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FIGURA DEL CUSTODE IN FRANCIA E GERMANIA

3. Esiti generali della ricerca all’esito dell’indagine comparatistica.

3.5 La conferma nei tentativi di armonizzazione del diritto in Europa.

3.5.2 Il Draft Common Frame of Reference.

La considerazione testé espressa si riferisce al Draft Common Frame of Reference (acronimo DCFR), che proprio alle ipotesi normative poc’anzi richiamate228 dedica singole

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E ciò sempre grazie alla “fattispecie aperta” dell’art. 5:102.

228 Ovverosia alle varie norme sulla responsabilità extracontrattuale per fatti non umani, non

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e ben circostanziate fattispecie – così evidenziando il loro pieno diritto di cittadinanza nei sistemi giuridici europei coinvolti – con l’eccezione però, ancora una volta, del “danno da cose in custodia”.

Si tratta di un documento generato su iniziativa della Commissione Europea229 quale “tentativo generale” per giungere all’adozione di un Quadro comune di riferimento (il così detto Common Frame Reference) a livello comunitario230.

La sua paternità si deve alla cooperazione tra la Commissione per il diritto europeo dei contratti 231 e l’Acquis Group232. Il Draft Common Frame of Reference rappresenta un prodotto del dialogo all’interno del mondo accademico e non solo233

, per munirsi di un “armamentario concettuale-normativo” utile “revisione dell’attuale acquis, alla introduzione di nuove regolamentazioni, alla elaborazione di condizioni e clausole standard e, in una prospettiva temporale di più lungo termine, alla progettazione di un <codice civile europeo>”234.

L’ultima versione del DCFR, risalente al 2009235

, consegna un prodotto di sintesi tra il diritto comune europeo (ricavato comparatisticamente dall’individuazione dei punti di convergenza tra diritti nazionali) e il diritto di stretta matrice comunitaria (recte, ormai eurounitaria). La richiamata sintesi non è stata sempre agevole, rivelandosi alquanto faticosa236.

attuali articoli 2052, 2053, 2054 IV, del codice civile, oltre che da diverse disposizioni contenute nella legislazione complementare (cfr. amplius Cap. V, Sez. II, Par. 1).

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L’iniziativa risale già al 2001, ma fu poi meglio sviluppata con due successive comunicazioni: Comunicazione sulla “Maggiore coerenza nel diritto contrattuale europeo. Un piano d’azione”, COM (2003) 68 def. e Comunicazione del 2004 “Diritto contrattuale europeo e revisione dell’acquis: prospettive per il futuro”, COM (2004) 651 final.

230 Il Common Frame of Reference aveva una duplice finalità: individuare “una terminologia comune nel

campo del diritto contrattuale europeo, allo scopo di potersene servire come modello normativo di riferimento, nella futura produzione normativa comunitaria e nazionale; dall’altro, quello di corpus di regole applicabili alla materia contrattuale, da adoperare quale strumento opzionale.”

231 A sa volta confluita nello Study Group on European Contract law. 232

Si tratta di un gruppo di lavoro incaricato dalla stessa Commissione Europea a condurre un’indagine in ordine al modo in cui le direttive in materia di rapporti di consumo.

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Dal momento che per la sua formulazione hanno collaborato diversi portatori d’interessi (esperti di associazioni ed istituzioni interessate o condizionate dall’emanazione del CFR), tra cui soprattutto imprenditori e rappresentanti del mondo forense.

234 Così G. ALPA - G. CONTE, “Riflessioni sul progetto di Common Frame of Reference e sulla revisione

dell’Acquis Communautaire”, in Riv. dir. civ. 2008, 2, p. 157.

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Sono due le versioni del DCFR pubblicate, una “interim outline edition” nel 2008 ed una “final outline edition” nel 2009: C. VON BAR et al., Principles, Definitions and Model Rules of European Private Law. Draft Common Frame of Reference, Monaco, 2009.

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Tanto che v’è chi individua dei difetti strutturali del documento sotto questo profilo. R. SCHULZE, The Academic Draft of the CFR and the EC Contract Law, in Common Frame of Reference and Existing EC Contract Law, Monaco, 2008, p.5, parla di “debolezze metodologiche”, dal momento che solo alcune parti

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Il documento finale abbraccia l’intera area del diritto delle obbligazioni, non essendo esclusivamente dedicato237 ai soli profili contrattualistici (o ad essi affini)238. Così, il Libro VI, dedicato alla responsabilità extracontrattuale, contiene al Capitolo III, Sezione II, le ipotesi di “accountability without intention or negligence”. Già dall’intitolazione emerge la condivisa impostazione, anche in questo secondo documento considerato, secondo cui alcune ipotesi di responsabilità vanno sganciate dall’elemento soggettivo della colpa e strutturate attraverso un criterio di imputazione oggettiva. Si tratta di un’ulteriore riprova dell’emersione (ormai non più timida) del seme della responsabilità oggettiva in maniera diffusa negli ordinamenti a noi vicini e coinvolti nei descritti processi di armonizzazione. L’art. 1:101, infatti, prevede che il danno giuridicamente rilevante possa portare ad obblighi risarcitori anche un soggetto al quale il fatto sia imputato diversamente che per dolo o colpa239. Esso apre la strada alle apposite disposizioni del capitolo terzo, segnatamente gli articoli 3:201 fino a 3:208, dalla cui lettura, peraltro, sembrerebbe riemergere il medesimo fenomeno di dialogo tra ius positum ed interpretazione riscontrato nell’ordinamento tedesco.

I suddetti articoli si occupano, in ordine, dei danni cagionati da dipendenti o rappresentanti (art. 3:201), da un immobile pericoloso (art. 3:202), da animali (art. 3:203), da prodotti difettosi (art. 3:204), da veicoli a motore (art. 3:205), da sostanze o emissioni pericolose (art. 3:206), da abbandono (art. 3:208)240.

Non è espressamente prevista una fattispecie normativa di “danni da cose in custodia”; sennonché, le citate disposizioni si riferiscono comunque – tralaltro expressis verbis – alla figura del custode.

Difatti, gli articoli che si occupano specificamente dei danni causati da animali (art. 3:203) e veicoli a motore (art. 3:205) costituiscono gli obblighi risarcitori in capo al “keeper”,

del DCFR nascono da un confronto di taglio comparatistico unitamente all’attenzione al diritto (già) comunitario.

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Diversamente dal Common Frame of Reference, che dovrebbe contenere un “diritto europeo dei contratti coerente”, così come indicato dall’Action Plan della Commissione.

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Per questo, c’è chi si è chiesto se il testo così creato non possa costituire un “framework for the complete European private law”: così R. SCHULZE, op. ult. cit., p. 11.

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SERIO conclusivamente, con riguardo alle fattispecie di responsabilità extracontrattuale nascenti da criteri d’imputazione alternativi al dolo ed alla colpa, le scelte effettuate nei Principii si muovano molto più speditamente nel solco della consonanza tra precetto giuridico e sentimento sociale che in un ricercato divario dogmatico rispetto a tradizioni culturali differenti. Il che può farsi risalire alla lista di meriti che i Principii possono ben dire di aver guadagnato.

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Inoltre, singolare è l’art. 3:207, che apre ad altre ipotesi di danno che genera responsabilità, laddove rilevino ipotesi normative di diritto interno diverse da quelle già tipizzate dagli articoli precedenti del DCFR, o riguardanti sostanze o emissioni, ovvero ipotesi di danno da prodotti difettosi non rientranti nella fattispecie di cui all’art. 3:204.

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ossia letteralmente al custode. I tratti identificativi di tale figura non vengono delineati dal sistema del DCFR, ma è certamente degno di nota l’elemento di differenziazione rispetto al nostro ordinamento, in cui la responsabilità per danni cagionati da animali e da veicoli a motore per difetto di costruzione o manutenzione (artt. 2052 e 2054, IV comma, c.c.) è attribuita al proprietario.

Ebbene, se già il riferimento al keeper corrobora la tesi secondo cui quella del custode è una figura soggettiva presente nella cultura giuridica europea sulla responsabilità civile, anche i suoi elementi identificativi, così come emersi dai formanti dottrinale e giurisprudenziale in sede di analisi comparata, trovano cittadinanza nel DCFR.

Il presente capitolo, infatti, ha messo in luce che la figura del custode, o comunque del soggetto ad esso sostanzialmente sovrapponibile, è identificata dal potere di governo di fatto cui si affianca l’uso nell’interesse proprio241

. Proprio questi tratti peculiari sono trasfusi nell’art. 3:202 del DCFR: il primo paragrafo prevede la responsabilità per il danno causato da un immobile “pericolante” in capo non già ad una specifica qualifica soggettiva univocamente individuata, bensì a “chi autonomamente esercita il controllo

sull’immobile”. Questa perifrasi mette in evidenza la situazione di fatto del controllo come discrimen per l’identificazione del soggetto imputabile.

La disposizione in esame merita particolare attenzione anche perché, al secondo paragrafo, contiene una norma definitoria del controllo, prevedendo che “una persona esercita un

controllo autonomo su un immobile se l’esercizio è tale da potersi ragionevolmente imporre un obbligo di prevenire danni giuridicamente rilevanti ai sensi del presente articolo”242. Il terzo e ultimo paragrafo, infine, pone una presunzione di controllo in capo al proprietario, che può tuttavia liberarsi proprio dimostrando l’esistenza di un altro soggetto che – più e indipendentemente da lui – eserciti il controllo autonomo sull’immobile.

Di sicuro interesse si rivelerebbe una disamina approfondita delle singole previsioni, nel tentativo di individuare gli effettivi criteri di imputazione e la ratio sottesa alla scelta dei soggetti responsabili nelle ipotesi di responsabilità oggettiva. Ma la ricerca rischierebbe di imboccare percorsi tangenziali non esattamente in linea con gli specifici intendimenti che ne sono sottesi.

241

Cfr. supra, parr. 1.5, 2.3, 3.3.

242

La traduzione è dello scrivente. L’originale testo in inglese è il seguente: “A person exercises independent control over an immovable if that person exercises such control that it is reasonable to impose a duty on that person to prevent legally relevant damage within the scope of this Article.”

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In ogni caso, ai documenti considerati, non certo efficaci quali ius positum, va tuttavia riconosciuto un notevole spessore anche in prospettiva de iure condendo, trattandosi di approdi emblematici per l’individuazione dello status quo dei nostri sistemi giuridici sul punto. Detti documenti hanno consentito di allargare lo sguardo (geograficamente e culturalmente), sia pur attraverso brevi cenni, sul cammino della responsabilità extracontrattuale nei sistemi giuridici (quantomeno) europei, senza dover necessariamente passare per l’analisi dei singoli ordinamenti243

.

Le sintetiche aperture ai tratti di disciplina maggiormente inerenti la presente ricerca hanno evidenziato profili di conferma di quanto già emerso dall’analisi comparatistica “pura” nella prima parte del presente capitolo: la responsabilità oggettiva potrebbe a ragione essere considerata come punto di non ritorno negli ordinamenti attuali; inoltre, il potere di governo di fatto rileva come elemento identificativo del custode, anche se non ovunque è presente una fattispecie tipica di responsabilità di “danni da cose in custodia”.

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Operazione, questa, pleonastica rispetto agli obiettivi della ricerca, cui si legava semplicemente l’idea di individuare alcuni cenni di conferma di quanto emerso (che potrebbe essere oggetto di potenziale e ulteriore approfondimento).

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CAPITOLO IV

ANALISI DEL MOMENTO APPLICATIVO:

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