• Non ci sono risultati.

Nessuna responsabilità senza un atto dell’uomo; espedienti Pericolosità della cosa e tutela penale.

E DANNI DERIVANTI DA COSE

6. Esiti dell’indagine (utili per il prosieguo della ricerca).

6.1. Nessuna responsabilità senza un atto dell’uomo; espedienti Pericolosità della cosa e tutela penale.

Partendo dagli elementi caratterizzanti il percorso evolutivo del diritto romano con riguardo alla responsabilità da cose, per come sono stati inquadrati, è possibile

- è assimilato il regime del damnum iam datum a quello preventivo del danno temuto, per introdurre la nuova tutela abolendo la fictio;

- “la facoltà di carere post ruinam è parallela alla missio accordata ante ruinam”. Il damnum infectum importava la missio, mentre il damnum iam datum non interposta cautione non l’ammetteva, ma questa differenza di regime scomparve. C’era ormai un’unità di regime fondata sulla limitazione di responsabilità entro il valore della cosa danneggiante;

- carattere di ambulatorietà: risponde il dominus, quindi non necessariamente chi ha prestato cauzione, ma eventualmente il suo successore, purché sia appunto il dominus rei. “L’ambulatorietà è principio legato al carattere liberatorio del rilascio; quella stessa esigenza, che trasporta la legittimazione passiva col mutare del dominio o del possesso sulla cosa, deve limitare a fortiori entro il valore della cosa la responsabilità d'ogni legittimato successivo”;

- gli stessi principi si applicano nell’azione che spetta al vicino (post ruinam) se il dominus della res rovinosa non ha prestato la cauzione né ha tollerato la missio;

- “la cauzione, e quindi le azioni ex stipulatu ed in factum, competono solo se il danno minaccia o deriva da un’aedes, da un opus o da un albero”. Non si risponde per i danni prodotti da campi o terreni, che sono una parte indivisa, o al più divisa artificialmente, del mondo, quindi i loro movimenti non sono diversi da quelli della natura;

- si limitava la responsabilità “entro il valore della cosa che, in quanto è capace di propri impulsi spontanei, sarebbe essa imputabile, se la si potesse chiamare in giudizio.”

162

Tale ricostruzione sembra essere confermata dalla particolare qualificazione giuridica per questo tipo di responsabilità. Mancando la conventio, non poteva esserci obligatio, nemmeno quasi ex delicto (cosa che sarebbe rimasta possibile in caso di sopravvivenza dell’actio ficticia classica). E se qualificare l’azione come reale appare eccessivo, di certo essa presentava forti caratteri reali, essendo fondata su un rapporto d’onere che legava il dominus alla res. Cfr., per un approfondimento della questione, G. BRANCA, op. cit., p. 473.

109

l’individuazione di alcuni criteri e principi generali, quali utili spunti per il prosieguo della ricerca.

Il primo dato di rilievo è costituito dalla originaria difficoltà – ai limiti del rifiuto – per i Romani di concepire una responsabilità risarcitoria (la quale derivava da quella meramente penale) senza che un tale effetto potesse essere originato da (e ricondotto ad) un atto propriamente umano.

Non vi era illecito, alle origini del sistema giuridico romano, senza un previo comportamento umano antigiuridico ed illecito163.

Se nella proposizione condizionante il fatto rilevante per il diritto – ai fini del sorgere degli effetti collegati al predetto fatto164 – può essere tanto un comportamento dell’uomo (un atto) quanto un fatto non prodotto dall’agire umano (un fatto naturale)165, cionondimeno detta alternatività ed equivalenza (“atto dell’uomo-fatto non umano”) era esclusa nel sistema dell’illecito di diritto romano: l’effetto giuridico dell’illecito – con le conseguenze sanzionatorie da esso derivanti – poteva essere originato, se ben si comprende, solo da un atto dell’uomo.

Era inconcepibile che un delictum potesse derivare da cose, considerate “prive di anima”. Per i soggetti giuridicamente incapaci, ma dotati di piena consapevolezza e razionalità, come i servi e (fino al periodo giustinianeo) i figli, era previsto il sistema della nossalità, che faceva responsabile il dominus (o pater); ma comunque l’illecito era originato da un atto umano.

Nelle particolari actiones de effusis vel deiectis, de positis et suspensis, e nautarum,

cauponum, stabularionum, sebbene la responsabilità di un soggetto fosse connessa ad un

rapporto con una res (edificio, stalla, nave), comunque il fatto originatore era un atto umano; o si presumeva che lo fosse.

L’actio de pauperie, sviluppatasi per sanzionare il proprietario di un quadrupede per i danni da quest’ultimo prodotti, si basava sul presupposto di una natura “senziente” dell’animale, che assimilava all’atto umano il suo comportamento.

163

Sebbene si sia visto come in alcune forme di delicta l’ordinamento giuridico arrivo a prescindere dall’accertamento dell’iniuria, per venire incontro alle esigenze di tutela (e probatorie) dei danneggiati.

164

Effetti che, nel campo dell’illecito, si sostanziano nelle conseguenze sanzionatorie e riparatorie in capo al soggetto ritenuto responsabile.

165 Diversamente dall’effetto giuridico, contenuto nella proposizione condizionata, in cui la componente di

fatto (che si affianca alla componente di valore, da cui è rinvenibile l’interesse sotteso alla previsione di quel determinato effetto normativo) sarà sempre costituita da un comportamento. Il riferimento è all’elaborazione dogmatica della struttura della norma che si deve ad A. FALZEA, Ricerche di teoria generale del diritto e di dogmatica giuridica, cit., p. 99 e ss., in particolare p. 104.

110

Infine, nel damnum infectum, l’inconcepibilità di un’azione dannosa della res da cui far discendere gli effetti del delictum portò la giurisprudenza ad elaborare il sistema della

cautio, con la quale la fattispecie veniva ricondotta all’agire umano, mettendo in dolo il

vicino proprietario della cosa pericolante.

E quando i classici tentarono un’inversione di rotta ricollegando immediati effetti risarcitori al fatto dannoso della cosa, furono costretti a prevedere una fictio, dando cioè per avvenuta la cautio. Ben presto, tuttavia, i giustinianei reagirono a tale regime, limitandone le conseguenze risarcitorie al massimo entro il valore della res.

L’evoluzione del diritto romano non arrivò mai a riconoscere l’idoneità di un fatto dannoso prodotto da una res a configurare un illecito imputabile ad un soggetto, con le piene conseguenze sanzionatorie e risarcitorie che ne sarebbero potute derivare.

A ciò, verosimilmente, si opponeva l’ineludibile carattere penale dei delicta privata: il sistema degli illeciti non conosceva la ripartizione così come operante nei moderni sistemi giuridici, sicché l’elemento dell’iniuria (nella sua doppia accezione di antigiuridicità e colpevolezza), tipico delle fattispecie generali e più rilevanti disciplinate nella Lex Aquilia, era difficilmente eliminabile come presupposto delle varie ipotesi di illecito166.

Da ciò trova ulteriore conferma la difficoltà teorico-dogmatica, ma soprattutto pratica, di ammettere un lineare effetto giuridico, pienamente riparatorio e sanzionatorio, derivante dai fatti dannosi delle cose.

Il mutamento di prospettiva dei secoli successivi, fino ad arrivare alle moderne concezioni, potrebbe avere diverse cause originatrici, ma anche essere l’esito naturale dell’evoluzione sociale legata alla conoscenza ordinaria, ovverosia al progresso nelle scienze, nella tecnica, nell’economia.

Se passi avanti furono compiuti in tal senso, uno dei motivi fu rappresentato senz’altro dall’abbandono graduale della penalità nei delitti privati, cui seguì parallelamente la perdita di valore della preventività dell’actio damni infecti.

Che il carattere penale fosse una cifra qualificante dei delicta privata non v’è alcun dubbio. Si ritiene che le esigenze sanzionatorie abbiano ricoperto un ruolo di rilievo nell’accidentato e non agevole percorso di riconoscimento di una possibile responsabilità (con effetti risarcitori) derivante da “fatti delle cose”: se non era l’uomo a porre in essere degli atti illeciti, a che titolo si sarebbe potuto punirlo? Per questo, nei danni prodotti da

166 E quando ciò avveniva, era solo per una mera facilitazione probatoria, non certo perché esso non fosse

111

cose l’unico strumento che consentiva di non eliminare e rinnegare la penalità era proprio quel requisito di preventività “inventato” dal pretore.

L’ammonimento del dominus, operato con la cautio, consentiva di recuperare non solo la necessaria riconducibilità di un (eventuale) fatto dannoso all’uomo, ma anche la rimproverabilità della sua verificazione, così da non dover elidere la ratio punitiva degli illeciti privati.

Nei danni da cose, dunque, il fondamento penale non poteva che configurarsi come “penale-preventivo”, “ben saldo, inquadrato nel sistema; […] che appare anche più rigido man mano che si risale all’epoca più antica, ma che comincia a invecchiare fin dal tempo di Giuliano”167; per questo, il risarcimento a danno avvenuto era ammesso solo in presenza di un mezzo preventivo che lo avesse preparato e “penalmente giustificato”.

Ben si comprende, allora, perché l’abbandono graduale della penalità168

ebbe luogo parallelamente a quello della preventività. La seconda trovava la sua ragione d’esistenza nella necessità di preservare la prima, tributandole il giusto ossequio che il sistema giuridico imponeva.

Venendo meno la funzione sanzionatoria, nel danno da cose fu possibile lentamente abdicare anche alla preventività.

Il carattere penale giocava un ruolo determinante anche per un altro aspetto della responsabilità da cose: la pericolosità della res.

Nel damnum infectum non si poteva ricorrere al pretore, chiedendo la stipulazione della

cautio, se la cosa non avesse “minacciato” danno: il che presupponeva necessariamente

una sua riconoscibile idoneità al nocumento, cioè la sua pericolosità.

In ipotesi di cosa non pericolosa, il danno sarebbe stato risarcibile solo se eziologicamente connesso ad un atto umano, o alla presunzione del suo verificarsi, come ad esempio nell’actio de effusis vel deiectis. In altri casi, la pericolosità fu elevata a condizione

167

G. BRANCA, op. cit., p. 304.

168 Abbandono che non avvenne definitivamente neanche sotto il diritto giustinianeo. Osserva, B.

ALBANESE, voce Illecito, op. cit., p. 85, che neanche Giustiniano può e osa dichiarare indiscriminatamente la natura reipersecutoria dell’actio legis Aquiliae, sebbene ormai la via verso le moderne concezioni fosse definitivamente aperta. Sullo stesso argomento, P. CERAMI, La responsabilità extracontrattuale dalla compilazione di Giustiniano ed Ugo Grozio, cit., p. 108, sottolinea che “i giuristi di diritto comune prendono atto della penalità dell’actio legis Aquiiae, inequivocabilmente asserita nei libri legales, ma esplicitando il punto di vista della più matura giurisprudenza romana, procedono ad una marginalizzazione della funzione penale e ad una parallela generalizzazione della funzione risarcitoria del rimedio aquiliano. A questo duplice risultato pervengono o analizzando, in sede di lectura o di consilium, singoli brani dei libri legales, ovvero riflettendo sul fondamento dell’ordo legum, in sede di analisi della dispositio argumentorum nelle diverse parti dell’opera legislativa di Giustiniano.”

112

necessaria e sufficiente della punibilità, anche in assenza di danno: ciò avvenne nell’actio

de posito et suspenso.

La nozione di pericolosità era in strettissimo legame con quella di prevedibilità. Il senso pragmatico dei Romani faceva qualificare una res come pericolosa se, in base all’esperienza comune, poteva ritenersi verosimile che dalla stessa potesse derivare un danno.

Per questo, un danno avrebbe prodotto effetti punitivi (ed eventualmente risarcitori) solo se

iniuria datum, vale a dire se posto in essere da un atto dell’uomo antigiuridico e colpevole,

oppure se – in mancanza di iniuria – prodotto da una cosa come conseguenza prevedibile, quindi evitabile.

In presenza di ineluttabilità ed imprevedibilità, esso sarebbe stato manifestazione di un volere superiore, non controllabile e quindi – a prescindere dalla sua identificazione col Dio o altra potenza non umana – frutto di casus e vis maior, che non potevano dar luogo a conseguenze sanzionatorie169.

Il limite di ciò che modernamente indichiamo come fortuito, pertanto, era insito in ogni fattispecie di illecito e si identificava con un avvenimento inevitabile, in quanto prodotto non dall’intima forza della singola res, ma da potenze esterne ed incontrollabili, costituendo punto di confine della responsabilità.

Nel sistema romano, in definitiva, con una tendenza più o meno omogenea e presente nel corso delle diverse epoche, il danno prodotto da cose veniva preso in considerazione dall’ordinamento, ricollegando ad esso precipui effetti giuridici, solo se ed in quanto riconducibile ad una situazione di pericolo che non provocasse un danno imprevedibile ed inevitabile.

Nell’actio damni infecti, esemplificativamente, si parlava di edifici, alberi, o più genericamente di oggetti “pericolanti”: produceva illecito la ruina aedis ruinosae.

Outline

Documenti correlati