DELLA FATTISPECIE DI CUI ALL’ART 2051 C.C.
1.2. Inquadramento nella fenomenologia giuridica.
Veniamo ora alla seconda questione, quella cioè dell’inquadramento del danno all’interno della fenomenologia giuridica.
Esso deve infatti assumere rilevanza giuridica per poter “entrare” nel mondo del diritto. Da cosa nasce la lesione di un interesse nella fattispecie di danno da cose in custodia? Secondo l’impostazione quadripartita della fenomenologia giuridica101
, si tratta di un fatto. Difatti, trattando gli altri elementi costitutivi102 si avrà modo di meglio giustificare ciò che, già da una prima lettura della disposizione, si manifesta come evidenza: all’origine del danno non c’è un atto umano, ma un “fatto delle cose”.
Non sembra potersi ricondurre questa ipotesi di responsabilità ad un comportamento dell’uomo: qui “l’obbligato al risarcimento risponde non già in conseguenza di un suo atto, che addirittura manca”103
.
99 par. 1.3 in questa Sezione.
100 Bene e danno sono pertanto una coppia di opposti, per come si avrà modo di chiarire meglio al paragrafo
successivo, allorquando si approfondirà la nozione di cosa.
101
Tale impostazione è ricostruita da A. FALZEA, Ricerche, cit., p. 89 e ss. L’a. precisa che la fenomenologia giuridica altro non è che “la fenomenologia del mondo reale, visto sub specie iuris”. Spazio e tempo condizionano la considerazione del mondo reale e portano a classificare l’esistente, secondo le categorie giuridiche, in fatti-atti e oggetti-soggetti. L’atto non è che una species del genus fatto, mentre il soggetto non è che una species del genus oggetto. Ma “proprio perché il mondo del diritto è un mondo di valori umani, gli atti sono i più importanti tra i fatti, così come i soggetti degli oggetti. “Soggetti oggetti atti fatti costituiscono il quadrinomio fondamentale della fenomenologia giuridica”; si tratta di una rivisitazione in chiave moderna dell’antica tripartizione classica, che si deve a Gaio, tra personae, res, actiones.
102
Trova conferma, in tal senso, quanto affermato nella premesse metodologiche. Pur essendo necessario trattare ogni singolo elemento strutturale della fattispecie, ad ogni tentativo di argomentazione emergono le continue e reciproche influenze tra l’uno e l’altro. Questi paragrafi risentono pertanto della necessità di continui richiami e rimandi a quanto sostenuto altrove.
29
Si può così individuare un primo, notevole elemento differenziale rispetto all’ipotesi principale di responsabilità aquiliana: “nell’art. 2043 c.c. viene in rilievo il fatto (doloso o colposo) [quindi l’atto, rectius, il comportamento, n.d.r.] dell’uomo, mentre nell’art. 2051 c.c. soltanto il fatto della cosa”104
.
Ciò non comporta alcuno stravolgimento del settore dell’illecito aquiliano; anzi, emerge la scelta del legislatore di prevedere specifici effetti risarcitori anche in ipotesi di danni non necessariamente derivanti da atti umani, nella consapevolezza che le relazioni prodotte dalla società attuale mettono spesso in contatto con conseguenze dannose non solo soggetti (persone) tra loro, ma anche persone e oggetti (cose).
Secondo una tesi opposta105, essendo l’art. 2051 c.c. un’ipotesi di responsabilità indiretta, un fatto dell’uomo non può mai mancare, configurandosi in questo caso, quale “omissione di sorveglianza”106
.
Tuttavia, non vi è alcun ostacolo logico-giuridico a ritenere fondata la tesi per cui il fatto “che un soggetto è giuridicamente responsabile non sempre corrisponde a dire che egli è stato l’autore del danno che è chiamato a risarcire”107
.
È dunque un fatto della cosa alla base del danno risarcibile ex art. 2051 c.c.: tale fatto deve essere rilevante per il diritto108, in quanto lesivo di un interesse109 ritenuto meritevole di tutela e non deve necessariamente promanare dall’uomo. Oltre al danneggiato, v’è un soggetto che invero non ha posto in essere alcuna condotta, né ha scelto di agire-non
103
Così R. SCOGNAMIGLIO, voce Illecito (Diritto vigente), in Noviss. Dig. it., VIII, Torino, 1962, p. 172, il quale osserva che, negli artt. 2047 e ss. c.c. si è fatti responsabili “per la relazione in cui di volta io volta del si trova con un‘altra persona, che è l‘autore del danno; o perché organizza una certa attività; o di nuovo in quanto dispone della cosa, dell‘animale, ecc.”.
104 Così G.G. GRECO, Responsabilità da cose in custodia della struttura alberghiera; rilevanza del rapporto di
causalità ed onere della prova, in Resp. civ. e prev., 2008, 3, 575.
105
Già sostenuta A. DE CUPIS, Il danno, cit., p. 70.
106
Aggiunge A. DE CUPIS, ivi, p. 71, che “è evidente trattarsi di un danno che le cose producono, in quanto il soggetto che le ha in custodia omette le misure necessarie affinché esso non si verifichi, cosicché, in definitiva, causa di esso non è la cosa ma il comportamento umano negativo”.
107
S. RODOTÀ, Il problema, cit., p. 71.
108 Un fatto (naturale), come può essere irrilevante per il diritto (si pensi ad uno tsunami in una zona remota
dell’oceano che travolga la vegetazione di un atollo sperduto), così può diventare rilevante quando “tocca”, ledendolo, un interesse meritevole di un soggetto del diritto (ad es., il fulmine in mezzo all’oceano che colpisca una nave, innescando il meccanismo di salvataggio di equipaggio, passeggeri e beni, con tutta l’attività e il dispendio di risorse economiche che ciò comporta).
109
Osserva a tal proposito S. RODOTÀ, op. ult. cit., p. 74: “in altri termini, l’attribuzione della responsabilità in senso giuridico non consiste nella mera riproduzione di un dato effettuale, ma nella imputazione del danno sulla base di una valutazione comparativa degli interessi”.
30
agire110; tuttavia, a lui si attribuisce l’obbligo di risarcire le conseguenza dannose prodotte, sulla base di un determinato criterio d’imputazione.
L’attenzione, pertanto, non può concentrarsi sulla questione dell’illiceità, per i motivi di cui si è detto supra; piuttosto, essa si sposta sull’ingiustizia del danno.