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DELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART 2051 C.C.

5. Il limite del caso fortuito.

5.1. Nozioni oggettive del caso fortuito: fondatezza e limiti.

Diverse sono state le nozioni oggettive di caso fortuito, considerato, alla stregua della forza maggiore, come classica vis maior cui resisti non potest. Non sono mancate neanche le definizioni vicine all’assenza di colpevolezza224

, secondo una prospettiva analoga a quella penalistica.

La maggior parte delle definizioni, comunque, sottolinea il carattere di imprevedibilità del fortuito225, nonché quello di irresistibilità ed inevitabilità, senza necessariamente connotare tali requisiti di una dimensione soggettivistica226; questa, almeno nelle declamazioni di principio, sembra quasi scomparsa227, sebbene in precedenza fosse prevalente, attesa la tendenza della dottrina tradizionale a sostenere il dogma della colpa228. Accogliendo la tesi oggettiva del fortuito229, la prova liberatoria si configura come

222

Vedi R. SCOGNAMIGLIO, voce Responsabilità civile, cit., p. 645; in tal senso anche M. COMPORTI, Ibidem.

223 Cfr. par. 5 in questa Sezione. 224

Cfr. C.M. BIANCA, Diritto Civile, cit., p. 689 che, riprendendo l’Antolisei (F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Giuffrè, I, p. 305), parla di “mancanza di alcun rimprovero, neppure di semplice leggerezza”.

225 V. GERI, op. cit., p. 59, parla di “fatto imprevisto ed imprevedibile, fuori delle facoltà di conoscenza e di

controllo dell’uomo”.

226 Si avrà modo di chiarire a breve come risulti un po’ distonico propugnare per una concezione oggettiva

del fortuito, ma al contempo considerarlo caratterizzato da imprevedibilità ed inevitabilità.

227

Cfr. M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 491. Vi è comunque autorevole dottrina a sostegno della nozione soggettiva del caso fortuito: su tutti, si veda C.M. BIANCA, op. ult. cit., p. 719; del medesimo avviso A. FIGONE, Il caso fortuito negli artt. 2051 e 2052 c.c., in Nuova giur. civ. comm., 1985, II, p. 341.

228

Secondo M. COMPORTI, Fatti illeciti, cit., p. 282, prima di pervenire nella sua quasi totalità alla concezione oggettiva del caso fortuito (e/o forza maggiore), la dottrina, tradizionalmente influenzata dal dogma della colpa, ha sostenuto largamente la concezione soggettiva del fortuito come evento dannoso non prevedibile e non superabile con la normale diligenza, e quindi, in definitiva, ha recuperato il criterio di colpevolezza. Successivamente, la maggioranza della dottrina, e la quasi totalità di quella più recente, è pervenuta alla concezione oggettiva del caso fortuito, come causa estranea, del tutto inevitabile.

229

Ibidem si sottolinea la differenza del concetto di fortuito, sia esso oggettivo o soggettivo, rispetto alla nozione di causa non imputabile quale motivo di esonero da responsabilità c.d. da inadempimento ex art. 1218 c.c., osservando come la non imputabilità si concretizzi nell’identificazione positiva della causa che ha prodotto l’impossibilità oggettiva della prestazione e l’inevitabilità della medesima.

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interruzione del nesso causale tra cosa e danno230, ovverosia si identifica positivamente con la causa estranea del tutto inevitabile che ha cagionato il danno.

Passando ora ad una rassegna delle concezioni oggettive del fortuito, si osserva preliminarmente come queste abbiano in comune solo il presupposto di fondo, vale a dire la mancata valorizzazione del comportamento del custode. Quanto invece ai caratteri tipici che devono qualificare il fortuito, esse tra loro divergono.

Autorevole dottrina annovera tra i caratteri del fortuito l’imprevedibilità e l’inevitabilità del fatto231. La prima è rilevante perché il suo termine opposto, vale a dire la prevedibilità, “nel rapporto di causalità, […] consente di collegare oggettivamente i fatti in una certa sequenza logica necessaria per la pronuncia di responsabilità”232

.

Accanto alla imprevedibilità e all’inevitabilità, si sottolinea che “per ottenere l’esonero dalla responsabilità, al custode è richiesta la prova che il fatto del terzo abbia i requisiti della autonomia, della eccezionalità”233, tutti idonei a produrre l’evento senza che questo

possa essere causalmente ricondotto alla cosa.

Sempre in un’accezione “rigorosamente oggettiva”, il fortuito è stato inteso quale causa estranea del tutto inevitabile, che esclude ogni possibile giudizio valutativo del comportamento del soggetto in termini di non colpa”234

. Diversamente opinando, secondo questa accezione, non si potrebbe spiegare logicamente la diversità di formule relative alle varie ipotesi di responsabilità, cui “non può non corrispondere una differente disciplina normativa: infatti, se il caso fortuito equivalesse a mera assenza di colpa, l’oggetto della prova liberatoria dovrebbe essere identico a quello previsto dagli artt. 2047, 2048, 2054

230 L’interruzione del nesso, peraltro, con riferimento alla diversa incidenza della cosa sull’evento ed alla

concreta verificazione di quest’ultimo, è stata oggetto di una sottoclassificazione, sulla base delle esigenze pratiche manifestate dalla giurisprudenza (sia di legittimità che di merito), con cui si è provveduto a formalizzare la distinzione tra fortuito autonomo, incidente e concorrente. La cosa, progressivamente, passa così da un’estraneità totale, ad un ruolo (non già di antecedente causale, bensì) di mera occasione rispetto all’evento, divenendone causa remota, fino a poter concorrere alla verificazione dello stesso insieme ad altri fattori. Affronteremo ex professo la questione successivamente, allorquando si approfondirà il momento applicativo della fattispecie (vedi Cap. IV, parr. 2 e 3): espliciteremo meglio la distinzione tra fortuito autonomo, incidente e concorrente, verificandone anche la sua ineludibilità dal punto di vista pratico, nonché la sua validità teorica.

231

M. FRANZONI, L’illecito, cit., p. 495.

232

Cfr. ivi, p. 496. Secondo l’a., questo ragionamento è perfettamente valido anche negli illeciti oggettivi, tra i quali egli annovera la responsabilità da cose in custodia. Riprende quest’impostazione anche C. SEVERI, op. cit., p. 1470.

233

Così recita una massima ricorrente (cfr. Cass. Civ., 10 ottobre 2008, n. 25029, in Giust. Civ. Mass., 2008, 10, 1475). Si osserva (ma si avrà modo di sviluppare meglio a breve queste argomentazioni) che, mentre imprevedibilità ed inevitabilità, pur inseriti in un’impostazione oggettivistica, lasciano comunque adito ad un riferimento al profilo soggettivo del custode, i caratteri dell’autonomia e dell’eccezionalità, se riferiti al fortuito, sono sufficienti a valorizzarne la portata di estraneità al custode, rectius, alla cosa in custodia.

234

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c.c. Solo accogliendo l’opinione delineata precedentemente si riceve una plausibile spiegazione della diversità delle formule usate nello stesso titolo IX del libro IV del codice.”235

Altri ritengono di non dover necessariamente ricorrere ai concetti di imprevedibilità ed inevitabilità per esprimere il concetto di fortuito, che così indicherà “quegli elementi o fatti (riassumibili nella triade della forza maggiore, del fatto del terzo e della colpa della vittima), che, provenendo dall’esterno, abbiano inciso in modo determinante, ancorché mediato dal ruolo attivo della cosa, nel processo del danno”236

. Il riferimento a fenomeni altri rispetto a ciò che può essere ricondotto alla res è così sinteticamente inteso con un

quid proveniente dall’esterno237, caratterizzato da imprevedibilità ed assoluta eccezionalità, la cui prova incombe sul convenuto238.

Secondo una tesi239 molto simile a quella poc’anzi riportata, “la valutazione sulla rilevanza causale del fatto estraneo va operata con riferimento alle condizioni della cosa in concreto”240

.

Singolare, inoltre, è la concezione di chi, fondando l’intera materia della responsabilità da cose in custodia sul rischio-profitto, sottolinea il carattere di relatività del concetto di fortuito241. Tale peculiarità sarebbe in stretta connessione con il concetto di probabilità: secondo Trimarchi è ellittica ed imprecisa l’espressione “improbabile” con riferimento al fortuito, dal momento che “la probabilità […] non è predicabile di un evento nella sua individualità, bensì di un evento in quanto appartenente ad una certa classe, e in relazione a

235

Ivi, p. 280.

236

C. SALVI, op. cit., p. 1231.

237 Cfr., in questo senso, anche G.G. GRECO, op. cit., p. 583, secondo cui il “fortuitus non attiene ad un

comportamento o a un’attività del custode, ma ad una relazione di custodia intercorrente tra questi e la cosa dannosa. La rilevanza del fortuito attiene al profilo causale, in quanto suscettibile di una valutazione che consenta di ricondurre all’elemento esterno, anziché alla res che ne è fonte immediata, il danno concretamente verificatosi.”

238 C. SALVI, op. cit., p. 1231, a tal proposito, osserva che “all’attore compete di provare l’esistenza del

rapporto eziologico tra la cosa e l’evento lesivo; il convenuto, per liberarsi, dovrà provare l’esistenza di un fattore, estraneo alla sua sfera soggettiva, idoneo a interrompere quel nesso causale. E tale idoneità sussiste solo se il fattore estraneo presenta i caratteri della imprevedibilità e dell’assoluta eccezionalità, che sono appunto gli elementi che identificano, nella giurisprudenza più recente, la nozione del caso fortuito rilevante nella nostra materia.”

239

Rinvenibile in G. ALPA, M. BESSONE, op. cit., p. 388 e ss.

240 Queste condizioni, aggiungono Ibidem gli autori, “risulteranno per lo più dal modo con il quale si è

esplicato il governo della cosa da parte del custode.” Tale visione lascia forse trasparire i limiti di una concezione oggettiva che però non riesce ancora ad emanciparsi da riferimenti alle modalità della custodia, che inevitabilmente finiscono con il riportare l’attenzione alla condotta del custode stesso, prestando il fianco agli argomenti tipici dei sostenitori della tesi soggettiva (tanto della custodia quanto) del fortuito.

241

Il riferimento è a P. TRIMARCHI, op. cit., p. 171. L’a., analogamente a quanto visto sopra sul concetto di custodia, parte dal fondamento del rischio profitto per enucleare le sue tesi, anche relativamente al concetto di fortuito.

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una più ampia classe di eventi nella quale la prima sia compresa: il rapporto fra il numero degli eventi della prima classe, e il numero di quelli della seconda dà un valore che esprime la frequenza, la probabilità”. Sulla base della mutevolezza del concetto di probabilità, egli ritiene possibile una definizione di fortuito inteso tanto quanto mancanza di colpa, quanto fondato sul rischio242. Ebbene, l’Autore ritiene preferibile la seconda impostazione nell’ipotesi di responsabilità da cose in custodia, sulla base di diverse argomentazioni243, tra le quali può in questa sede menzionarsi almeno quella letterale: quando il legislatore del codice ha voluto individuare la prova liberatoria nella valutazione del comportamento del soggetto, lo ha fatto espressamente244. Ma così non è stato per gli artt. 2051 e 2052 c.c., introdotti nel codice civile del 1942 mutuando direttamente la formulazione dell’art. 1384 del Code Civil, di cui esisteva già da tempo l’interpretazione secondo cui non era sufficiente la prova di essere esente da colpa per liberare il custode. L’impostazione della tesi e le argomentazioni a suo sostegno conducono il ragionamento fino al punto di rifiutare l’idea che l’inevitabilità sia un requisito del fortuito nella fattispecie di responsabilità da cose; tale caratteristica pertiene piuttosto alla forza maggiore, mentre il fortuito è caratterizzato solo dalla imprevedibilità. Conseguentemente, essendo il rischio il fondamento di questa ipotesi di responsabilità, il custode risponderà anche per i danni inevitabili245, ma non per quelli imprevedibili, che costituiscono il limite del rischio. In sintesi, si sostiene che “in relazione all’esercizio di attività che non comportano un rischio apprezzabile, la prova della mancanza di colpa coincide con la prova del fortuito, mentre solo nel campo delle attività che comportano un rischio amministrabile può accadere che danni incolpevoli siano tuttavia non fortuiti. […] Può dunque accadere che lo stesso incidente costituisca un caso fortuito presso un cittadino qualsiasi, ma non presso un imprenditore”246.

242 Ciò “in dipendenza della funzione che ad esso viene attribuita, persino nell’ambito dello stesso sistema

giuridico”: così Ivi, p. 177.

243

Per approfondirle si rimanda interamente al testo, particolarmente ricco di argomentazioni, che non è possibile né opportuno riproporre interamente in questa sede. Cfr. in particolare p. 177 e ss..

244 Come l’art. 2054, comma 1, c.c., che subordina la liberazione da responsabilità alla prova “di aver fatto

tutto il possibile per evitare il danno”.

245

Perciò anche il rischio inevitabile deve essere attribuito all’imprenditore; e se la inevitabilità costituisce un connotato essenziale della forza maggiore, allora occorre concludere che questa non è adeguata a delimitare il rischio di impresa. Il Trimarchi evidenzia che la funzione della regola per cui non vi è responsabilità per il caso fortuito è di escludere l’attribuzione all’imprenditore di quel rischio non amministrabile economicamente e, in quanto tale, non collocabile nel gioco dei profitti e delle perdite dell’impresa.

246

Ivi, p. 218. Senza voler addentrarsi troppo in argomentazioni a confutazione di tale tesi, basta considerare, al di là delle sue suggestioni, che nella norma non si rinviene affatto, nemmeno implicitamente, una differenziazione del profilo di responsabilità per l’imprenditore piuttosto che per il

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Il fortuito, pertanto, avrà una definizione “mobile”, perché basata su diverse attività: esso “si assottiglia tanto più quanto più alto è l’ordine di grandezza dei danni tipici che l’attività è idonea a causare”247

.

Al di là delle considerazioni basate su criteri prettamente economico-imprenditoriali, non va sottaciuto il merito di questa tesi, consistente nell’aver messo a nudo l’inadeguatezza del concetto di inevitabilità ad inquadrare il fortuito; profilo, questo, su cui ci soffermerà a breve.

Vi è inoltre chi, rimanendo aderente all’impostazione oggettivistica del fortuito, non ne ha condiviso la “variante” in chiave economica ed ha anche criticato chi ha tentato di “riproporre al negativo” gli elementi e gli argomenti utilizzati per l’inquadramento della figura del custode, preferendo piuttosto individuare il fortuito in quei “fatti, che, pur incidendo sulla cosa nel senso di provocarne la dannosità, si svolgono tuttavia fuori dalla sfera del suo governo; o ancora, e detto in altri termini, dei fatti estranei alla causalità propria della cosa, da determinarsi in relazione alla possibilità di governarla”248

.

Alcune delle tesi oggettivistiche appena illustrate presentano dei punti di debolezza, su cui è opportuno porre l’attenzione, al fine di comprendere se sia l’impostazione oggettivistica a dover essere ridimensionata e rivista in favore delle tesi soggettivistiche, ovvero se essa possa essere mantenuta nella sua validità, tenendo presente alcuni possibili “correttivi” in grado di non mutarne l’adeguatezza d’inquadramento teorico di fondo.

Il primo limite, già segnalato in precedenza, riguarda quelle tesi che, pur aderenti alla concezione oggettiva del fortuito, menzionano tra i caratteri dello stesso l’imprevedibilità e l’inevitabilità, prestando così il fianco alle critiche dei sostenitori delle teorie soggettivistiche.

Sia l’inevitabilità che l’imprevedibilità, infatti, nella loro primigenia accezione, adombrano un (nemmeno tanto velato) riferimento al comportamento di un soggetto. Se, letteralmente, imprevedibile è ciò che non può essere previsto e inevitabile è ciò che non può essere evitato, non può non volgersi l’attenzione a una persona e alla sua condotta: ma ciò vuol dire spostare il baricentro d’indagine su quella comune diligenza che deve pretendersi dal custode e che è alla base delle tesi soggettivistiche del fortuito, come si vedrà a breve.

quivis de populo. Diverse sono le proposte de jure condendo rispetto all’opera ermeneutica del giurista positivo che, posto dinnanzi ad una disposizione, è chiamato ad individuare gli effetti sulla base dei fatti giuridicamente rilevanti previsti dal legislatore, senza far dire al testo ciò che esso nemmeno adombra.

247 Ivi, p. 224. 248

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Forse249 consapevole di questa eccezione, difficilmente confutabile, parte della dottrina ha voluto specificare l’esistenza di due nozioni di inevitabilità: una “considerata alla stregua della normale diligenza del buon padre di famiglia”, l’altra “in certo senso assoluta, cioè di invincibilità ed irresistibilità”250

. Pur astrattamente condivisibile, una simile giustificazione potrebbe non essere necessaria, qualora si evitassero qualificazioni del fortuito fraintendibili e valevoli per le tesi soggettivistiche e si valorizzasse, piuttosto, il carattere di autonomia e indipendenza dello stesso, inteso come fattore che nulla ha a che vedere con la diligenza della custodia, né tantomeno con una condotta in grado di evitare il danno. E il medesimo ragionamento potrebbe condursi con riguardo all’imprevedibilità.

Una prova della validità di questa osservazione si rinviene anche solo accennando a quelle questioni pratiche251 in cui, pur sussistendo tutti i requisiti oggettivi del fortuito, quali il sopraggiungere di un evento esterno e di autonomo rilievo causale rispetto alla cosa in custodia, si punta piuttosto l’attenzione all’impossibilità di intervento del custode, sfociando quindi nel campo dell’esigibilità della condotta: il che significa proclamare un fortuito oggettivo, giustificandolo però alla luce delle impostazioni soggettivistiche252.

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