificata, ovvero la mera relazione di fatto, ovvero ancora l’utilità che può essere il risultato di un’attività economico imprenditoriale.

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A prevalere, negli ultimi tempi, è la seconda tendenza interpretativa, con buona pace dell’antica elaborazione giustinianea180

che richiedeva una diligenza custodiendae rei addirittura exactissima181. Anche la giurisprudenza sembra adeguarsi a questo trend interpretativo182. La valorizzazione del criterio oggettivistico, portata coerentemente alle conseguenze che presuppone, conduce a ritenere addirittura che “la qualità di custode deve prescindere dalla titolarità di un diritto reale sulla cosa; ciò che si richiede, più semplicemente, è che il soggetto ne abbia l’effettiva disponibilità”183

materiale.

Sulla base dei dati raccolti e degli argomenti a sostegno delle varie tesi, sembra condivisibile l’opinione maggioritaria. È stato osservato, tuttavia, come nell’alveo delle visioni oggettivistiche rientrino numerose concezioni di custodia, ognuna con proprie peculiarità.

In una definizione di sintesi, sembrerebbe emergere la coerenza dell’impostazione che, valorizzando l’effettivo “potere di fatto”, farebbe discenderebbe la responsabilità per il custode “semplicemente” collegata alla possibilità di “governare” la res, non adempiendo ad un preciso obbligo giuridico, ma esercitando sulla stessa una serie indefinita di attività che (appunto) ne presuppongano il controllo.

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