FIGURA DEL CUSTODE IN FRANCIA E GERMANIA
1. Responsabilità extracontrattuale e danni da cose nell’ordinamento francese.
1.3. Momento interpretativo ed applicativo in ottica diacronica e sincronica: il cammino di dottrina e giurisprudenza.
Vediamo in cosa si sostanzi il comportamento colposo del danneggiante, quale sia l’effettiva qualificazione giuridica del danno e dell’illecito ai sensi dell’art. 1240 cod. civ. Partendo da quest’ultimo concetto, gli studiosi non ebbero mai esitazione, sin dall’entrata in vigore del Code, a considerare requisito primario della responsabilità extracontrattuale proprio la “violazione di un diritto altrui”14
, che serviva appunto a qualificare il fatto come illecito. Questo era il pensiero dominante dei giuristi del XIX secolo.
Anche la giurisprudenza partiva dalla medesima impostazione: non erano molti i casi di responsabilità civile che a quel tempo arrivavano sub iudice, ma tutti erano accomunati dal ritenere la responsabilità perfezionata solo in presenza di azioni che avessero leso un diritto
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Cfr. Ivi, p. 15.
12 E ciò segna una differenza rispetto alla fattispecie generale di cui al § 823 BGB, in cui gli elementi
costitutivi dell’illecito sono tutti chiaramente enunciati ed inquadrati.
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P.G. MONATERI, La sineddoche: formule e regole nel diritto delle obbligazioni e dei contratti, cit., p. 10, invero, mostra come la situazione sia ancora più complessa. Partendo dal tenore letterale della disposizione, analizza prima le ricostruzioni dottorali, individuando una divergenza tra l’una e le altre. Successivamente, osserva come “un'analisi della giurisprudenza francese, condotta sulle decisioni rese negli anni immediatamente successivi all'entrata in vigore del Code civil, può mostrare se, effettivamente, la regola applicata era quella che troviamo presso gli interpreti, o quella enunciata dalla legge.” Questa prospettiva di ricerca costituisce la base di partenza per la formulazione della nota teoria della “Sineddoche francese”, (su cui vedi meglio infra), in grado di descrivere in maniera particolarmente icastica lo stato dell’arte dell’inquadramento interpretativo della responsabilità civile in Francia e la sua singolare uniformità, pur nella discrasia rispetto alla littera legis.
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Il Marcadé esplicita così l'art. 1382: “il faut d'abord quelle fait soit illicite, c'est à dire, qu'il presente une violation du droit d'autrui…”, in N.V. MARCADÉ, P. PONT, Explication du Code Napoléon, Paris, 1855, sub. Art. 1382, p. 264.
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assoluto della vittima del danno, ovvero che avessero violato una norma posta a protezione della stessa.
Il Monateri rileva in proposito la particolarità del fenomeno per cui si è verificata, sin dall’entrata in vigore del codice francese, un’immediata ed innaturale dissociazione tra la stretta lettera della legge e la sua concreta interpretazione ed applicazione15.
Meno sorprendente sarebbe stato se un’interpretazione evolutiva si fosse manifestata nel corso del tempo16, trattandosi l’art. 1240 (già 1382) cod. civ. di una formula amplissima nella sua generalità.
Tuttavia, sono gli stessi giuristi appartenenti alla generazione dei compilatori del codice che modificano l’interpretazione e l’applicazione della formula. Il danno, come già anticipato, veniva “arricchito”, in sede interpretativa, dalla necessaria contrarietà ad un diritto altrui, ovvero dall’inesistenza di un proprio diritto: doveva essere danno arrecato
contra ius17.
Il diritto applicato francese, dunque, avvertì anche sotto questo profilo la necessità di individuare i criteri di rilevanza della perdita patrimoniale dovuta a una condotta altrui: anche questa operazione, però, è formalmente contraria al modello positivo del Code, stando al quale sarebbe sufficiente una pura diminuzione economicamente rilevante18. Un orientamento diverso sembrò essere segnato dall’opera del noto giurista Toullier19
, che era dotto studioso ma anche magistrato. Egli sostenne la coincidenza tra la formulazione legale e quella dottrinale: entrambe avrebbero enunciato che ogni fatto dell’uomo, che avesse cagionato ad altri un danno con dolo o con colpa, avrebbe obbligato l’autore a ripararne le conseguenze, senza che l’illiceità o il danno dovessero essere integrati e “riempiti” di ulteriore significato20
.
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V. P.G. MONATERI, La sineddoche, cit., p. 8 considera il fenomeno di dissociazione del tutto interno al sistema francese, sottolineando come le esplicitazioni di Marcadé non sono isolate, ma rispecchiano l'interpretazione dominante dei giuristi nel XIX secolo. L’a. sottolinea altresì (p. 13) che “colpisce, e appare molto innaturale, una dissociazione che sussiste subito, immediatamente dopo l'entrata in vigore del nuovo Codice. Le regole operative che aggiungono alla formula codicistica la necessità della lesione di un diritto assoluto della vittima sono coeve a questa stessa formula che smentiscono.”
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Osserva, invero, Ivi, p. 12, che “siamo abituati a formule tralatizie e generali che nel corso del tempo vengono interpretate in maniera evolutiva. Così non ci colpisce se le corti a distanza di secoli interpretano la norma, discostandosi leggermente dalla stretta lettera della legge, diversamente dal passato. Questi fenomeni sono quasi "naturali" nella storia del diritto”.
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Cfr. Ivi, p. 16.
18 Cfr. C. CASTRONOVO, La nuova responsabilità civile, cit., p. 9. 19
La tesi è espressa in C.B.M. TOULLIER, Droit civil francais suivant l’ordre du Code, 4 ed., Bruxelles, 1848, VI, n. 117.
20 Osserva tuttavia P.G. MONATERI, La sineddoche, cit., pp. 47-48 come la tesi esposta da Toullier non
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Il così detto “elemento in più”, vale a dire la violazione di un diritto o di una norma protettiva della vittima, sarebbe dovuto scomparire dalle elaborazioni dei dotti. Non era più necessaria l’illiceità21
, ma ogni fatto apportatore di un danno, così come effettivamente appariva dalla formulazione letterale del testo codicistico, era ritenuto rilevante ai fini del sorgere della responsabilità.
Tale opinione di dissenso rispetto alla maggioranza degli studiosi, tuttavia, non dovette avere seguito, neanche da parte della giurisprudenza: le regole operazionali del diritto applicato continuarono ad essere orientate nei termini poc’anzi illustrati, cioè di difformità tra littera legis e diritto concretamente applicato22.
Il quadro mutò verso la fine del XIX secolo, quando anche in seno alla giurisprudenza si verificò l’espansione del principio onnicomprensivo di danno. Alcune decisioni giudiziali allargarono l’area del danno risarcibile fino a ricomprendervi situazioni in cui non era evidente la lesione di un diritto assoluto della vittima, né l’eventuale norma protettiva violata, a parte gli artt. 1382 e 1383 (secondo la precedente numerazione) cod. civ.23. Fu lo studioso Laurent ad enunciare nuovamente con vigore la necessità della violazione di un diritto assoluto della vittima, mostrando di non condividere l’avvenuto cambio di rotta in ottica estensiva della giurisprudenza. Egli si dissociò dall’impostazione di Toullier ed auspicò il ritorno alla tradizione interpretativa precedente (propugnata, tra gli altri, da Marcadè).
Se per quest’ultima era evidente la regola della lesione di un diritto della vittima, nonostante l’aperta contraddizione con la littera legis, il pensiero di Laurent contrastava ormai tanto con la formulazione legale che con i dati giurisprudenziali. La soluzione tentata dallo studioso consistette in ciò, che vennero “costruite […] nuove e fantasiose categorie di diritti violati, così da far apparire la nuova pratica operazionale in linea con la
o colposa che arreca un danno obbliga al risarcimento tranne che ricorra una causa di giustificazione", dove pero vale "causa di giustificazione = esercizio di un proprio diritto" e "esercizio di un proprio diritto = ogni azione che non sia vietata dalla legge" per cui solo la violazione di una situazione giuridicamente protetta della vittima obbliga a riparare il danno, così che operazionalmente questa seconda giustapposizione si riduce alla prima opposizione riscontrata.»
21 Per fatto illecito, si ribadisce, doveva intendersi quel fatto che comportasse la violazione di un diritto della
vittima.
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Cfr. P.G. MONATERI, op. ult. cit., p. 22.
23 A titolo esemplificativo, si pensi che fu ritenuto responsabile anche un soggetto che presentò ad un
istituto di credito – presso il quale godeva di considerazione – il proprio fratello, imprenditore in stato di passività ben noto al parente, al fine di procurandogli una somma di danaro, poi effettivamente erogata dalla banca. Ma poi il fratello imprenditore fallì ed il “propiziatore” del prestito dovette risarcire i danni alla Banca ai sensi dell’art. 1382.” (Bruxelles, 30 maggio 1865, Pas. 1865, 2, 361).
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precedente.”24 L’intento era quello di recuperare idea di fondo per cui “toute lésion d’un
droit est un délit dans le sens de l’article 1382” 25
.
Riassumendo i passaggi evolutivi cui fino ad ora si è fatto riferimento, può dirsi che, al momento dell’entrata in vigore del Code Napoléon, la formulazione legale amplissima divergeva dall’interpretazione di dottrina e giurisprudenza. Successivamente, la “formula onnicomprensiva” (senza cioè una qualificazione del danno e della colpa che ne circoscrivessero l’ambito di rilevanza) fu accolta anche da dottrina e giurisprudenza. Così, la faute venne ridotta all'elemento soggettivo della colpevolezza dell’azione dell’agente, senza che nella sua accezione rientrasse anche l'elemento oggettivo della contrarietà a norme protettive della vittima; correlativamente, il danno fu considerato mera disutilità economica o morale, senza una selezione del giuridicamente rilevante che tenesse conto di alcuna violazione del diritto o della norma protettiva26.
Ciò nondimeno, una qualificazione del danno non quale mera disutilità economica, così come un ulteriore connotato della condotta che non fosse la sola colpevolezza soggettiva, furono aliunde ricercate da dottrina e giurisprudenza, sebbene proclamando in via di principio il contrario. Si tornò così, lentamente, a ricercare nell’interpretazione una nozione di danno e di colpa “arricchite”.
Il mondo reale dei rapporti tra soggetti dimostra l’assoluta insufficienza della formula letterale dell’attuale art. 1240 cod. civ.: di questo erano consapevoli anche i primi interpreti del Code.
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Così P.G. MONATERI, op. ult. cit., p. 27, che rileva inoltre (pp. 28-29) come le nuove categorie di diritti escogitate da Laurent siano diverse da quelle che si riscontravano in precedenza; la loro fantasiosità deriverebbe dal fatto di rappresentare “un evidente tentativo di adeguare la formula interpretativa alle regole giurisprudenziali. A patto di creare categorie di diritti abbastanza sfumate ed elastiche sarebbe possibile ricondurre ogni danno concretamente risarcibile ad un qualche diritto violato.”
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Così F. LAURENT, Principes de droit civil francais, V ed., Bruxelles - Paris, 1893, p. 423; l’a., immediatamente dopo, rileva che “Le principe est certain”, ma deve ammettere che “l’application n’est pas sans difficulté”.
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Tale momento è considerato dal Monateri, (cfr. op. ult. cit, p. 35.) come l’illusione della scomparsa della sineddoche. Egli osserva come si sia passati dall'idea per cui solo la lesione del diritto o la violazione della norma protettiva della vittima fanno sorgere l'obbligo di risarcimento, a quella per cui qualunque danno che sia stato arrecato dolosamente o colposamente obbliga, salvo la sussistenza di una causa di giustificazione. Tale nuovo baricentro ermeneutico farebbe spostare l’attenzione, a dire dell’a., “dalla considerazione della sfera del danneggiato (onde verificare l'esistenza o meno di un suo diritto violato) alla considerazione della sfera del danneggiante (onde verificare l'eventuale presenza di una causa di giustificazione).” Ma subito dopo ammonisce circa il fatto che questa nuova impostazione “finirà per essere presentata come evidente e logica e per ricevere i crismi della razionalità”.
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I diversi tentativi di selezionare e delimitare l’area del giuridicamente rilevante, in questo campo, palesano che “quando vogliamo conoscere se un certo danno deve essere riparato, colpa, dolo, danno ecc. non sono sufficienti.”27
In definitiva, la norma generale sulla responsabilità civile nel Code civil francese prevede una formula amplissima, che consente di far rientrare nel suo alveo una serie molto variegata e diversificata di casi, purché siano presenti – secondo l’elaborazione e l’evoluzione normativa consolidatesi – i seguenti elementi costitutivi: un comportamento dell’agente (anche omissivo, ai sensi dell’art. 1241) connotato soggettivamente dalla colpa (o dal dolo) e idoneo a cagionare un danno; colpevolezza e danno devono essere qualificati da una situazione di illiceità, che rileva allorquando venga violato un diritto soggettivo della vittima, oppure una norma posta a presidio della stessa (e naturalmente diversa dall’art. 1240).
È appena il caso di menzionare una certa tendenza interpretativa degli ultimi decenni nell’area della responsabilità civile: lo scopo di riparare il danno è preminente rispetto alla ricerca del colpevole28.
1.4. Le altre ipotesi tipiche di responsabilità extracontrattuale; il sottosistema della