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E DANNI DERIVANTI DA COSE

4. Ipotesi di responsabilità del dominus per danno prodotto da persone, animali o cose.

4.2. Segue L’actio de pauperie per il danno prodotto da animali.

Struttura simile a quella della noxae deditio presenta la singolare figura dell’actio de

pauperie, esercitabile nei confronti del dominus di un animale (quadrupede122) per i danni prodotti da quest’ultimo. Anche in questo caso, il proprietario avrebbe potuto scegliere se pagare una somma di denaro a titolo di risarcimento del danno, ovvero consegnare l’animale, liberandosene.

Il danno era detto pauperies, in quanto realizzato senza consapevolezza da parte dell’animale. Esso, tuttavia, rilevava solo se prodotto da un agire contra naturam dell’animale stesso123

, cioè se non rientrava nell’alveo di quelle inevitabili conseguenze legate all’istinto proprio del suo agire, rectius della specie cui esso apparteneva124

. Detto altrimenti, se l’animale si comportava come prevedibile e consueto per un esemplare della sua specie125, il danno eventualmente arrecato non avrebbe dovuto essere risarcito, rientrando ordinariamente in rerum natura; diversamente – e cioè qualora l’animale avesse arrecato un danno per via di un moto dovuto ad un istinto contrario alla propria natura – si sarebbe potuto porre rimedio all’evento lesivo con l’actio de pauperie126

.

Il limite all’esperibilità di questo rimedio non risiedeva solo in un fatto “secondo natura” della bestia, ma anche nella sussistenza di un fatto colposo di un terzo, che si poneva quale

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Ai casi in cui il danno fosse stato cagionato da animali non quadrupedi il pretore provvedeva con formule adattate ai casi concreti (actiones de pauperie utiles).

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Osservava Ulpiano (18 ad ed. D. 9,1,1,4): “itaque, ut Servius scribit, tunc haec actio locum habet, cum commota feritate nocuit quadrupes, puta si equus calcitrosus calce percusserit, aut bos cornu petere solitus petierit, aut mulae propter nimiam ferociam.” Ed oltre (Ulp. 18 ad ed. D. 9,1,1,7): “et generaliter haec actio locum habet, quotiens contra naturam fera mota pauperiem dedit.”

124 Per esemplificare, era normale per un cavallo tirare un calcio, o per un bue incornare. Viceversa, era

contro natura che un bue tirasse un calcio, ovvero che un cavallo azzannasse qualcuno.

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Osserva G. BRANCA, Danno temuto e danno da cose inanimate nel diritto romano, cit., p. 461, che l’animale “ha una norma di vita determinata dal suo istinto e dall'istinto della specie. Se si muove e agisce secondo quella norma, cioè secondo natura, il male che produce eventualmente coi suoi atti non è imputabile se non ad un volere superiore, al demone o al Dio. Se il danno (pauperies) è causato da un operare contra naturam, non essendo l'effetto d'un volere supremo, rientra nell'ambito dell'ordinamento giuridico umano, che dà azione pertanto al danneggiato. Secondo questa nuova concezione, la pauperies è assimilata alla noxa, l’atto dannoso dell'animale all'atto umano, l'operare del singolo contra naturam alla culpa dell'uomo e del servo. L'animale non sarà destinatario di norme giuridiche alla stessa guisa dell'uomo, ma intanto l'azione di danno mira a trasferirlo in potere dell'attore: perciò la consegna dell'animal mortuum estingue ora l'azione.”

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Un certo rilievo aveva anche il carattere del singolo animale, che notoriamente avesse manifestato e reiterato determinati comportamenti, magari non tipici della sua specie, ma che divenivano caratterizzanti il singolo esemplare.

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causa effettiva del danno. In tal caso, sussistendone gli altri presupposti, si sarebbe potuto invocare la tutela aquiliana.

Inoltre, occorreva distinguere gli animali domestici, oggetto di normazione con l’actio in questione, dalle bestie selvagge, per i cui danni non poteva esservi un dominus tenuto a rispondere con il rimedio della pauperies127. Tuttavia, con l’introduzione a Roma,

soprattutto in età imperiale, di un numero sempre crescente di animali selvatici, destinati a spettacoli o al diletto di uomini facoltosi, subirono un incremento le vicende di danno non riconducibili nell’alveo di alcuna fattispecie normativa: v’era il rischio che situazioni di danneggiamento rimanessero sguarnite di tutela. La lacuna fu presto colmata: non fu estesa a queste situazioni l’actio de pauperie, ma venne emanato un apposito editto per i danni causati da questa tipologia di bestie, prevedendo l’actio de feris, che obbligava al risarcimento per il danno causato da una bestia selvaggia il soggetto che lo avesse nella sua sfera di appartenenza128.

Come nell’azione nossale, così nell’actio de pauperie il proprietario poteva alternativamente scegliere tra la consegna e l’obligatio rei: da ciò discende la nossalità e la qualificazione dell’actio come in personam.

Forse questa identità di struttura deriva da un’originaria considerazione dell’animale come responsabile al pari dell’uomo, tanto da poter subire la reazione dell’offeso129

. Tale ipotesi spiegherebbe la maggiore vicinanza di disciplina del danno cagionato da animali con le ipotesi di responsabilità per atti altrui piuttosto che con la responsabilità da cose130.

In ogni caso, il danno da animali rappresenta un altro emblematico esempio di ipotesi speciale rispetto al regime generale del sistema aquiliano: il dominus era ritenuto responsabile senza aver posto in essere alcun atto, ma semplicemente per un fatto verificatosi a prescindere dall’antigiuridicità e dalla colpevolezza di un suo contegno, commissivo od omissivo.

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Scriveva in proposito Ulpiano (18 ad ed. D. 9,1,1,10): “in bestiis autem propter naturalem feritatem haec actio locum non habet: et ideo si ursus fugit et sic nocuit, non potest quondam dominus conveniri, quia desinit dominus esse, ubi fera evasit: et ideo si in eum occidi, meum corpus est.”

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Ma non vi era, in tal caso, possibilità di liberarsi provando il fatto colposo del terzo: la fattispecie era evidentemente dotata di maggiore rigidità. Basti pensare, infatti, che nell’actio de pauperie, diversamente da quella de feris, il convenuto si sarebbe liberato provando che fosse stato un terzo ad incitare l’animale.

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Cfr. G. BRANCA, op. cit., p. 296.

130 Tanto che pauperies e noxa, dopo l’età classica, vennero unificate, raggiungendo unità di fondamento e

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Ma questa tipologia di illecito, orientata non troppo velatamente in senso oggettivo e legata ad un evidente criterio d’imputazione sulla base dell’assunzione del rischio, era legata alla categoria degli animali, che i Romani consideravano più vicina agli uomini che alle cose. Le ipotesi di illecito riguardanti queste ultime si connotavano per presupposti e caratteristiche alquanto diversi.

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