• Non ci sono risultati.

Fattispecie originaria e inadeguatezza di tutela Evoluzione, actio ficticia e suo superamento.

E DANNI DERIVANTI DA COSE

5. Focus sulla responsabilità da cose nel diritto romano.

5.1. Fattispecie originaria e inadeguatezza di tutela Evoluzione, actio ficticia e suo superamento.

Gli ostacoli che il damnum infectum frapponeva ad una concezione più ampia della responsabilità per danno da cose, che si avvicinasse alle altre forme di illecito con responsabilità per fatto non proprio, potevano dunque sintetizzarsi in questi elementi: da un lato, la preventività, dall’altro, la costruzione dell’illecito come derivante da fatto proprio. Tali caratteri si trovavano in uno stretto rapporto di interdipendenza e complementarità: poteva scaturire la tutela di ius honorarium solo in presenza di un fatto colpevole proprio del dominus, che però, a sua volta, si verificava solo in presenza di una domanda preventiva; specularmente, solo in presenza di una previa messa in guardia il dominus sarebbe stato imputabile per aver colpevolmente lasciato che la cosa in sua proprietà rovinasse, cagionando danno al vicino.

Ciò prova ancora una volta l’impossibilità di concepire che le cose inanimate fossero in grado di “compiere” fatti dannosi, nonché la profonda differenza di regime tra il damnum

infectum, in cui il carattere penale (missio in possessionem) è dovuto al comportamento del

convenuto, e la noxa (cui per struttura può affiancarsi la pauperies), in cui il convenuto risponde per un atto dannoso (delittuoso nella noxa, ma non nella pauperies) posto in essere da altri.

L’imputabilità per un fatto altrui è alla base anche dell’impossibilità di “tirar fuori” un regime “puro” di responsabilità da cose dalle peculiari fattispecie tutelate con le azioni de

effusis vel deiectis, de positis et suspensis, nautarum, cauponum, stabularionum. È vero

che in questi casi la responsabilità dell’habitator (non necessariamente proprietario del bene), o del nauta, o caupo, o stabularius era ricondotta ad un legame con una res; tuttavia tale elemento di collegamento non faceva prescindere la responsabilità da un atto dannoso, compiuto verosimilmente da un uomo. E quand’anche un atto illecito umano effettivamente mancasse – come nell’actio de effusis vel deiectis, con la quale si puniva l’habitator anche se la caduta dannosa di una cosa non era dovuta ad un lancio volontario di un uomo –, comunque tale regime aveva una rilevanza per lo più probatoria (e non di struttura sostanziale dell’illecito), nel senso che il sistema non richiedeva la prova

105

dell’autore del danno, ma v’era in qualche modo la presunzione che un’azione, quantomeno incauta, lo avesse prodotto.

Eppure, uno dei primi segni di un mutamento di prospettiva da questo punto di vista è rinvenibile proprio in un caso di caduta di una tegola, che veniva assimilato al danno prodotto da un animale152.

La svolta nel senso della formalizzazione della responsabilità da cose non avvenne servendosi delle ipotesi di responsabilità per fatto altrui, ma modificando radicalmente – quasi snaturandolo – il regime della cautio damni infecti, a dispetto della sua peculiare struttura, del tutto inadeguata a rispondere alle nuove istanze di cui si è detto.

Giuliano153, infatti, tentò di modificare l’istituto del damnum infectum, estendendo la tutela alle ipotesi di danno verificatosi non interposita cautione, mediante la previsione di un’actio ficticia. Questa eliminava il carattere preventivo, ch’era peculiarità dell’actio

damni infecti, introducendo la finzione di stipulatio.

Ne derivò come conseguenza la possibilità di garantire una forma di tutela per tutte quelle situazioni in cui il potenziale danneggiato non aveva fatto in tempo a ricorrere al pretore chiedendo la cautio del vicino proprietario delle cose pericolanti. Quest’ultimo avrebbe così dovuto risarcire i danni che si erano prodotti, anche senza essere stato preventivamente “messo in dolo”.

Inoltre l’actio ficticia, essendo eminentemente reipersecutoria, si poneva in contrasto con un altro elemento chiave della primitiva actio damni infecti, strettamente connesso con la preventività: il carattere di penalità.

Una tutela così orientata presupponeva l’assenza di responsabilità del danneggiato nella mancata richiesta di tutela preventiva: l’attore avrebbe dovuto fornire prova dell’impedimentum che non gli aveva consentito di agire prima che il danno si verificasse154.

L’actio ficticia, così configurata, era essenzialmente volta a risarcire i danni prodotti dalla rovina delle cose, tanto che non era consentita l’alternativa del carere.

152 Si tratta del fr. 5 § 2 D. 9 , 2; peraltro, i Bizantini riferirono tale caso proprio all’actio de posito et

suspenso. G. BRANCA, cit., p. 463, vede in questo frammento un “segno che le vecchie e le nuove concezioni filosofiche, entrate nel sistema del diritto, hanno ormai gettato un ponte sul profondo abisso che già separava la res dall'animale. L'una e l'altro non sono - si badi - i destinatari di norme giuridiche nello stesso modo dell'uomo, ma agiscono con movimenti spontanei, per cui si può dire che autorispondano.”

153

D. h. t. 9 pr.

154 Il diritto classico non riuscì ad arrivare più in là. Il diritto posteriore sarà anche caratterizzato dall’intento

106

Nel corso del tempo – si osservi – era comunque possibile per chi agiva con l’actio damni

infecti ordinaria costringere il dominus aedis ruinatae a togliere i ruderi o ad abbandonare

la casa155.

Da Giustiniano in poi il regime mutò notevolmente. La possibilità di costringere il vicino a togliere i ruderi o abbandonare il bene venne limitata alle ipotesi di mancata tempestiva attivazione dell’actio per causa non imputabile all’attore. Inoltre, sempre in caso di actio

ficticia non interposita cautione, l’effetto accordato mutò, passando dall’esclusivo

risarcimento del danno all’alternativa per il convenuto tra il sarcire ed il carere aedibus

totis156.

Mentre i giuristi classici vollero mutare tanto i presupposti di esperibilità del rimedio157, quanto le conseguenze di esso (prevedendo esclusivamente una tutela risarcitoria), diversamente, i giustinianei mantennero le mutate condizioni di attivabilità dell’actio anche per le ipotesi di non interposita cautio, ma tornarono alla previsione dei medesimi effetti che avevano luogo prima delle suddette innovazioni classiche: ripristinarono l’alternativa tra il cavere, nel frattempo divenuto mero sarcire (non vi era più la cautio, trattandosi di tutela non più preventiva) ed il carere, consentendo quindi la missio anche a danno avvenuto.

Ciò determinò l’eliminazione dell’actio ficticia originaria e genuina del periodo classico, che produceva effetti risarcitori senza consentire il carere.

Delle previsioni classiche venne conservata solo la possibilità di ottenere tutela in mancanza di richiesta preventiva, sempre a condizione che il danneggiato non fosse stato negligente.

Giustiniano, quindi, concedendo l’alternativa sarcire-carere, mutò la ratio delle innovazioni classiche. Non potendo il dominus aedis ruinatae rispondere oltre il valore della res danneggiante, si determinò così un avvicinamento di disciplina rispetto alla noxae

deditio, in cui il dominus, non volendo risarcire il danneggiato, avrebbe al più perso il

valore del servus o dell’animale.

155

7 § 2 in f. D. h. t. itp.

156

9 pr. D. h. t. itp.

157 Concedendo l’actio ficticia a quei soggetti che dimostrassero di non aver potuto (per motivi indipendenti

107

Si verificò una sorta di generalizzazione del principio di nossalità con riguardo ai danni prodotti da servi, animali e cose: l’intento era verosimilmente quello di fissare un principio unico di responsabilità, fondandolo su basi comuni158.

Subì un mutamento anche l’onere della prova riguardante l’impossibilità di proporre per tempo l’actio; diversamente dal periodo classico, l’attore non doveva provare la sua diligenza, ma era il convenuto, per liberarsi, a dover fornire prova della negligenza dell’actor che non aveva richiesto la cautio, pur a ciò nulla ostando.

Così, nonostante fosse venuto meno l’automatismo risarcitorio, nel diritto giustinianeo divenne regola ciò che prima era un’eccezione, ovverosia la tutela non interposita

cautione159.

Questa inversione di principi condusse ad una responsabilità legale non troppo dissimile da quelle conosciute oggi nei nostri ordinamenti, per quanto entro il limite del valore della res danneggiante e con altre divergenze rispetto al regime di responsabilità da cose per come vigente negli ordinamenti continentali moderni160.

Basti pensare che, una volta eliminata la preventività dell’azione, il dominus non poteva più essere “messo in guardia”, sicché appariva ingiusto che egli rispondesse anche nei casi in cui il danno non era in alcun modo prevedibile.

Tale nuova elaborazione, volta a limitare la responsabilità, testimonia la difficoltà per il sistema giuridico di concepire un ipotesi di illecito in cui un fatto dannoso prodotto dalle cose non potesse in alcun modo essere ricondotto ad un contegno colpevole del dominus, nonostante i passi avanti compiuti. Anzi, allorquando si aprì uno spiraglio per la possibilità di un impulso spontaneo della cosa, fu proprio questa ad essere considerata capace di

iniuria: da ciò derivava la necessità di riparare il danno perseguendo la res e quindi

limitando il risarcimento entro il valore della stessa161.

158 Vedi G. BRANCA, op. cit., p. 460. 159

Con l’alternativa tollere aut carere, che poi equivaleva a sarcire aut carere.

160

Sarà il diritto bizantino, successivamente, a cancellare gli ostacoli che si frapponevano ad un’azione di danno generale.

161

Questa breve ricostruzione del percorso evolutivo dall’actio damni infecti al damnum iam datum del diritto giustinianeo trova conferma nella ben più ampia, organica ed articolata esposizione del G. BRANCA, op. cit., che sintetizza (p. 465) l’intera ricerca nei termini seguenti, aggiungendo degli aspetti che in questa sede non sono stati approfonditi. Innanzitutto, secondo l’a., il vitium dei classici è diventato, per Giustiniano, un impulso spontaneo della cosa, capace di iniuria: perciò il danno si dovrà riparare perseguendo la res. Da questi fondamenti così posti, derivano i principi e le regole del nuovo regime di danno da cose:

- non v’è più la fictio della cauzione e l’obbligo di risarcimento è limitato entro il valore della cosa rovinata: aut sarcire aut carere. Vi è dunque la facoltà di rinuncia al corpus quod nocuit, in evidente analogia con la noxae deditio;

108

In definitiva, le difficoltà ad ammettere un risarcimento integrale, superate in epoca classica, durante la quale l’actio ficticia era limitata alle ipotesi di incolpevole mancata proposizione dell’actio, si ripresentarono con Giustiniano, che da un lato estese il regime di applicabilità della tutela, ma dall’altro limitò la responsabilità del dominus entro il valore della cosa danneggiante.

Nonostante la fatica del cammino evolutivo, si arrivò comunque ad un fondamento comune per i danni da servi, animali e cose, che in passato divergevano radicalmente tra loro: esso potrebbe essere individuato nell’assunzione del rischio legata al dominio su di un “terzo”, dal quale derivano i poteri di uso e godimento, ma anche le eventuali conseguenze pregiudizievoli162.

Outline

Documenti correlati