E DANNI DERIVANTI DA COSE
4. Ipotesi di responsabilità del dominus per danno prodotto da persone, animali o cose.
4.3. La responsabilità da cose: il damnum infectum.
L’actio damni infecti, nel tempo divenuta cautio131
, veniva concessa in presenza di un vizio proveniente da un fondo o da un edificio che minacciasse di danneggiare.
Se il suddetto vizio era riparabile, chi temesse il danno poteva rivolgersi al pretore, il quale obbligava a cavere il dominus della res “pericolante”132: questi poteva obbligarsi prestando una cautio, con la quale si impegnava a risarcire il danno laddove si fosse verificato. In caso di rifiuto di prestare cauzione, il vicino sarebbe stato autorizzato dal pretore ad immettersi nel possesso della res in questione, per mezzo del provvedimento amministrativo detto missio in possessionem ex primo decreto. A questo punto, il proprietario aveva ancora la possibilità di prestare cautio; ma se persisteva nella sua renitenza, con la missio ex secundo decreto veniva attribuito a chi si era rivolto al pretore un possesso idoneo all’usucapione.
Il dominus, dunque, aveva dapprima la possibilità di cavere, che gli veniva attribuita per non ledere il suo dominio sulla res. Solo in caso di rifiuto, con successivo e diverso decreto, sarebbe incorso nelle ulteriori conseguenze pregiudizievoli. Si tratta di un procedimento che si configura come successione di comandi, ideato dalla giurisprudenza del pretore quale espediente per alcune specifiche situazioni non tutelabili con le actiones ordinarie133.
Qualora infatti una cosa avesse provocato un danno senza che a ciò concorresse un atto dell’uomo commesso iniuria, il danneggiato non avrebbe potuto esperire gli ordinari rimedi, primo tra tutti quello ex lege Aquilia, rimanendo così sguarnito di tutela. Non vi era un comportamento umano caratterizzato da antigiuridicità, né tantomeno da colpevolezza, tale da configurare un illecito perseguibile ai sensi del plebiscito aquiliano.
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G. PUGLIESE, op. cit., p. 312, sinteticamente ricorda come la legis actio damni infecti era ancora conservata nella Lex Iulia iudiciorum privatorum, ma fu presto soppiantata dalla cautio damni infecti: quest’ultima era una stipulatio pretoria, detta cautio in quanto normalmente documentata per iscritto.
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Si pensi ad un edificio edifici pericolante o ad una ripa minacciante di franare.
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Secondo G. BRANCA, op. cit., p. 279, tale procedura, non rientrando negli schemi tipici dell’azione, non può essere considerata in rem né in personam: essa, piuttosto, risulta da un insieme di “espedienti” ideati dal pretore per introdurre comunque una forma tutela non rientrante nell’alveo del processo ordinario.
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Peraltro, le cose non erano ritenute capaci di porre in essere fatti illeciti dannosi134, di talché nemmeno il rimedio della noxae deditio si sarebbe potuto estendere a tali ipotesi. L’unica via percorribile era quella di far “transitare” il pericolo, e quindi il potenziale successivo danneggiamento, da una res inanimata (e come tale non imputabile) ad un soggetto capace. Questo non poteva che essere il dominus della cosa. Ma l’assolutezza del dominio quiritario imponeva alcune cautele: non si poteva mettere coattivamente il
dominus di fronte ad un’alternativa, poiché mai l’imperium del magistrato avrebbe potuto
costringere il dominus ad un facere, ma eventualmente solo ad un pati (la missio ex
secundo decreto), “tanto era vitale il concetto originario del dominio illimitato e senza
pesi.”135
Così, non veniva ritenuto automaticamente responsabile il proprietario di una cosa (potenzialmente) dannosa, ma gli veniva concessa la possibilità della stipulatio pretoria (cautio).
Egli poteva liberamente scegliere se risarcire in caso di successivo danneggiamento: laddove avesse rifiutato, non potendo a ciò essere obbligato136, avrebbe al più subito la perdita della res danneggiante, con la missio ex secundo decreto.
La richiesta di cautio metteva così “in guardia” il proprietario, mutando l’origine del danno (ancora potenziale): questo sarebbe derivato non più da un mero “fatto della cosa”, ma da un “atto dell’uomo”. L’obbligo di cavere diventava così un problema di possibilità umana: “si [era] chiamati a rispondere in quanto la minaccia, pur venendo da una cosa, non [era] estranea al proprio comportamento.”137
Una simile impostazione fa emergere un carattere fondamentale della cautio damni infecti: la preventività. Il proprietario della cosa minacciante rischiava di divenire responsabile solo dal momento in cui era “messo in guardia” dal primo decreto e solo se egli avesse potuto provvedere alla riparazione della cosa, obbligandosi alternativamente a risarcire il danno da essa eventualmente derivato. Non v’era responsabilità senza un previo ordine del pretore, che faceva acquistare alla situazione di fatto una caratterizzazione tale da qualificare il danno (futuro ed eventuale) – si ribadisce – come cagionato da un comportamento umano piuttosto che da un fatto della cosa.
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Diversamente dagli animali, come si vedrà a breve.
135 G. BRANCA, op. cit., p. 286. 136
L’offerta della cautio non poteva essere considerata una vera obbligazione, né civile né pretoria; pertanto non era “suscettibile di realizzazione coattiva attraverso equivalente pecuniario” (così Ivi, p. 286).
137 Il proprietario, infatti, poteva riparare le cosa; non provvedere in tal senso avrebbe reso l’eventuale
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Strettamente connessa alla preventività era la penalità di questo rimedio, che permaneva senza urtare l’autonomia del dominus, grazie agli espedienti sopra descritti. Il decreto del pretore puniva infatti il responsabile per il suo rifiuto di cavere.
Si distinguono, dunque, tre momenti nel danno temuto: l’esistenza di un vizio riparabile, il comando pretorio di cavere conseguente al ricorso del vicino, la scelta del dominus se eseguire il comando, con le conseguenze connesse alla scelta, cioè eventuale risarcimento o missio in possessionem unius rei.
L’ordine del pretore, secondo quanto è emerso, da un lato nasceva come necessario ossequio alla concezione proprietaria, dall’altro si manifestava come inevitabile espediente atto ad evitare un ostacolo insormontabile per i Romani: la possibilità di configurare una responsabilità per fatto delle cose.
L’azione di danno temuto, nella sua originaria formulazione ed applicazione, reca in sé i primi indizi di un apertura del diritto romano al danno da cose, che tuttavia non poteva ancora essere pienamente concepito, visti i principi fondamentali che orientavano la disciplina degli illeciti.
Vedremo oltre come, a partire dal periodo classico, si registrò un notevole passo in avanti in tal senso.