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Il “seme” – o il “fiume carsico” – della responsabilità oggettiva riemerso dopo secoli di latenza.

FIGURA DEL CUSTODE IN FRANCIA E GERMANIA

3. Esiti generali della ricerca all’esito dell’indagine comparatistica.

3.4. Il “seme” – o il “fiume carsico” – della responsabilità oggettiva riemerso dopo secoli di latenza.

Sostenere la tesi suddetta, tuttavia, impone l’uso del condizionale. Non si dimentichi, infatti, che già molti secoli fa la natura oggettiva di alcune ipotesi di responsabilità, ivi inclusa quella da cose, con conseguente impossibilità di liberarsi dimostrando la non colpevolezza, venne eliminata dalla voluntas legis personificata nell’imperatore Giustiniano, cessando di essere diritto vigente e vivente182. I dotti giuristi successivi raccolsero questa eredità, senza intervenire sul punto: il fluire del tempo ha aumentato lo

180 Per una breve suggestione in tal senso, si consideri come, a ben vedere, è già presente nel nostro codice

una fattispecie che riserva alcuni effetti giuridici esclusivamente ad un soggetto assimilabile al gardien francese e al Besitzherr tedesco. Si tratta dell’art. 1168 c.c., che consente l’esperibilità dell’azione di spoglio, appunto, solo al possessore o al detentore per ragioni diverse da quelle di ospitalità o di servizio. L’esclusività del rapporto soggetto-cosa, non necessariamente coincidente con quello proprietario, rileva non solo per la sussistenza di un potere di fatto sulla cosa, da cui eventualmente può trarsi l’individuazione del soggetto responsabile per i danni da cose, ma anche per la speciale tutela possessoria. Per F.G. PIZZETTI, Nuovi profili della responsabilità per danno da cose in custodia ex art. 2051 cod. civ., in Giur. It., 1998, p. 1382 e ss., detto rapporto costituisce lo “speculum” della responsabilità.

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Cfr. A. GORASSINI, Lezioni di Biodiritto. Appunti del corso di lezioni, cit., p. 7: un punto di non ritorno si verifica nella storia degli ordinamenti ogni qualvolta una modifica strutturale permette “una maggiore potenzialità di alcune potenze originarie, generando lo spegnimento e la perdita definitiva di altre potenze che non vengono utilizzate.”

182 S’è visto infatti come i commissari imperiali uniformarono tutte le fattispecie di illecito, aquiliane e non,

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spessore della coltre di dimenticanza sotto la quale era finita la responsabilità oggettiva. Anche le codificazioni tra XVIII e XIX secolo in Germania e Francia, invero, erano apparse a prima vista ossequiose al principio nessuna responsabilità senza colpa, medio

tempore consacrato dal Von Jhering.

Ma i compilatori del BGB e del Code Napoléon e della legislazione speciale tedesca e francese, non si sa quanto consapevolmente, cristallizzarono alcune fattispecie con una formulazione tale da contenere in nuce la nuova porta d’ingresso affinché la responsabilità senza colpa, uscendo dai mondi del giuridicamente possibile, rientrasse, dopo esserne rimasta fuori per secoli, nel mondo-diritto effettivamente attuato183.

E si è visto nei paragrafi precedenti, con particolare riguardo alla responsabilità da cose, quale sia stato l’iter tortuoso compiuto, grazie anche all’opera degli studiosi ed all’evoluzione interpretativa della giurisprudenza.

Tornando alla questione dubitativa circa la qualificazione della responsabilità oggettiva come punto di non ritorno dei sistemi giuridici, occorre anticipare come il percorso vitale degli ordinamenti attuali184 sembra essere indirizzato in tal senso, sospinto dalle istanze economiche e sociali. La riemersione della responsabilità senza colpa, con un salto che ha il suo punto d’origine nel diritto romano classico, non solo si manifesta come elemento invariante185 su cui il mondo-diritto è ritornato, percorrendo una delle strade possibili e già tracciate sin dal primo manifestarsi del fenomeno giuridico, ma addirittura parrebbe rafforzata dalla direzione imboccata dagli ordinamenti, vale a dire dallo stile di vita dichiarato dal diritto (quale personificazione del legislatore e degli organi giudiziali, per come anche sospinti dagli studiosi) come meta ideale e che sembrerebbe ormai già essere assurto a tipo di vita realmente vissuto186.

La chiave ermeneutica della presente ricerca, almeno per come sin qui condotta, consiste forse nell’individuazione di quel “seme” della responsabilità senza colpa, rimasto per secoli sottoterra ma in grado di germogliare nuovamente negli ultimi tempi, dopo secoli di anonimato. Oppure, utilizzando una metafora già prospettata in precedenza 187, la

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Tale considerazione è coerente con la tesi secondo cui le strutture fondamentali del diritto (le c.d. invarianti) rimangono costanti. Le potenzialità dei sistemi giuridici sono sempre uguali, mentre è la forma specifica che è sempre diversa e “permette determinate attualizzazioni che cambiano», pur rimanendo «tutte espressione della stessa potenza”. Così A. GORASSINI, op. ult. cit., p. 14.

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Ivi incluso il nostro, come si avrà modo di approfondire ai capitoli successivi.

185 Cfr. supra, nota 177. 186

Cfr., per l’accezione di tipo di vita e stile di vita, A. GORASSINI, Qualche riflessione sulla responsabilità del produttore funzionale all'analisi sistemica dei modelli di responsabilità civile, cit., p. 237, nonché amplius la nota n. 4 al Cap. I.

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responsabilità oggettiva è rimasta invisibile perché scorreva sotterranea (in mondi giuridici possibili ma inattuati o in sistemi non formalizzati) quale fiume carsico che ad un tratto è riemerso, riprendendo la sua corsa in superficie.

In ogni caso, l’evoluzione giuridica del diritto romano precedente all’avvento di Giustiniano ha consegnato ai posteri una prospettiva sulla responsabilità per fatto non proprio che, pur con le inevitabili differenze e i necessari aggiustamenti, ha costituito la base di partenza per gli ordinamenti moderni188.

Si è potuto aderire, in qualche modo, all’invito formulato da Sacco: il (“semplice”) giurista continui a “studiare e celebrare il diritto manifesto”, ma “allorché la norma si fa manifesta il giurista che ha sensibilità si domandi dove si trovava il suo seme”189.

Sarebbe alquanto interessante proseguire l’indagine in tale direzione: quella che è rimasta una suggestione per imbastire e proseguire la ricerca secondo quanto prospettato, potrebbe essere ulteriormente approfondita e verificata. Andando a scandagliare il fenomeno giuridico a ritroso nei secoli, potrebbero ricercarsi le eventuali manifestazioni di forme di responsabilità senza colpa rinvenibili come crittotipi, fenomeni giuridici circoscritti (localmente e temporalmente), consuetudini, massime, repertori, decisioni, costumi locali, secondo la prospettiva del “diritto muto”190

o comunque attuato e non formalizzato. Si dimostrerebbe. in tal modo, come queste manifestazioni del diritto, latenti ma non meno incisive nella storia del fenomeno giuridico, abbiano “mantenuto in vita” il seme (o il germoglio) della responsabilità oggettiva191.

Una simile operazione di indagine certosina, tuttavia, pur interessantissima e stimolante, esulerebbe oltremodo dall’oggetto principale della presente ricerca192

. Ma non è da

188 Vedi amplius Cap. II, parr. 5.1 e 6.2. 189

R. SACCO, Il diritto muto, cit., p. 151. Invero, l’a. punta ancora più in alto perché, immediatamente dopo, rilancia ulteriormente: “einfine il giurista dotato di capacità di ricerca, il giurista dotato di capacità euristiche si alleni nell’arte di individuare quei criteri che al momento si trovano rannicchiati nei repertori del diritto ancora muto e inattuato, potenziali modelli del nostro futuro diritto verbalizzato.”

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Vedi par. precedente.

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Facendo ciò, tali fenomeni latenti hanno consentito alla potenzialità della responsabilità oggettiva di non perdersi del tutto, mantenendo la possibilità di essere nuovamente presa in considerazione, quindi di essere nuovamente attuata. Bisognerà vedere, a questo punto, se nell’avvicendarsi dei richiamati fenomeni normativi vi sia qualcosa che sia diventato punto di non ritorno.

192 Oltre che essere contraria ad un criterio che costituisce proprio una “invariante delle metodologie

utilizzabili nella ricerca dall’interno del fenomeno giuridico”: il tempo massimo della ricerca. Così A. GORASSINI, Allontanamento volontario del minore. Variazioni ermeneutiche sull’art. 318 c.c., Napoli, ESI, 1994, p. 37 (in nota). Ogni ricerca giuridica, in quanto estrinsecazione di quella eminente scienza sociale pratica che è il diritto (cfr. S. PUGLIATTI, La giurisprudenza come scienza pratica, in Rivista italiana di scienze giuridiche, 1950, p. 58, ora anche riportata nel volume ID., Grammatica e diritto, Milano, 1978, pp. 101- 147), “ha un tempo massimo in cui deve essere compiuta, altrimenti perde di rilievo”. Tale ristrettezza temporale - al di là delle scadenze “istituzionali” con le quali ogni studioso realisticamente deve fare i conti -

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escludersi che possa in futuro essere condotta, quale prezioso complemento di questo lavoro193.

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